Profumo di mare: Terra, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità, transizione ecologica

Posts written by Filippo Foti

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    Consentire la pesca nelle aree protette potrebbe generare entrate per prevenire la pesca dei bracconieri, un'idea insolita per raccogliere fondi per l'applicazione delle leggi attira fan e critici.


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    Bracconieri nel Mare di Cortez in Messico che catturano illegalmente, l'8 dicembre 2019,
    il totoaba in un'area di rifugio per la focena vaquita marina quasi estinta.



    Le aree marine protette (AMP) possono essere vittime del proprio successo. Com'è possibile ci siamo chiesti? Ebbene, secondo diversi studiosi, vietando o limitando la pesca nelle loro acque, queste riserve possono creare popolazioni sane di pesci, con alcuni che nuotano nelle acque vicine dove possono essere catturati. Ma a volte un banco di pesci pieno sono una tentazione troppo forte, con i bracconieri che sfrecciano furtivamente nella zona protetta per un bottino illegale. Prevenire questo bracconaggio è difficile, dicono gli esperti, perché l'applicazione in mare può essere complicata e costosa. Esploriamo, pertanto, il potenziale della “Conservation Finance Alliance” (CFA) che promuove la consapevolezza, le competenze e l'innovazione nel finanziamento della conservazione a livello globale, per finanziare in modo sostenibile le AMP in diversi modi, tenendo conto della possibilità che potrebbero non essere una soluzione ottimale.

    E SE I PESCATORI POTESSERO PAGARE PER PESCARE ALL'INTERNO DI UN'AREA RISERVATA?

    Partiamo dal presupposto che l'ammontare degli incentivi economici conferiti al bracconaggio soddisfino i pescatori che bilanceranno la redditività della pesca all'interno dell'AMP senza incorrere alla prevista multa per la pesca illegale. In tal modo l'AMP diventerebbe un "parco sulla carta". La realtà spesso sta nel mezzo: la disponibilità di un modesto budget per l'applicazione delle norme, scoraggerà solo parte della pesca illegale, ma non tutta.

    Christopher Costello, economista ambientale presso l'Università della California, Santa Barbara (UCSB), Kat Millage, ricercatrice marina presso l'Università della California a Santa Barbara (UCSB), ed altri numerosi colleghi, hanno creato un modello informatico delle implicazioni ecologiche e finanziarie di un tale compromesso. Hanno raccolto dati tra cui il costo tipico dell'applicazione delle restrizioni alle riserve, stimato quali sanzioni potrebbero essere pratiche e calcolato il potenziale incremento biologico derivante dalla riduzione dei raccolti illegali.

    Alcuni ricercatori sostengono però che il suddetto modello informatico, delle implicazioni ecologiche e finanziarie, è troppo rischioso perché potrebbe incoraggiare i governi a ridurre le riserve a zero. "Non credo che si dovrebbero ridurre le aree vietate esistenti per consentire una maggiore pesca", afferma Jon Day, che ha trascorso 39 anni nell'aiutare la gestione del Parco Marino della Grande Barriera Corallina in Australia, sostenendo che questa proposta è davvero pericolosa.

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    Sea Shepherd insegue bracconieri della nave FV Hai, una nave portacontainer costruita
    nel 1996 che naviga attualmente sotto bandiera di Taiwan.


    Risalendo alla suddetta simulazione, secondo alcuni ricercatori, le riserve protette che venderebbero alcuni diritti di pesca diventerebbero più ricche, sia biologicamente che finanziariamente, in quanto è stato scoperto che - consentendo la pesca all'interno di un quarto o metà di una zona vietata e investendo le entrate nell'applicazione delle norme - le popolazioni ittiche aumenterebbero del 13% rispetto a una riserva che soffre di bracconaggio.

    Alcuni ammettono che ci sono molti ostacoli all'implementazione di tali sistemi. "La corruzione potrebbe cortocircuitare i flussi di entrate se il denaro finisce per riempire le tasche dei burocrati, e i paesi in via di sviluppo potrebbero non avere la capacità di gestione per implementare l'applicazione. Mi chiedo quanto sarebbe applicabile, il diavolo sta nei dettagli", afferma Brock Bergseth, uno scienziato della conservazione presso la James Cook University che non è stato coinvolto nello studio.

    Anche la comunità dei pescatori potrebbe non essere entusiasta. "La proposta potrebbe avere un senso economico, ma sarebbe "totalmente controversa" se i pescatori dovessero iniziare a pagare per accedere a un'area in cui in precedenza pescavano gratuitamente", afferma Bárbara Costa, biologa marina presso il Centro di scienze marine dell'Università dell'Algarve -. (Costello e Millage pensano che alcune attività di pesca accetteranno tasse di utenza, come con la caccia ai trofei, la silvicoltura e altre raccolte private di risorse pubbliche). L'equità sarebbe un altro problema, specialmente dove le grandi aziende potrebbero offrire più risorse ai pescatori locali per i diritti di pesca. "La domanda immediata che si pone, afferma Kirsten Grorud Colvert, ecologista marina presso l'Oregon State University, a Corvallis, è chi può acquistare un contratto di locazione"

    Anche la vendita dei diritti di pesca non sarà appropriata in alcune riserve, come le aree vietate stabilite principalmente a beneficio di habitat sensibili o specie in via di estinzione come le balene migratrici che potrebbero essere catturate negli attrezzi da pesca. "L'apertura e la chiusura delle aree funziona per la pesca, ma non per i coralli o le balene", affermano gli esperti.
    Tuttavia, Joachim Claudet, un ecologo che studia le riserve marine al CNRS, l'agenzia di ricerca nazionale francese, piace il concetto anche se riduce un'area strettamente protetta. "Dal punto di vista della conservazione, è meglio avere un'area protetta più piccola che funziona piuttosto che qualcosa di grande che non funziona. Molte riserve attualmente affrontano una sfida più seria del bracconaggio: la stragrande maggioranza che consente alcune attività di pesca non ha regolamenti che proteggano sufficientemente gli stock ittici", afferma Claudet.

    Nel frattempo, l'area oceanica all'interno delle riserve marine è cresciuta notevolmente negli ultimi anni, ma i budget operativi spesso non sono riusciti a tenere il passo. La discrepanza finanziaria potrebbe peggiorare, affermano gli esperti, poiché le nazioni spingono per espandere le protezioni al 30% degli oceani del mondo. "Il pericolo è che ci sono persone che mettono aree vietate alle mappe senza buoni piani su come gestirle e applicarle. Si creano solo aree marine protette che non funzionano. C'è la pesca illegale, non c'è gestione e nessuno vince in questo scenario”, afferma Kathryn Matthews, capo scienziato di Oceana, un'organizzazione per la conservazione.

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    Edited by Filippo Foti - 7/12/2021, 14:57
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    In tutto il mondo i cosiddetti punti critici minacciano l'ecosistema, mentre gli incendi, l'uso del suolo da parte dell'uomo e la perdita di biodiversità aumentano esponenzialmente ed amplificano gli impatti climatici.


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    In questo momento l’Artico è diventato un punto di riferimento per il cambiamento futuro del clima e, mentre gli ecosistemi di tutto il mondo si avvicinano ai punti critici, ciò rappresenta una dura lezione per i decisori politici del mondo che tra una COP e l'altra giocano a scarica barile.

    Iconico com'è per il mantenimento del ghiaccio e neve tutto l'anno, nell'ultimo decennio l'Artico è diventato l’emblema di un profondo cambiamento. Nel luglio 2020, l'ultima piattaforma di ghiaccio intatta nell'Artico canadese è precipitata in mare. Risalendo alla prima analisi nel 1902, la calotta glaciale di Milne, ai margini dell'Isola di Ellesmere, è risalente a più di 4mila anni fa e ha già perso il 43 percento della sua massa precedente. Anche le calotte glaciali dell'isola di Ellesmere in Canada, nell'estate del 2020 sono andate perse, poiché il ghiaccio depositato durante la Piccola Era Glaciale (1600-1850) si è sciolto completamente. Questo rappresenta un "punto di svolta" che viene spesso applicato ad un momento di cambiamento critico della storia umana. In ecologia, i punti critici descrivono piccoli cambiamenti che, nel tempo, impongono una trasformazione irreversibile. I minimi annuali di ghiaccio marino e un sorprendente aumento del disgelo del permafrost, in un clima di riscaldamento, segnalano che il punto di non ritorno, che si espande attraverso gli ecosistemi, è già stato superato. Abbiamo già perso l'Artico ghiacciato.

    Una recente ricerca apparsa sulla rivista multidisciplinare "Nature Communications" dal titolo "Nuovi modelli climatici rivelano aumenti più rapidi e maggiori delle precipitazioni artiche rispetto a quanto previsto in precedenza", pubblicata il 30 novembre 2021, pone una serie di riflessioni. Realizzata da Michelle Roisin McCrystall, Università del Manitoba Winnipeg (Canada), Julienne Stroeve dell'University College London, ed altri, lo studio sostiene che mentre l'Artico continua a riscaldarsi più velocemente del resto del pianeta, aumentano le prove che la regione sta vivendo un cambiamento ambientale senza precedenti e drammatico.

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    Le ricercatrici prevedono che il ciclo idrologico si intensificherà nel corso del ventunesimo secolo, con un aumento dell'evaporazione dovuto all'espansione delle aree di mare aperto e con più precipitazioni. Le ultime proiezioni indicano un riscaldamento dell'Artico e una perdita di ghiaccio marino più rapidi entro l'anno 2100 rispetto alle proiezioni precedenti e, di conseguenza, cambiamenti più grandi e più rapidi del ciclo idrologico. Le precipitazioni artiche aumenteranno più rapidamente, oltre a causa del maggiore riscaldamento globale e del trasporto di umidità verso i poli, anche dalla maggiore espansione dell'Artico, dalla perdita di ghiaccio marino e dalla maggiore sensibilità delle precipitazioni al riscaldamento dell'Artico.

    Tuttavia, esiste incertezza per quanto riguarda l'estensione regionale e la stagionalità di questi cambiamenti. Studi precedenti hanno concluso che le precipitazioni aumenteranno in primavera, autunno e inverno, mentre si prevede che precipitazioni e nevicate aumenteranno in alcune regioni durante l'autunno e l'inverno. Questo aumento delle precipitazioni potrebbe avere impatti pronunciati sul bilancio di massa della calotta glaciale della Groenlandia e sul livello globale del mare, sulla portata fluviale, l'estensione e spessore del ghiaccio marino artico, il permafrost, nonché flora, fauna e relativi sistemi socio-ecologici.

    Clicca l'immagine per vedere la gif nel profilo twitter di Julienne Stroeve.


    Man mano che il ghiaccio e la neve si perdono, il clima caldo rende difficile il loro recupero. Il ghiaccio marino nell'Oceano Artico ha una perdita annuale vecchia maggiore del guadagno annuale. Nel 2019, la "National Oceanic and Atmospheric Administration" (NOAA) ha riferito che rimaneva solo l'1% del ghiaccio di età superiore ai quattro anni. Un'atmosfera calda, soprattutto in estate, all'inizio dell'autunno e il mare, impediscono la crescita del ghiaccio, portando l’Artico a rimanerne senza. Insomma, si prevede inoltre che l'Artico passerà da un regime prevalentemente dominato dalla neve ad uno dominato dalla pioggia.

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    Nell'estate del 2020, gli incendi dell'Artico, li chiamano “zombie”, si sono estesi nella tundra, provocando il disgelo del permafrost e innescando l'infiltrazioni dell'acqua di fusione. Nel permafrost, l'acqua proveniente da piccole aree di disgelo si espande lateralmente, riscaldando il permafrost circostante. Gradualmente, l'erosione da "gelo e disgelo", ovvero il processo di erosione che si verifica nelle aree fredde dove si forma il ghiaccio, si espande su una vasta area, trasformando bruscamente gli ecosistemi ghiacciati in zone umide. Nelle sacche di permafrost e scioglimento dei ghiacci, la vegetazione cresce a ritmi senza precedenti. Una volta che il permafrost si è sciolto, il riscaldamento atmosferico in corso rende impossibile il ritorno a un permafrost stabile.


    Un'animazione dell'era glaciale artica da settembre 2015 a settembre 2021 e da settembre 2010 a maggio 2015.


    La rapidità del cambiamento nell'Artico ha sorpreso sia i ricercatori che l'opinione pubblica. Fino a poco tempo fa, i modelli relativi al cambiamento climatico non riuscivano ad identificare che la combinazione di fuoco, perdita di ghiaccio e disboscamento avrebbe forzato le soglie del punto critico. In molti casi, questi eventi discreti e su piccola scala si espandono nel panorama ambientale per creare un cambiamento duraturo.

    Dopo l'estate più calda mai registrata nell'emisfero settentrionale della Terra, quella da giugno ad agosto 2020, ha superato le due precedenti del 2016 e del 2019. Il loro netto cambiamento climatico ha già trasformato l'Artico, un punto di riferimento per un cambiamento climatico irreparabile. Il nostro fragile Artico deve essere il primo e probabilmente l'ultimo sistema ad attraversare un punto critico permanente.

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    In tutto il mondo, i punti critici dell'ecosistema incombono mentre gli incendi, l'uso del suolo da parte dell'uomo e la perdita di biodiversità aumentano esponenzialmente ed amplificano gli impatti climatici. L'espansione delle zone morte oceaniche, lo sbiancamento della barriera corallina e la perdita della foresta pluviale sono emblematici del collasso del sistema e si stanno lentamente combinando per creare punti di non ritorno globali. C'è pochissimo tempo per alterare la traiettoria degli ecosistemi della Terra, arrestando il collasso causato dal clima. Per proteggere l'incredibile diversità e stabilità del nostro pianeta, dobbiamo riconoscere che il cambiamento climatico sta già cambiando in modo permanente il pianeta e abbiamo poco tempo per cambiare rotta.

    STORIE DI MARE NEL FAMIGERATO PASSAGGIO A NORD-OVEST

    Due navi, la HMS Terror e la HMS Erebus, lasciarono l'Inghilterra nel 1845 per cercare il Passaggio a Nord-Ovest, una rotta marittima vitale tra l'Oceano Atlantico e il Pacifico. La spedizione era comandata dal capitano Sir John Franklin, un esperto esploratore polare che aveva già condotto due precedenti ricerche per il passaggio a nord-ovest. Entrambe le navi scomparvero misteriosamente e tutti i 129 uomini a bordo perirono. Fu il peggior disastro nella storia dell'esplorazione polare britannica.

    Le esplorazioni della costa artica avevano portato ad un grande ottimismo per trovare e tracciare la parte finale del Passaggio a Nord-Ovest, la via marittima tra l'Oceano Atlantico e l'Oceano Pacifico. Decine di spedizioni furono lanciate per trovare Terror ed Erebus e l'esploratore John Franklin, che aveva fatto i due precedenti tentativi per trovarla, era ansioso di potere dimostrare la prestigiosa scoperta. Ma cosa successe veramente all'equipaggio della Terror e dell'Erebus? Le prove dei naufragi dei 129 uomini sono state scoperte nel 2014 e nel 2016 che hanno offerto nuove informazioni.

    Emblematico è stato il recupero della nave da guerra HMS Terrorche giaceva sul fondo. Costruita per partecipare a numerose schermaglie nella guerra del 1812, le spedizioni purtroppo fallirono una dopo l'altra. Ma nel 2016 lo Stretto di Victoria era sgombro dal ghiaccio, consentendo il recupero dell'HMS Terror e invitando altri esploratori a visitare altre zone più settentrionali del globo

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    Spedizione nello stretto di Victoria


    La scoperta di HMS Terror non sarebbe stata possibile senza il supporto, i consigli e le conoscenze condivise così generosamente dagli Inuit di Nunavut, un piccolo popolo del Canada, che spiegarono come c'erano sparse nella zona pile di ossa umane. Molti di questi resti scheletrici erano spaccati a metà, il che suggeriva che gli uomini probabilmente ricorsero al cannibalismo prima di morire congelati. Negli anni '80 e '90, alcuni ricercatori scoprirono segni di coltello su ulteriori resti scheletrici che furono trovati sull'isola dell'arcipelago artico canadese King William.Gli storici hanno tentato di ricostruire gli ultimi giorni dell’equipaggio, e arrivarono alla conclusione che si verificarono casi di avvelenamento da piombo, fame ed addirittura cannibalizzazione. Infatti, sembra che alcuni degli uomini furono mutilati e parti del corpo furono trovati in pentole. Nel 1981, oltre 100 anni dopo il ritorno a casa dell'ultima spedizione di ricerca, l'antropologo dr. Owen Beattie scoprì che la quantità di piombo nelle ossa di alcuni uomini era esponenzialmente alta, portando alla teoria che l'avvelenamento da piombo potrebbe essere stato uno dei fattori che contribuirono alla fine della spedizione. Beattie supponeva inoltre che il cibo in scatola della spedizione, acclamato come tecnologia all'avanguardia e immagazzinato in abbondanza, fosse stato contaminato dalla saldatura al piombo usata per sigillare le scatolette e fosse la causa più probabile.

    Costruita dalla Royal Navy a Pembroke Dockyard, nel Galles, nel 1826. La HMS Terror fu costruita a Topsham, nel Devon, e varata nel giugno 1813. La nave era da bombardamento, con uno scafo estremamente robusto costruita per resistere all'impatto delle esplosioni e fu coinvolta in diverse battaglie della guerra del 1812 contro gli Stati Uniti. Successivamente Terror divenne una nave da esplorazione. L'HMS Erebus fu costruita dalla Royal Navy a Pembroke Dockyard, nel Galles, nel 1826.

    Le navi, si era attorno al 1842, in un mare tempestoso pieno di frammenti di ghiaccio duro come la roccia, si trovarono coinvolte a stare vicine e giunsero sul punto di distruggersi a vicenda. Il ghiaccio si schiantò contro di loro così violentemente che i loro alberi tremarono con un battito che avrebbe distrutto qualsiasi nave normale. L'Erebus fu improvvisamente costretta a girare verso Terror per evitare di schiantarsi a capofitto contro un iceberg che era appena diventato visibile attraverso la neve. Terror non poteva evitare di scontrarsi sia da Erebus che dall'iceberg, quindi una collisione era inevitabile. Le navi si schiantarono violentemente insieme e le loro sartie, ovvero i cavi di canapa o di acciaio che servono a sostenere gli alberi delle navi, rimasero impigliate. L'impatto investi i membri dell'equipaggio mentre gli alberi si spezzarono. Le navi furono bloccate in una morsa distruttiva ai piedi dell'iceberg fino a quando alla fine Terror non salì oltre l'iceberg ed Erebus si liberò.

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    Al loro ritorno in Inghilterra l'Erebus e Terror furono nuovamente riparate e preparate per salpare dalla Gran Bretagna verso l'attuale Nunavut nel Canada settentrionale per un viaggio di esplorazione scientifica e geografica sempre attraverso il Passaggio a Nord-Ovest. Infine le navi, all'inizio del 1845, salparono nuovamente per il famigerato Passaggio a Nord Ovest e furono avvistate per l'ultima volta dalla baleniera Enterprise il 28 luglio 1845 in attesa che il ghiaccio si liberasse nel Lancaster Sound - il passaggio largo circa 50 km tra l'isola di Devon e l'isola di Baffin nel territorio canadese del Nunavut - ed iniziassero il loro viaggio verso lo stretto di Bering. Le ultime informazioni certe che si hanno è che Terror ed Erebus furono abbandonate il ​​22 aprile 1848 e ciò è confermato da un messaggio lasciato dai capitani Francis Crozier della HMS Terror e da James Fitzjames della HMS Erebus.


    Source: Varie fonti e Royal Naval Museum, Greenwich.

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    La stazione televisiva WTLF, ha contattato Michael Mann, l'illustre professore di scienze atmosferiche e direttore dell'Earth System Science Center - Penn State, per conoscere il suo pensiero in merito alla COP26 di quest'anno.


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    La ricerca di Michael Mann si concentra sulla scienza del clima e sui cambiamenti climatici. È stato selezionato da Scientific American come uno dei cinquanta principali visionari della scienza e della tecnologia nel 2002, è stato insignito della medaglia Hans Oeschger dell'Unione geofisica europea nel 2012. Ha ricevuto il Tyler Prize for Environmental Achievement 2019 ed è stato eletto alla National Academy of Sciences nel 2020.

    Where the Leaves Fall (WtLF): Quali ritieni siano le questioni più urgenti da affrontare per la COP26 e perché?

    Michael Mann: Dobbiamo fare in modo che i paesi industriali si decarbonizzino rapidamente, accettando di ridurre le emissioni di carbonio di oltre il 50% nel prossimo decennio, convincendo le nazioni in via di sviluppo ad impegnarsi a scavalcare i combustibili fossili e ad adottare la tecnologia delle energie rinnovabili.

    WtLF: Quali risultati (e misure pratiche) vorresti vedere emergere dalla COP26?

    Michael Mann: Come già ho detto, impegno da parte di tutte le nazioni.

    WtLF: Quanto sei ottimista sul fatto che la COP26 porterà un cambiamento positivo, e perché?

    Michael Mann: Sono molto ottimista perché gran parte del lavoro necessario sta avvenendo in anticipo, cioè vari paesi si impegnano a migliorare sostanzialmente i loro impegni precedenti (di Parigi). Ma questo dovrà essere attuato sotto forma di politiche in grado di realizzare le necessarie riduzioni di carbonio. Nonostante quello che dicono alcuni (come Bill Gates), gli ostacoli non sono più tecnologici. È semplicemente una questione di volontà politica, qui negli Stati Uniti e altrove.

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    WtLF : Cosa devono cambiare i leader mondiali e tutti gli altri a livello personale?

    Michael Mann: Come sottolineo nel mio recente libro, The New Climate War, l'azione collettiva è fondamentale. Mentre ci sono cose che possiamo e dovremmo fare nella nostra vita quotidiana per ridurre il nostro impatto ambientale personale e la nostra impronta di carbonio, ciò di cui abbiamo veramente bisogno è che le persone si uniscano, votino, usino la loro voce, per chiedere che i nostri politici sostengano politiche che decarbonizzeranno rapidamente la nostra economia. Né tu né io possiamo fornire sussidi per l'industria delle energie rinnovabili, stabilire un prezzo per il carbonio o bloccare nuove infrastrutture per i combustibili fossili. Abbiamo bisogno che i nostri politici facciano queste cose.

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    WtLF: È praticamente possibile per le nazioni ridurre le emissioni di carbonio di oltre il 50% in un decennio? Quali sarebbero i primi passi in tal senso?

    Michael Mann: Ciò di cui abbiamo bisogno, ripeto, sono questioni politiche, come il prezzo del carbonio e sussidi per le energie rinnovabili, che accelereranno la transizione già in atto dei combustibili fossili.

    WtLF: Gli obiettivi decennali sono troppo facili per i governi, che potrebbero essere eliminati dal potere, per rinnegare?

    Michael Mann: È fin troppo facile fare promesse su un futuro lontano (ad esempio, 2050) quando la maggior parte di questi politici non sarà nemmeno in giro, e fare promesse generiche che non sono supportate da politiche reali che possono mantenerle. Ecco perché abbiamo bisogno di impegni a breve termine che portino alla decarbonizzazione della nostra economia. Anche la conservatrice International Energy Agency ha affermato che mantenere il riscaldamento al di sotto dei pericolosi livelli planetari (1,5 °C) non richiede nuove infrastrutture per i combustibili fossili. Ciò significa niente più miniere di carbone e niente più gasdotti. Sia il presidente degli Stati Uniti Biden che il primo ministro del Regno Unito Johnson possono essere criticati per aver parlato del discorso, ma non per aver camminato in questo senso. Il discorso è buono, ma costa poco. Abbiamo bisogno di impegni reali e di politiche che li sostengano.

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    Come affrontare l'innalzamento del livello del mare: Adattamento e/o mitigazione, ovvero considerare le due strategie non come alternative ma potenzialmente complementari che certamente non si escludono a vicenda per affrontare il cambiamento climatico.


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    La sfida di affrontare gli impatti del cambiamento climatico, in genere, è spesso inquadrata in termini di due possibili percorsi che la civiltà potrebbe intraprendere:

    - La mitigazione comporta la riduzione dell'entità del cambiamento climatico stesso e può essere suddivisa in due strategie alternative: riduzione delle emissioni (affrontare il problema alla radice) e geoingegneria (compensare in qualche modo gli effetti delle emissioni di gas serra);

    - L'adattamento, al contrario, implica sforzi per limitare la nostra vulnerabilità agli impatti del cambiamento climatico attraverso varie misure, senza necessariamente affrontare la causa sottostante di tali impatti.

    Il riferimento a detti sforzi c’è da precisare che le misure adattive, in genere, si occupano solo degli impatti sulla civiltà umana; non hanno e, anzi, non possono affrontare gli impatti sugli ecosistemi e sul nostro ambiente. È improbabile che le barriere coralline, ad esempio, si adattino al duplice impatto del riscaldamento globale e dell'acidificazione degli oceani. Un caso simile può essere fatto per altri ecosistemi e esseri viventi. Ad un certo livello, tali considerazioni mettono in discussione cosa intendiamo veramente per adattamento. Se dovessimo assistere al crollo di importanti ecosistemi come le barriere coralline, assisteremmo a loro volta alla perdita dei servizi ecosistemici che forniscono una perdita potenzialmente catastrofica per la civiltà umana. Tali considerazioni mettono in discussione se possiamo davvero definire la nostra vera capacità di adattamento ai cambiamenti climatici in un modo che sia separato dai maggiori impatti sul nostro ambiente.

    ADATTAMENTO AGLI IMPATTI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO PER AFFRONTARE L'INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEL MARE

    La trasformazione delle coste adiacenti alle piccole insenature di marea indotta dal cambiamento climatico, è un progetto di strategie di adattamento costiero per affrontare l'innalzamento del livello del mare. È quasi certo, infatti, che le migliaia di piccole insenature di marea e le loro coste adiacenti su tutto il pianeta, saranno influenzate dal cambiamento climatico in molteplici modi, poiché il loro andamento è strettamente legato a fattori sia oceanici che terrestri come il flusso dei fiumi, il livello del mare e le onde oceaniche, che si prevede cambieranno nel corso del 21° secolo.

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    Le zone costiere in prossimità delle insenature di marea, che sono comunemente utilizzate per la navigazione, l'estrazione di sabbia, l’ampliamento dei lungomari, la pesca e la ricreazione, sono sottoposte a una pressione demografica particolarmente elevata. L'intensa concentrazione della popolazione e l'eccessivo sfruttamento delle risorse naturali in queste aree potrebbero portare alla perdita di biodiversità, alla distruzione degli habitat, all'inquinamento, nonché ai conflitti tra potenziali usi che saranno solo esacerbati dal cambiamento climatico prefigurato. Sebbene pochissimi studi recenti abbiano interessato gli impatti del cambiamento climatico su insenature di marea molto grandi, la natura e l'entità degli impatti del cambiamento climatico su piccole insenature di marea comuni lungo le coste di tutto il pianeta rimane praticamente poco studiato fino ad oggi.

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    Di fronte all'innalzamento del livello del mare e all'intensificarsi degli eventi estremi, le popolazioni che vivono sulle coste stanno sviluppando risposte per affrontare le situazioni locali. Per questo sono d’aiuto diversi scienziati che lavorano per analizzare alcune strategie in base alla complessità della loro attuazione, sia istituzionalmente che tecnicamente. Innanzitutto, occorre distinguere tre paradigmi apparentemente opposti:

    - combattere l'innalzamento del livello del mare (mitigazione), evento a dir poco trascurato nella recente COP26;
    - adattarsi alle nuove condizioni climatiche;
    - osservare il livello di gestione integrata delle strategie.

    Affrontare l'innalzamento del livello del mare derivante dal cambiamento climatico è una delle più grandi sfide sociali di questo secolo. Secondo l'IPCC Special Report on Ocean and Cryosphere nel rapporto “Changing Climate” (2019), il livello medio globale del mare è aumentato di 17 cm nel corso del XX secolo, e questo fenomeno sta accelerando. Pertanto, entro il 2050, saranno esposti a rischi puri, ovvero quelli caratterizzati da un'altissima probabilità di accadimenti, circa 800 milioni di persone che vivono in aree pianeggianti vicino alle coste.

    L'innalzamento del livello del mare comporta infatti una serie di rischi per le aree costiere, in particolare per le megalopoli adiacenti alle spiagge, le regioni tropicali e le piccole isole. Questi rischi includono periodi di immersione permanenti e/o brevi, interruzione del funzionamento dell'ecosistema costiero con la successiva distruzione, salinizzazione del suolo e delle falde acquifere e modifica dei sistemi di drenaggio naturale. Entro il 2100 gli eventi estremi diventeranno molto frequenti, indipendentemente dallo scenario di emissioni e, secondo Rafael Almar del “Laboratoire d'Etudes en Géophysique et Océanographie Spatiales (LEGOS), IRD, Toulouse, Francia" (Il laboratorio di ricerca francese in oceanografia mediante telerilevamento nello spazio), si prevede appunto che più regioni saranno esposte ad inondazioni soprattutto costiere, a meno che non vengano attuate strategie efficaci di mitigazione delle inondazioni negli anni a venire.

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    Sulla base delle informazioni e delle raccomandazioni dei rapporti (IPCC, 2019) —" Intergovernmental Panel on Climate Change” (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) e della ricerca condotta a livello locale, i rappresentanti eletti dai cittadini ed i gestori del rischio costiero esercitano i loro sforzi organizzativi su diverse scale per definire meglio strategie di adattamento efficaci. Questi ultimi sono responsabili dell'attuazione di piani d'azione per il clima caso per caso, che includono diversi parametri come la vulnerabilità ed un'ampia gamma di fattori socioculturali ed economici. Ma, mentre le proiezioni dell'innalzamento del livello del mare globali sono essenziali, non sono sufficienti per supportare le decisioni per l'adattamento locale. In effetti, il livello del mare non si alza in modo uniforme. Inoltre, più piccola è la scala, più il livello del mare e l'esposizione ai rischi costieri dipendono da fattori diversi dal clima.

    TIPOLOGIE DI RISPOSTE DI ADATTAMENTO ALL'INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEL MARE

    PROTEZIONE INCISIVA MA DIFFICILE

    Le risposte alle protezioni forti sono diffuse e concentrate soprattutto nell'Europa nordoccidentale e nell'Asia orientale. Sebbene non vi sia alcun limite tecnologico, non forniscono però una risposta affidabile e a lungo termine ai rischi costieri poiché possono esacerbare l'erosione, influenzare il fondale e le coste vicine e diminuire la capacità della costa di rispondere in modo naturale alle mutevoli condizioni che si vengono a presentare. Le protezioni forti sono efficaci nella stabilizzazione della battigia, ma causano disastri e possono destabilizzare la spiaggia inducendo il dilavamento e l'erosione verso il basso; i frangiflutti e scogliere artificiali (ingegneria costiera), che riducono l'attività delle onde e l'energia lungo la costa, troppo lunghi o troppo alti, sono efficaci nella costruzione di spiagge ma tendono ad accelerare l'erosione da deriva, e sono inefficaci perché intrappolano troppi sedimenti. Sta di fatto che, qualunque siano le risposte possono alterare il funzionamento complessivo dell'ecosistema costiero, degradare la qualità dei servizi ecosistemici e portare alla perdita di habitat o alla riduzione della diversità delle specie. E mentre esiste la tecnologia per costruire enormi dighe marine, i vincoli economici e l'accettabilità sociale ne precluderanno la fattibilità.

    I Paesi Bassi sono i più emblematici in termini di implementazione di risposte dure, grazie alla lunga esperienza del paese nello sviluppo di dette infrastrutture. Tuttavia, negli ultimi anni, lo sviluppo di una visione integrata e guidata dalle parti interessate della costa futura, ha portato alcuni organi di governo a riconsiderare la strategia nazionale olandese, favorendo l'adattamento al cambiamento piuttosto che alla lotta. Entro il 2025, il governo olandese ha dato la priorità allo sviluppo sostenibile delle aree costiere come strategia per il 21° secolo, scegliendo di integrare meglio i sistemi naturali durante la progettazione delle strategie.

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    Una devastante inondazione accaduta nel 2010 a Benin (Paesi Bassi).



    PROTEZIONE LEGGERA

    Questo tipo di protezione, originariamente radicate nei Paesi Bassi, riguardano strategie che ancora combattono contro l'intrusione marina, ovvero l'innalzamento del livello del mare e inondazioni costiere, ma applicano un approccio integrato piuttosto che una protezione forte. La consapevolezza degli impatti negativi della protezione dura sui modelli di erosione e sedimentazione, nonché sugli ecosistemi e sui servizi che forniscono, ha portato però ad un crescente riconoscimento dei benefici della protezione leggera. Le riabilitazioni delle dune con il ripascimento delle spiagge, consentono alle coste di rispondere dinamicamente al cambiamento e presentano risposte come parte di una strategia "costruire con la natura" che fornisce una risposta efficace per proteggere le spiagge e le aree costiere. Le risposte ottimali per il ripascimento di spiagge e coste offrono benefici economici e sociali e possono ridurre la migrazione forzata, sebbene l'adattamento morbido sia una risposta temporanea all’innalzamento del livello del mare.

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    Tuttavia, la letteratura riferisce di cambiamenti fisici e biologici negativi che possono verificarsi nei servizi ecosistemici della spiaggia, così come altri impatti ecologici e sociali; una questione aperta per lo sviluppo del ripascimento è l'accessibilità alla sabbia compatibile con la spiaggia, infatti, non tutte le coste hanno grandi riserve di sabbia. Il più grande esperimento di ripascimento al mondo è stato condotto sulla costa olandese che, disponendo di ampie riserve, ha dimostrato che questa strategia può avere impatti socio-economici, in particolare sulle attività ricreative. Pertanto, è degno di nota il crescente interesse per lo sviluppo di soluzioni di ingegneria morbida adattabili, sostenibili ed efficaci, diverse dal ripascimento delle spiagge, per preservare le coste sabbiose.

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    Il cambiamento climatico e la subsidenza richiedono una nuova visione a lungo termine per la manutenzione delle coste ed i Paesi Bassi sono un tipico esempio di resilienza. Un terzo dei Paesi Bassi si trova sotto il livello del mare (fino a quasi sette metri) ed è opinione diffusa che rimangono il delta più sicuro al mondo, ben preparati In tutte le circostanze. Tipico esempio di rafforzamento della costa applicando sabbia ogni anno (ripascimenti di sabbia).



    TECNICHE DI PIANIFICAZIONE COSTIERA PER RIDURRE LA VULNERABILITÀ

    Queste risposte tengono conto dell'innalzamento del livello del mare ipotizzato quando si adattano alle infrastrutture esistenti alle mutevoli condizioni climatiche. Le risposte non sono omogenee, ma comprendono metodi diversi con un obiettivo comune: mitigare i rischi costieri. C'è da mettere in rilievo che piuttosto che costruire infrastrutture, le risposte delle tecniche di pianificazione costiera comprendono invece una varietà di risposte tecnologiche, architettoniche e urbanistiche.

    Trasformare le città per diventare più sostenibili è possibile? La sostenibilità ambientale urbana incoraggia la rivitalizzazione e la transizione delle aree urbane e delle città per migliorare la vivibilità, promuove l'innovazione e riduce gli impatti ambientali massimizzando i benefici economici e sociali. Includono tecnologie e innovazioni che modificano fisicamente gli edifici o le infrastrutture esposti, che vengono protetti individualmente, adattando i sistemi di drenaggio urbano o sviluppando alloggi galleggianti, ed esplorano alternative che includono anche sistemi di informazione, mappatura del rischio di alluvione, piani di emergenza e schemi assicurativi che migliorano la comprensione e la consapevolezza dei rischi costieri tra i residenti e le istituzioni e consentono lo sviluppo di risposte appropriate.

    Queste risposte di accomodamento possono anche comportare il rafforzamento della capacità di monitoraggio, la definizione di nuove regole e di politiche sociali, la produzione e la diffusione di informazioni utili e la promozione di comportamenti più sicuri. La maggior parte delle risposte in materia delle tecniche di pianificazione costiera tendono ad essere ad alta intensità di risorse in termini di sistemi di monitoraggio, studi, comunicazione, sviluppo di nuove strategie per la protezione e gestione delle coste.

    Tuttavia le tecniche di pianificazione costiera - che sono ancora insufficientemente sviluppate, ad eccezione dei sistemi di allerta precoce in diversi paesi, come ad esempio nella città di Cotonou, la più popolosa del Benin (Africa occidentale), grazie a questo sistema ed a una simulazione dei rischi di alluvione, è in grado di identificare e proteggere i villaggi più vulnerabili. Sta di fatto però che in alcuni paesi in cui esistono queste tecniche, i successivi controlli evidenziano che i sistemi falliscono a causa della mancanza di manutenzione.

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    ADATTAMENTO BASATO SULL'ECOSISTEMA COME RISPOSTE DI PROTEZIONE

    Le risposte di adattamento basato sull'ecosistema come risposte di protezione, che include il ripristino di paludi salmastre, mangrovie, banchi di ostriche o le barriere coralline che limitano la furia dell'oceano sulle coste consiste nel lasciare che gli ecosistemi costieri mitighino le inondazioni marine e l'erosione costiera e ridurre i rischi per le persone che ci vivono.

    È stato dimostrato da diversi studiosi quanto sia importante l'efficienza delle mangrovie, delle paludi salmastre, dei banchi di ostriche e delle barriere coralline che pone in evidenza come e in quali condizioni questi ecosistemi possono attenuare la potenza delle onde, ridurre l'erosione e, più in generale, migliorare la protezione delle coste. Tuttavia, con l'evoluzione del clima nel prossimo secolo, l'interazione dell'accelerazione dell'innalzamento del livello del mare e delle tempeste, combinate con lo sviluppo e le infrastrutture confinanti, porrà maggiori sollecitazioni sui sistemi fisici, ecologici e umani lungo il margine oceano-terra. Molti di questi apprezzati sistemi costieri potrebbero raggiungere "punti critici", in corrispondenza dei quali l'esposizione ai pericoli aumenta sostanzialmente e minaccia la forma, la funzione e la vitalità attuali di comunità, infrastrutture ed ecosistemi.

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    Inoltre, Jinjuan Gao e Teresa M. Konlechner dell’Università di Melbourne (Australia), nel 2020 hanno pubblicato una recensione sulla migrazione delle dune costiere, le tendenze e i fattori dominanti della loro mobilità concludendo che l'intervento umano ha svolto un ruolo dominante nell'alterarla. Più a livello globale, gli ecosistemi costieri sono minacciati se sono intrappolati tra il mare e l'ambiente costruito, in mancanza delle condizioni naturali che consentano loro di muoversi. L'implementazione dell’adattamento basato sull'ecosistema come risposte di protezione, equivale a definire come una “soluzione basata sulla natura” per affrontare sfide socio-ambientali come il cambiamento climatico. Queste soluzioni richiedono però una profonda comprensione dell'ecologia delle specie coinvolte in quanto aumentano il rischio di introdurre nuove specie invasive, mettendo così in discussione il loro utilizzo come implementazione dell’adattamento basato sull'ecosistema. Ad esempio, l'esame della nicchia fondamentale e realizzata delle ostriche ha dimostrato che i banchi rispondono in modo diverso a un'ampia gamma di fattori biotici e abiotici, che variano da località a località, il che richiede ulteriori indagini per migliorare i servizi forniti da questi ecosistemi.

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    CITTÀ RESILIENTI, INTELLIGENTI E SOSTENIBILI: IL POTERE DELLE SOLUZIONI BASATE SULLA NATURA

    Il ripristino delle ostriche può introdurre specie invasive, soprattutto in condizioni climatiche mutevoli, ed evidenziare il potenziale di una maggiore invasività a causa degli effetti del cambiamento climatico e il rischio concomitante per le specie e gli habitat nativi nelle regioni temperate. Il ripristino delle mangrovie ha il valore aggiunto di fornire co-benefici come il sequestro del carbonio e la fornitura di habitat. Oltre all'adattamento all’innalzamento del livello del mare, le paludi costiere, le alghe e le mangrovie sono indicate come "carbonio blu" a causa del loro contributo allo stoccaggio del carbonio a lungo termine. Le paludi salmastre, le mangrovie, le barriere coralline e le ostriche forniscono anche molteplici funzioni ecologiche, come aree di cura per pesci e crostacei, luoghi di riposo per uccelli migratori e filtrazione delle acque sotterranee e superficiali. Sempre più scienziati e istituzioni internazionali sottolineano l'uso dell’adattamento basato sull'ecosistema per collegare l’innalzamento del livello del mare alla conservazione della biodiversità. Però, ad esempio, altri studiosi mostrano invece che i diversi progetti di riabilitazione dell'ecosistema costiero, compresi i progetti di ripristino delle mangrovie che coprono vaste aree costiere, offrono molteplici vantaggi per le specie costiere, nonché la mitigazione e l'adattamento al clima.

    RITIRO GESTITO PER AFFRONTARE I RISCHI COSTIERI PER PROTEGGERE PERSONE E BENI DAI RISCHI COSTIERI

    Mentre l’innalzamento del livello del mare rimodellerà gli ecosistemi costieri e la distribuzione delle popolazioni, globalmente il ritiro gestito implica il ripensare alla vita sulla costa accettando che alcune infrastrutture costiere, quartieri o persino città dovranno essere completamente trasferiti. Questa risposta può avvenire a diverse scale e livelli di complessità: il reinsediamento di alcune case particolarmente esposte, il trasferimento di interi quartieri, di grandi città, o il trasferimento di intere popolazioni insulari in nuovi paesi ospitanti. Maggiore è la scala geografica in cui viene implementato il ritiro gestito, più sono necessarie pianificazione e cooperazione anticipate. Inoltre, se questa risposta sembra essere il modo più efficace per proteggere persone e beni dai rischi costieri, alcuni studiosi hanno dimostrato che la sua attuazione è complessa e spesso molto controversa, sia politicamente che socialmente. Il ritiro gestito solleva infatti una serie di considerazioni sociali, culturali, psicologiche ed economiche. Di conseguenza, il ritiro è generalmente effettuato dopo eventi estremi, senza pianificare in anticipo. Tuttavia, attualmente ci sono comunità che pianificano strategie di ritiro gestito e lavorano alla definizione di percorsi per arrivarci.

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    La comprensione dell'adattamento costiero da parte dei responsabili politici e dei gestori del rischio costiero si è evoluta negli ultimi due decenni, così come gli approcci, i processi politici e le risposte sviluppate per affrontare i rischi costieri. In linea con gli studi sull'adattamento ai cambiamenti climatici in generale, è necessario rafforzare la frequenza temporale e la risoluzione geografica dei dati attraverso sistemi di osservazione multi-sorgente o processi di grandi estrazioni di dati. Inoltre, il miglioramento dei sistemi di informazione e monitoraggio offrirebbe una migliore valutazione degli effetti delle diverse risposte di adattamento. Ciò è particolarmente vero in termini di costi dei danni e riduzione della vulnerabilità per ecosistemi, economie e comunità. Quindi, per implementare e facilitare la governance delle politiche di adattamento e fare un uso migliore delle conoscenze multidisciplinari sarà la chiave del successo. Queste condizioni sono necessarie per il dispiegamento di azioni efficaci, coinvolgendo e sensibilizzando tutti le parti interessate, come già riferito, dai gestori delle coste ai cittadini, per un adattamento all'altezza delle grandi sfide del futuro.

    Se questa lettura è stata di tuo gradimento continua a seguirci qui troverai elencati tutti i miei post. Tra gli argomenti: il nostro pianeta, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità e tanto altro. Come si evince dalle nostre "Statistiche", con oltre 5.000 articoli e commenti!
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    La "pesca di plastica" è un modo creativo per ripulire le nostre spiagge e l'oceano. Ora c'è un'armata di pescatori in tutto il mondo, che raccoglie pezzi di plastica dalle nostre spiagge.


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    Come tanti in tutto il mondo, preoccupati per la crescente crisi della plastica nel pianeta, con previsioni cupe che in peso ci sarà più plastica che pesci nell'oceano, Rodrigo Butori, un brasiliano residente negli Stati Uniti, a soli 30 anni ha ideato un sistema che vuole dare l'esempio per responsabilizzare le persone a rispettare il mare.

    Così Butori si è recato sulla spiaggia della sua casa adottiva a Surfside, un comune degli Stati Uniti d'America situato nella parte settentrionale della Contea di Miami-Dade dello Stato della Florida, per ripulire tutta la spiaggia disseminata di plastica. Ed è stato allora che ha avuto il suo momento ironico: "Ho iniziato a raccogliere la plastica in questa spiaggia ed a fare dei pesciolini. L'oceano e il mare sono per i pesci, non per la plastica. Ho iniziato con questo post, e mi sono detto: OK, c'è qualcosa di interessante per ripulire tutta la spiaggia. Secondo post, terzo post. Dunque ho iniziato a chiamarlo "Plastic fisherman" (pescatore di plastica), e da allora c'è stato un crescendo d'interesse. La spiaggia, l'acqua e l'oceano sono sempre stati una parte smisurata della mia vita. Immersioni, pesca, ho surfato in tutto il mondo, quindi l'oceano mi ha dato così tanto che si è insinuato un tarlo nella mia mente che mi diceva che devi fare qualcosa.

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    Il suo primo post risale al febbraio 2020. Ora, la sua pagina "Plastic Fisherman" ha generato account in tutto il mondo, dalla Germania, al Giappone e al Brasile. "Ora c'è una moltitudine di pescatori in tutto il mondo, che raccoglie pezzi di plastica dalle nostre spiagge, creano opere d'arte e poi li smaltiscono come si deve. Con la plastica costruisci un pesce, scatta una foto, la condividi su Instagram e invita gli altri a fare lo stesso", dice Butori, che invita tutti a usare l'hashtag #plasticfishing per poter ripubblicare sulla sua pagina Instagram. Secondo il Plastic fisherman questo è un modo divertente per risolvere un problema serio, trasformando un obbligo morale in un'attività ludica. Ed è una forma di protesta e consapevolezza sul fatto che la plastica sta prendendo il posto dei pesci negli oceani.

    Butori sostiene che se tutti possono farlo, si potrà avere qualcosa e questo è quello che sta si cercando di fare. La triste verità è che c'è una sovrabbondanza di materiale, "banchi" di pesci di plastica che sciamano su tutte le spiagge, aspettando solo di essere raccolti.

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    Il mondo scarica ogni anno 8 miliardi di kg di plastica nell'oceano, l'equivalente di un camion della spazzatura che scarica un carico di plastica in mare ogni minuto al giorno. E la produzione mondiale di plastica dovrebbe quadruplicare entro il 2030.

    "È tutta una questione di volume, quindi più persone lo fanno, più plastica viene rimossa e più pulite saranno le nostre spiagge, questo è il nostro tesoro ed è un tesoro prezioso., dice Butori

    L'obiettivo di Butori è portare la pesca della plastica nelle scuole del sud della Florida, sapendo che se vengono coinvolti i bambini in giovane età, cresceranno conoscendo meglio e faranno scelte migliori. Ma in realtà spetta a tutti noi ridurre drasticamente il nostro consumo di plastica. Smettiamo dunque di usare la plastica monouso, non accettiamo sacchetti di plastica, smettiamo di usare bottiglie di plastica per l'acqua. Tutti noi possiamo e dobbiamo fare la differenza.

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    La filiale britannica PBI UK dell'organizzazione leader mondiale per i diritti umani, e DeSmog un blog che si dedica al cambiamento climatico, sostengono: "Chi ha più delegati al vertice COP26? L'industria dei combustibili fossili"!


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    A conclusione della COP 26, "Peace Brigades International UK"(PBI UK), la filiale britannica dell'organizzazione leader mondiale per i diritti umani, una delle principali ONG che lavora per proteggere i difensori dei diritti umani a rischio e DeSmog, riflettono sulle voci che sono rimaste inascoltate, sottovalutate e scarsamente rappresentate; così come quelli che erano eccessivamente rappresentati.

    Una recente analisi dell'elenco dei partecipanti nominati da parte di "Global Witness, Corporate Accountability, Corporate Europe Observatory" (CEO) e "Glasgow Calls Out Polluters" ha rivelato che ad almeno 503 lobbisti di combustibili fossili, affiliati ad alcuni dei più grandi giganti mondiali del petrolio e del gas, è stato consentito di accedere alla COP26. Ciò ha permesso a loro di continuare a ritardare, distrarre e deviare dall'azione di cui abbiamo bisogno per affrontare la crisi climatica, in gran parte causata dalle loro industrie.

    Questo numero, che rappresenta i delegati di oltre 100 aziende di combustibili fossili e 30 associazioni commerciali e associative, è più grande di qualsiasi delegazione di un singolo paese o delle delegazioni combinate dei paesi più colpiti dai cambiamenti climatici negli ultimi due decenni: Porto Rico, Myanmar, Haiti, Filippine, Mozambico, Bahamas, Bangladesh e Pakistan.

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    Questa sovra rappresentazione - con un rapporto di circa due a uno - è ancora più scioccante se considerata insieme alla sotto rappresentazione di migliaia di potenziali partecipanti impossibilitati a partecipare a causa di problemi di visto, mancanza di accesso ai vaccini Covid ed ingombranti restrizioni di quarantena, ovvero a coloro che sono i più colpiti dai cambiamenti climatici: i popoli indigeni, i difensori dei diritti della terra e dell'ambiente e le comunità del Sud del mondo.

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    I 503 delegati per i combustibili fossili hanno pertanto sminuito il collegio elettorale indigeno ufficiale dell'UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), ovvero della "Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite". Significa, ripetiamo, che c'erano il doppio dei lobbisti dei combustibili fossili ai negoziati sul clima, rispetto alle persone nel collegio elettorale ufficiale delle Nazioni Unite per gli indigeni.

    Un'analisi di DeSmog, un blog che si concentra su argomenti legati al riscaldamento globale, effettuata nel corso del recente vertice, ha rilevato e confermato alla fine dei "lavori" che diversi importanti paesi produttori di petrolio hanno riunito le loro delegazioni a Glasgow con dirigenti dell'industria petrolifera e del gas e funzionari dei loro ministeri del petrolio. In alcuni casi, secondo il blog, il personale delle aziende petrolifere rappresentava porzioni significative della loro delegazione nazionale complessiva.

    Gli organizzatori britannici della conferenza sul clima hanno rifiutato con molta evidenza e pubblicamente di offrire alle compagnie petrolifere internazionali qualsiasi spazio o qualsiasi ruolo formale nell'evento; anche a quelle prive di programmi climatici credibili è stato impedito di sponsorizzare eventi ai recenti colloqui internazionali di alto livello. Ma ciò non ha impedito alle le maggiori società a livello mondiale - operanti nei settori energetici e, in particolare, nella ricerca, produzione, trasporto, trasformazione e commercializzazione di petrolio, gas naturale e carbone, e/o nella produzione di energia elettrica sia da combustibili fossili sia da fonti rinnovabili - e alle compagnie petrolifere statali di presentarsi sotto le spoglie di gruppi commerciali o delegazioni nazionali. L'elenco ufficiale dei partecipanti è pieno di dirigenti e dipendenti delle più grandi compagnie petrolifere quotate in borsa del mondo, tra cui Royal Dutch Shell, conosciuta come Shell e la BP plc, originariamente Anglo-Persian Oil Company, in passato anche British Petroleum.

    Sta di fatto che i principali paesi degli Stati del Golfo hanno inviato i loro funzionari e, tra le delegazioni nazionali, spiccavano i produttori di petrolio del Medio Oriente, con l'Arabia Saudita che ha inviato circa trenta persone che lavorano direttamente per la compagnia petrolifera statale Saudi Aramco, tra le più grandi compagnie petrolifere al mondo e il più importante finanziatore del governo saudita, o hanno precedentemente lavorato per la compagnia. Ciò ha rappresentato circa il 45% dell'intera delegazione saudita.

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    Responsabile tecnico @ Pioneers Engineering Corporation Arabia Saudita


    Altri Stati del Golfo hanno avuto modelli simili. Più di un quarto dei 64 membri della delegazione del Kuwait è giunta a Glasgow mandata dal Ministero del Petrolio o da aziende statali come la Kuwait Oil Company, la Kuwait Oil Tanker Company e la Kuwait Petroleum International. Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno inviato almeno 20 funzionari del Dipartimento dell'Energia, della compagnia petrolifera statale Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC) o compagnia petrolifera Abu Dhabi National Energy Company PJSC (TAQA)‎, quotata in borsa.

    L'Abu Dhabi National Oil Co. (ADNOC), un'azienda statale petrolifera degli Emirati Arabi Uniti. ha firmato, martedì 10 novembre, un accordo di collaborazione tecnica con l'Abu Dhabi National Energy Company (TAQA) per valutare una serie di soluzioni e tecnologie relative allo sviluppo di risorse di idrocarburi non utilizzate da Abu Dhabi.

    In alcuni casi, l'affiliazione con l'industria petrolifera è stata dichiarata pubblicamente nell'elenco dei partecipanti alla COP26. Ad esempio, Hamoud R. AlOtaibi è registrato come consulente senior sui cambiamenti climatici per il Ministero dell'Energia dell'Arabia Saudita, ma secondo la sua pagina LinkedIn, lavora come consulente per Saudi Aramco, una compagnia nazionale saudita di idrocarburi. Mohammed A. Alakil ha semplicemente partecipato sotto il ministero dell'Energia saudita attiva nel settore petrolchimico, chimico, dei polimeri industriali, fertilizzanti e metalli, acquisita per il 70% da parte di Aramco.

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    Il nostro Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi assiste
    con attenzione ad un benvenuto molto scozzese al vertice sui cambiamenti climatici della COP26.


    COP26 World Leaders Summit, conferenza stampa del Presidente Draghi.


    La delegazione saudita è piena di molti altri ex dipendenti di Aramco. Khalid M. Abuleif è il principale negoziatore dell'Arabia Saudita alla COP26, una posizione che ricopre dal 2012. Abuleif è laureato in ingegneria all'Università di Houston e ha iniziato a lavorare presso Aramco, la compagnia petrolifera e di gas naturale del governo saudita, nel 1997. È diventato capo negoziatore per il clima per l'Arabia Saudita nel 2012, dopo essere stato membro della delegazione del paese per l'UNFCCC dal 1991.

    A dire il vero, i piani dell'Arabia Saudita per aumentare la produzione di petrolio sono ben noti e il suo piano climatico si basa fortemente su tecnologie speculative di cattura del carbonio in una data lontana nel futuro. L'Arabia Saudita ha recentemente annunciato l'obiettivo di raggiungere lo zero emissioni nette entro il 2060, ma ha offerto pochi dettagli su come ci arriverà. Altri sono elencati con ancora meno dettagli.

    Ma l'impegno pubblico per la produzione di petrolio è rafforzato da pressioni dietro le quinte. La BBC News ha riferito il mese scorso che l'Arabia Saudita, il Giappone e l'Australia sono tra un gruppo di paesi che hanno annacquato il rapporto scientifico chiave che sarà pubblicato dall'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Documenti trapelati mostrano che un consigliere del ministero del petrolio saudita, nel corso del vertice, ha chiesto che frasi come “la necessità di azioni di mitigazione urgenti e accelerate su tutte le scale dovevano essere eliminate dal rapporto". Anche altri paesi hanno inviato delegazioni per annacquare provvedimenti dai combustibili fossili, tra cui gli Emirati Arabi Uniti, Iraq, Kazakistan e Russia. Una scoperta sorprendente nell'analisi di DeSmog è arrivata dalla delegazione dalla Colombia, che ha inviato quasi 30 funzionari del ministero delle Miniere e dell'Energia, nonché dell'Agenzia nazionale degli idrocarburi e persino della Ecopetrol, la principale compagnia petrolifera del paese.

    Felipe Bayón, l'amministratore delegato di Ecopetrol, la più grande compagnia petrolifera in Colombia e la quarta più grande del Sud America, ha viaggiato con la delegazione ufficiale. Anche molti altri dipendenti, ex dipendenti e membri del consiglio di amministrazione di Ecopetrol sono stati presenti a Glasgow sotto la bandiera della Colombia. Il presidente della Colombia alla COP26 ha parlato dell'importanza della protezione delle foreste e della neutralità del carbonio alla; la sua delegazione nazionale, tuttavia, comprende diversi funzionari attuali ed ex dell'industria petrolifera.

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    A dimostrazione che l'industria dei combustibili fossili ha influenzato i colloqui, nelle discussioni si è dovuto evitare di nominare petrolio, gas e carbone come i principali motori del riscaldamento globale, come anche discutere su come impegnarsi a fermare immediatamente la nuova produzione di combustibili fossili. E ciò è imperdonabile. È un riflesso della stretta mortale che gli inquinatori hanno sui responsabili delle politiche e della riluttanza dei governi a mettere le persone al di sopra del profitto.

    LE MAJOR DEL PETROLIO SI SONO PRESENTATE SOTTO MENTITE SPOGLIE

    La presenza di interessi petroliferi non si è fermata ai dipendenti e ai dirigenti delle compagnie petrolifere nazionali e dei ministeri. Nonostante il fatto che gli organizzatori della COP26 abbiano vietato alle compagnie petrolifere di inviare le proprie delegazioni, importanti major petrolifere quotate in borsa - ovvero le maggiori società a livello mondiale operanti nei settori energetici e, in particolare, nella ricerca, produzione, trasporto, trasformazione e commercializzazione di petrolio, gas naturale e carbone, e/o nella produzione di energia elettrica sia da combustibili fossili sia da fonti rinnovabili - hanno trovato anche altri modi per partecipare ai negoziati sul clima. Secondo il conteggio di DeSmog, oltre 30 dirigenti petroliferi hanno avuto accesso ai colloqui grazie ad associazioni imprenditoriali e commerciali - e questi sono solo quelli che hanno elencato pubblicamente le loro affiliazioni con le compagnie petrolifere. Ad esempio, Royal Dutch Shell plc / Koninklijke Nederlandse Shell NV, ha inviato almeno sei dipendenti con più designazioni.

    Steven Schofield, capo della politica climatica di Shell, e Susan Shannon Engeleiter, politica, avvocato e donna d'affari repubblicana americana si sono recati a Glasgow come parte di una delegazione inviata dalla Camera di commercio internazionale. Syrie Crouch, vicepresidente per la cattura e lo stoccaggio del carbonio presso Shell, si è recata/o a Glasgow come parte di BusinessEurope, un gruppo di lobbying con sede a Bruxelles per i grandi interessi economici europei.

    David Bunch, VP of Retail Sales and Operations, ha partecipato alla conferenza come parte dell'Emissions Trading Group del Regno Unito. David Hone, il principale consigliere per il cambiamento climatico di Shell, ha partecipato alla COP26 sotto gli auspici dell'International Emissions Trading Association (IETA). In effetti, IETA ha inviato almeno 15 dirigenti petroliferi a Glasgow, tra cui il CEO di Occidental Petroleum Vicki Hollub, e altri dirigenti di BP, Chevron, TotalEnergies, il gigante minerario Rio Tinto, le aziende che commerciano petrolio come Mercuria e Trafigura e la società canadese di sabbie bituminose Suncor.

    "È scandaloso che a Big Oil venga data una voce così forte a questi colloqui, quando così tante nazioni delle Isole del Pacifico in prima linea nella crisi climatica non sono in grado di partecipare", ha affermato Kavita Naidu, l'avvocato internazionale per i diritti umani e membro del consiglio non esecutivo di Green Peace- Naidu ha espresso sgomento per la mancanza di partecipazione delle donne alla conferenza in una dichiarazione rilasciata a DeSmog. "Se i leader mondiali sono seriamente intenzionati a limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5°C, non avrebbero dovuto consentire ai grandi inquinatori di stabilire l'agenda qui". Parlando con FBC News, Naidu ha anche affermato che le voci delle donne devono essere riconosciute dai leader mondiali in quanto sono le più colpite dai cambiamenti climatici.

    Anche BP ha avuto una grande presenza, con il consulente aziendale Ross O'Brien che viaggiava sotto la bandiera dell'Institution of Mechanical Engineers. Giulia Chierchia, Executive VP su Strategia e Sostenibilità di BP, che ha partecipato al World Business Council for Sustainable Development (Consiglio mondiale delle imprese per lo sviluppo sostenibile). E Celso Fiori, responsabile delle politiche e dei piani di decarbonizzazione, ovvero il processo di riduzione del rapporto carbonio-idrogeno nelle fonti di energia, di BP è andato con la Camera di commercio internazionale.,

    BP E SHELL NON HANNO RISPOSTO ALLE RICHIESTE DI COMMENTO.

    Altre compagnie petrolifere che hanno partecipato nell'ambito di vari gruppi di affari e associazioni di categoria includono la compagnia petrolifera norvegese Equinor e la compagnia petrolifera italiana Eni. Diverse compagnie minerarie multinazionali hanno anche inviato funzionari con le delegazioni di diverse associazioni di categoria.

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    LA DELEGAZIONE PIÙ NUMEROSA?

    L'analisi di DeSmog dell'elenco dei partecipanti alla COP26 non è stata completa. Infatti, un'analisi separata condotta da Corporate Accountability, Corporate Europe Observatory (CEO), ovvero (Responsabilità aziendale, Osservatorio per l'Europa delle imprese), Glasgow chiama in causa gli inquinatori e il testimone globale, documentando la partecipazione di almeno 503 lobbisti di combustibili fossili al vertice, provenienti da oltre 100 aziende di combustibili fossili e 30 operatori del settore.

    Pascoe Sabido, ricercatore e attivista per Corporate Europe Observatory ha dichiarato in una nota :“La COP26 viene venduta come il luogo per aumentare le ambizioni, ma brulica di lobbisti dei combustibili fossili la cui unica ambizione è quella di rimanere in attività. Società del calibro di Shell e BP sono all'interno di questi colloqui nonostante ammettano apertamente di aumentare la loro produzione di gas fossile. Se vogliamo seriamente aumentare l'ambizione, allora i lobbisti dei combustibili fossili dovrebbero essere esclusi dai colloqui e dalle nostre capitali nazionali. Invece, sono i governi e le comunità dei paesi più colpiti dai cambiamenti climatici che si trovano esclusi, nonostante il Regno Unito affermi di aver assicurato un vertice sul clima 'normale', 'sicuro' e 'inclusivo'. Abbiamo bisogno di una politica senza fossili."

    I gruppi di controllo hanno affermato che se i partecipanti all'industria dei combustibili fossili avessero avuto la propria delegazione, sarebbe stato il vertice sul clima più grande persino delle delegazioni combinate dei paesi e dei territori più colpiti dai cambiamenti climatici, tra cui Porto Rico, Myanmar, Haiti, Filippine, Mozambico, Bahamas, Bangladesh e Pakistan.

    I GIOVANI SI SENTONO TRADITI DAL PIANO DELLA COP26

    I giovani che hanno seguito il vertice hanno affermato di sentirsi traditi dal piano della COP26 di ridurre gradualmente il carbone, piuttosto che eliminarlo gradualmente. Un esempio per tutti sono gli studenti inglesi di Bristol e Bath University che hanno affermato: "La mancanza di urgenza della risoluzione è spaventosa e sconvolgente. Come individuo ti senti come se stessi facendo del tuo meglio per far funzionare le cose, ma quando non accade immediatamente su scala globale ti senti davvero insignificante".

    Questa affermazione è confermata da un recente studio che ha dimostrato che l'immediata inazione degli Stati presenti al vertice sulle questioni climatiche è indissolubilmente legata all'"ansia ecologica" nelle persone di età inferiore ai 25 anni. Ed ancora, un ricercatore della Bath University ha affermato che il piano aggraverebbe le ansie dei giovani riguardo all'ambiente. La psicologa ambientale, la professoressa Lorraine Whitmarsh, ha affermato che il loro senso di tradimento è comprensibile.

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    Maria Cundale studentessa di una delle cosiddette università
    "red brick", ovvero conosciute come quelle dei "mattoni rossi".



    RIFLESSIONE

    Avevamo bisogno che i paesi ricchi si facessero avanti realizzando la loro giusta parte nell'azione per il clima, fornendo al contempo un risarcimento per la distruzione di vite e mezzi di sussistenza già causati dal cambiamento climatico nei paesi che hanno fatto meno per creare questa crisi. Invece, i bisogni dei paesi più poveri sono stati messi a freno, a favore dei lobbisti dei combustibili fossili enormemente sovra rappresentati.

    I paesi ricchi hanno cercato di far sembrare che si preoccupassero del cambiamento climatico, ma è chiaro che intendono continuare ad inquinare impunemente, sacrificando i più poveri. L'industria petrolifera e del gas, ancora una volta, è fuori dai guai e lascia la COP26 soddisfatta.

    I paesi in via di sviluppo, già travolti dalla crisi del Covid, dalla disuguaglianza e da una spirale di crisi del debito, avevano un disperato bisogno di enormi aumenti del sostegno finanziario per far fronte agli impatti del cambiamento climatico e del risarcimento dei danni già arrecati. Eppure i paesi ricchi si sono rifiutati categoricamente di mettere i soldi sul tavolo delle trattative, offrendo invece un servizio di assistenza pietoso.

    Brìghde Chaimbeul fa addormentare Biden con la sua bella musica rilassante alla COP26


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    La piper scozzese Brìghde Chaimbeul alla COP26
    fa addormentare Biden con la sua bella musica rilassante.


    Alla COP26, i paesi più ricchi hanno ottenuto ciò per cui sono andati al vertice, mentre i più poveri se ne sono andati senza niente.

    Se questa lettura è stata di tuo gradimento continua a seguirci qui troverai elencati tutti i miei post. Tra gli argomenti: il nostro pianeta, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità e tanto altro. Come si evince dalle nostre "Statistiche", con oltre 5.000 articoli e commenti!
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  7. .

    Secondo i maggiori esperti sul cambiamento climatico, dopo la conferenza sul clima Cop26 a Glasgow, l'obiettivo di mantenere il riscaldamento globale a 1,5°C. è fallito.


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    Sir Dieter Helm, professore di politica ed economia dell'efficienza energetica, ha affermato: i principali attori al vertice non erano al tavolo. Ciò significa che l'obiettivo non si sarebbe potuto raggiungere. Secondo le previsioni ufficiali il mondo si sta dirigendo verso il riscaldamento di 2,4°C. Entro la fine del secolo, ovvero 0,9°C in più con il risultato che molte isole e paesi vulnerabili temono di essere condannati a morte.Per la prima volta, anche se facciamo tutto ciò che tutti i paesi hanno promesso, non possiamo raggiungere 1,5°C".

    Un certo tasso di riscaldamento su scala internazionale farà una grande differenza in termini di siccità, carestie, inondazioni, incendi ed eventi meteorologici estremi. D'altra parte, il riscaldamento del clima porta anche alla mobilità, all'approvvigionamento di cibo e acqua e a una grave crisi di malattie.

    COP26 È UN PUNTO DI SVOLTA? LA RISPOSTA È NO.

    C'è stata questa illusione che il cambiamento climatico sarebbe stato risolto in Gran Bretagna, ma le persone sono state "ingannate". In effetti, il futuro del clima del mondo dipende fortemente dalla Cina, dall'India, dall'Africa subsahariana e dalle foreste pluviali. Guardando a questo vertice, non ci sono grandi attori al tavolo, anche se si è trattato di un impegno volontario.

    È scoppiata invece una lotta tra i sostenitori dell'accordo che alla fine del vertice hanno sostenuto che sono stati compiuti progressi reali e i critici che hanno sottolineato che il risultato di COP26 non è sufficiente per evitare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico.

    Il segretario per il business ombra e l'energia Edward Miliband aveva precedentemente dichiarato: “È nostro compito nei prossimi 12 mesi dimostrare che mantenere in vita 1,5°C. è francamente nell'unità di "terapia intensiva" e può essere salvato. Aggiungendo però che il mondo è probabilmente solo circa il 20% o il 25% sulla strada per dirigersi verso quell'obiettivo. Quindi, tra dove dobbiamo dimezzare le emissioni mondiali e dove tutti i principali paesi devono intensificare e svolgere quel ruolo, e dove siamo, ora c'è un divario“.

    Secondo l'analisi di Global Witness condivisa con la BBC, al vertice ci sono stati più 503 invitati che gli attivisti ritengono che non avrebbero dovuto partecipare, che hanno fatto pressione a favore delle industrie petrolifere e del gas per annacquare il vertice. L'industria dei combustibili fossili ha passato decenni a negare e ritardare un'azione reale sulla crisi climatica. L'International Emissions Trading Association sostiene, invece, che è in corso un processo di transizione in linea con il suo obiettivo di trovare i mezzi più efficienti basati sul mercato per ridurre le emissioni.




    RIFLESSIONE

    I colloqui si sono trascinati per più di 24 ore dopo che la Cop26 doveva concludersi venerdì tra intense trattative. Ma perché non riflettere, almeno per un momento, sul fatto che gli oppositori tipo Cina ed India possano avere ragione? Il motivo per cui siamo in questo stato pericoloso sono i paesi sviluppati. Ad esempio, ancora oggi l'impronta di carbonio di un britannico (a parte gli USA) è tre volte quella di un indiano. L'India ha utilizzato sussidi nel gas per "svezzare" con successo milioni di famiglie da combustibili da biomassa orribilmente inquinanti e distruttivi come il legno. È semplicemente sciocco dirgli di smettere di farlo. Questo è un problema irritato e sfumato, e il semplicistico e isterico torcersi le mani dalle vere nazioni colpevoli (come rappresentato da Alok Sharma) e dai media occidentali deve essere moderato.

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    Il modo più ovvio per risolvere questo problema e avere un testo che tutti i 197 firmeranno, è mantenere il testo "più ambizioso" dei 195 paesi e concedere ai 2 paesi che si oppongono un'esenzione sotto forma di una versione annacquata del contestato accordo. Invece, tutti i 197 paesi hanno firmato un cattivo accordo mentre gli altri 195 paesi erano disposti ad andare oltre. Questa è davvero una cattiva diplomazia.

    A nostro parere il modo più ovvio per risolvere questo problema e avere un testo che tutti i 197 firmeranno, è mantenere il testo "più ambizioso" dei 195 paesi e concedere ai 2 paesi che si oppongono un'esenzione sotto forma di una versione annacquata del contestato articolo.

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    Edited by Filippo Foti - 14/11/2021, 20:36
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    Il 26 settembre ‘21, un'enorme tempesta di sabbia ha colpito lo Stato brasiliano di San Paolo. The Age of Stupid (Era degli stupidi), uno dei film più chiacchierati del 2009, è stato facile profeta a prevedere le conseguenze disastrose del nostro insuccesso nell'interrompere il cambiamento climatico.


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    Il 26 settembre ‘21, la combinazione di polvere, tracce di bruciato e vegetazione secca, associato a fuliggine e sporcizia, ha provocato una sorta di gigantesco “rullo a vapore” di sabbia. La tempesta ha raggiunto le città nell'ovest dello Stato ed è avanzata verso lo stato di Minas Gerais. Le città più colpite sono state: Franca, Ribeirao Preto, Aracatuba, Presidente Prudente, Jales e Barretos. Secondo i meteorologi dell'Istituto Nazionale di Meteorologia i precedenti giorni secchi e caldi hanno contribuito alla tempesta di sabbia. Questo muro, che precede le nuvole temporalesche, può raggiungere i 100 chilometri di larghezza e diversi chilometri di altezza. Rende la giornata oscura e rende difficile la visione. Al loro massimo, i venti possono raggiungere dai 35 ai 100 chilometri all'ora, arrivando con poco o nessun preavviso.

    HABOOB È COMUNE NELLE ARIDE DEL PIANETA

    Le recenti tempeste di sabbia sono rare in Brasile, ma molto comuni in altre regioni del mondo dove sono conosciute come “haboob” o “habub”, che in arabo significa “distruttore” o “chi vaga”, e si verificano spesso nelle regioni aride di tutto il mondo. “Grazie” ad una stagione delle piogge deludente all'inizio dell'anno, molte parti del sud-est del Brasile sono state lasciate pericolosamente asciutte, rendendole più suscettibili alle tempeste di polvere. Questo fenomeno si riflette nella crisi energetica in corso in Brasile, poiché le principali dighe idroelettriche nella regione sono sprofondate a livelli molto bassi, colpendo la produzione di elettricità del paese.

    I residenti di Franca, nello Stato di San Paolo in Brasile, hanno riportato stupore sui social media quando un'enorme nuvola ha trasformato il giorno in notte. La tempesta di sabbia ha anche attraversato luoghi come São Paulo, Minas Gerais, Paraná, Santa Catarina, Goiás, Mato Grosso e Mato Grosso do Sul. Le raffiche di vento hanno contribuito a sollevare la polvere dal suolo e ulteriori tempeste sono possibili entro la fine dell'anno, principalmente nelle pianure degli stati già duramente colpiti. La deforestazione aggrava ulteriormente questo fenomeno.

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    Dato che non piove da mesi in quelle regioni, c'è molta polvere, il suolo e la vegetazione sono asciutti, e quindi sono gli incendi che hanno contribuito", spiega Metsul Estael Sias.
    I satelliti dell'Istituto Nazionale di Meteorologia hanno mostrato che il comune di Franca ha registrato il 26 settembre ‘21, intensi venti fino a 60 chilometri. La regione è stata anche investita da tempeste con fino a 30 millimetri di pioggia all'ora e rischio di grandine, come quella che ha colpito parti di San Paolo il giorno prima, con danni ai raccolti, caduta di rami di alberi e inondazioni.

    Sebbene Estael spieghi che questo è un evento naturale dovuto alle condizioni meteorologiche, sottolinea anche che è più caratteristico dei paesi dell'Asia e non così comune nel sud-est del Brasile. Tuttavia, afferma che il fenomeno ha un modo di dissiparsi: "Il vento che segue la tempesta aiuta a diffondere di più questa sabbia e si dissolve, come il processo della nebbia, che è lento ma aiutato dal vento stesso".
    Il fenomeno è comune nel deserto del Sahara, in Kuwait e in Iraq. In Australia sono associati ai fronti freddi. Si trovano anche nelle regioni aride e semiaride del Nord America. Negli Stati Uniti, si verificano frequentemente nei deserti dell'Arizona, del Nuovo Messico, della California orientale e del Texas.

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    THE AGE OF STUPID: UN FILM PREMORITORE DI EVENTI CATASTROFICI

    L'anno è il 2055. Las Vegas è svanita sotto le tempeste di sabbia; Sydney è in fiamme e gli impianti di risalita penzolano inutilmente nel caldo torrido. Il mondo come lo conosciamo non esiste più. Da qualche parte al Polo Nord, si trova il nostro archivio mondiale, pieno di arte, libri e rapporti scientifici. Cosa è successo negli anni successivi al 2008? Un archivista, interpretato dall'attore britannico Pete Postlethwaite, vero nome Peter William Postlethwaite - (Warrington, Cheshire, Gran Bretagna 7 febbraio 1946 – Shrewsbury, Shropshire, 2 gennaio 2011, contea inglese al confine con il Galles legata al naturalista Darwin) - ce lo mostra, nei panni di un uomo che vive nel devastato mondo futuro del 2055, guardando indietro ai vecchi filmati del nostro tempo e chiedendosi: perché non fermiamo il cambiamento climatico quando ne abbiamo la possibilità? Si chiede.

    Con la sua interfaccia digitale, porta nell'archivio delle notizie, con articoli su eventi climatici, animazioni e ritratti di documentari da tutto il mondo. Spiega che la situazione "attuale" si basa sulle scelte che abbiamo fatto fino al 2015. L'archivista mostra le storie di un proprietario di una compagnia aerea indiana e di una guida alpina che dimostrano cosa ha fatto il cambiamento climatico alle stazioni sciistiche. Un costruttore di parchi eolici britannico si dedica invano ai mulini a vento come fonti energetiche alternative. Ad intervalli, l’attore Postlethwaite ricapitola e sostiene che possiamo ancora fare qualcosa. Suggerisce soluzioni e trae conclusioni, suffragate da ricerche scientifiche.

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    Pete Postlethwaite

    114x155_bis_2THE AGE OF STUPID114x155_trasp



    The Age of Stupid (Era degli stupidi) è un film uscito nelle sale cinematografiche di tutto il mondo, superando il botteghino del Regno Unito (per media dello schermo), e diventando uno dei film più chiacchierati del 2009 e ha ottenuto sensazionali recensioni:

    - L'Huffington Post, ha affermato che "rappresenta il futuro del cinema, della cultura cinematografica, della distribuzione e del marketing del film”;
    - Il Telegraph lo ha definito "audace, estremamente provocatorio ed estremamente importante";
    - Il News of the World lo ha descritto come "un calcio nel sedere profondamente scomodo";
    - L’ABC Australia ha riferito che "così ben costruito e dinamico che lasci il cinema pieno di energia e, piuttosto che terrorizzato, colpisce come un colpo di martello";
    - Il Los Angeles Times: "Pensa, 'Una scomoda verità', ma con personalità".

    The Age of Stupid è ora disponibile per la visualizzazione in 20 lingue su iTunes, Amazon Prime, Vimeo On Demand, Google Play, ed è stato ripubblicato per il suo decimo compleanno il 15 marzo 2019. Per una “bella” coincidenza, questo è stato anche il giorno del primissimo sciopero globale delle scuole. The Age of Stupid ha portato alla formazione della campagna per la riduzione del carbonio che ora opera in 45 paesi (www.1010global.org).

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    Il cinque novembre '21 a Glasgow numerosi giovani leader del clima si sono riuniti con negoziatori, funzionari e ministri di tutto il mondo, facendo sentire la loro voce e chiedendo l'azione necessaria per prevenire il catastrofico cambiamento climatico nel presente e nel loro prossimo futuro.


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    Il presidente della COP26 Alok Sharma ha esortato i ministri a considerare le priorità dei giovani nei negoziati della COP26 e nell'azione nazionale per il clima, tanto che gli eventi durante la le ultime ore si sono concentrati sull'utilizzo delle competenze dei giovani e sul presentare le loro opinioni direttamente ai negoziatori e ai funzionari che lavorano per concordare un'azione globale sul cambiamento climatico.

    Sharma ha dichiarato: "Ovunque sia stato nel mondo, sono rimasto colpito dalla passione e dall'impegno dei giovani per l'azione per il clima. Le voci dei giovani devono essere ascoltate e riflesse in questi negoziati qui alla COP. Le azioni e il controllo dei giovani sono fondamentali per mantenere in vita 1,5 °C e creare un futuro ad emissioni zero. Sono anche consapevole della paura e dell'ansia che molti di loro provano per il futuro del pianeta, compresi i miei figli. Ecco perché dobbiamo sulla COY16 Global Youth Position Statement di COY16(La 16a Conferenza dei giovani delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, l'equivalente giovanile della COP26 n.d.r.) e il manifesto del Summit Youth4Climate di Milano" (la tre giorni milanese dedicata alla giustizia climatica che ha visto la partecipazione di 400 giovani tra i 18 e i 29 anni n.d.r,).

    I GIOVANI CHIEDONO AZIONI PER PROTEGGERE IL LORO FUTURO ALLA COP26

    Oggi sono state discusse le azioni sui finanziamenti per il clima, la mobilità e i trasporti, fino alla conservazione della protezione della fauna selvatica e 23 paesi si sono impegnati a promuovere l'educazione al clima, comprese le scuole mettendo il clima al centro dei curricula nazionali.

    A conclusione della giornata, il Presidente della COP26, Alok Sharma ed il ministro italiano della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani si sono uniti ai giovani e agli altri ministri per discutere il manifesto sviluppato da 400 giovani al Summit Youth4Climate: Driving Ambition tenutosi a Milano a settembre scorso.

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    Alok Sharma


    L'altro ieri il Regno Unito ha anche annunciato la sua bozza di strategia per la sostenibilità e il cambiamento climatico per dotare e responsabilizzare i giovani delle competenze di cui hanno bisogno per guidare il futuro dell'azione per il clima. Ciò include l'introduzione di un modello di curriculum di scienze primarie, che includa un'enfasi sulla natura e il riconoscimento delle specie, supportando gli alunni più giovani nello sviluppo delle capacità di conservazione. Anche i ministri dell'Istruzione di tutto il mondo si sono impegnati a fare lo stesso con nazioni come la Corea del Sud, l'Albania e la Sierra Leone, impegnandosi a mettere il cambiamento climatico al centro dei loro curricula.

    FORMAZIONE SCOLASTICA

    Il Regno Unito e l'Italia, in collaborazione con UNESCO, Youth4Climate e Mock COP (una conferenza online di due settimane alla quale hanno partecipato 350 giovani delegati di 141 paesi tenutasi a fine novembre 2020), hanno coordinato una nuova azione globale per fornire alle generazioni future le conoscenze e le competenze necessarie per creare un mondo a zero emissioni. L'evento ha anche svelato una nuova dichiarazione intitolata "impara per il nostro pianeta: agisci per il clima" che impegnerò i paesi a rivedere i progressi compiuti sui loro impegni prima della successiva COP27.

    Il Regno Unito ha anche annunciato una nuova borsa di ricerca di 85.000 sterline, pari a 99.313 euro circa, per supportare l'Internal Displacement Monitoring Centre per produrre informazioni migliori sui bisogni educativi dei bambini rifugiati e consentire una risposta internazionale più efficace. L'annuncio è stato dato da Helen Grant MP, inviato speciale per l'educazione delle ragazze, durante un evento con il ministro dell'Istruzione della Sierra Leone, l'on. Dr David Sengeh, L'istruzione non può aspettare e UNHCR.

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    EMANCIPAZIONE PUBBLICA: LINEE GUIDA PER COINVOLGERE IL PUBBLICO NELLA GESTIONE DELLE CRISI

    Anche la società civile, i leader delle imprese e i ministri si sono riuniti in una sessione speciale per discutere su come tutte le parti della società debbano essere coinvolte nell'azione necessaria sul cambiamento climatico. Questo evento ha coinciso con i negoziati su Action for Climate Empowerment (Azione per la responsabilizzazione sul clima), un punto dell'agenda dell'UNFCCC, ovvero la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, volto a stabilire la direzione sull'educazione al clima e l'empowerment pubblico e a facilitare il coordinamento tra i paesi e gli attori non statali, ovvero tutti quelli che non sono al governo di un paese ma che hanno il potenziale per influenzare le azioni degli attori statali, ma non alleati ad uno stato.

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    Gli eventi di ieri hanno mostrato come i giovani leader del clima siano una forza inarrestabile, in grado di riunire giovani esperti di politica delle comunità in prima linea per presentare le loro pressanti priorità climatiche.

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    Più di 40 paesi hanno firmato un accordo alla COP26, l'ultimo vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Glasgow, per eliminare gradualmente il carbone nella produzione di elettricità.


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    La Cina non ha aderito all'accordo di eliminazione graduale del carbone
    alla COP26 che si sta svolgendo a Glasgow.


    I firmatari includono alcuni dei più grandi bruciatori di carbone del mondo: Canada, Polonia, Vietnam, Corea del Sud, Ucraina e Indonesia. Le più grandi di queste economie si impegnano a cessare l'uso del carbone nei loro settori energetici nel 2030, mentre le più piccole promettono lo stesso nel decennio successivo. C'è da aggiungere però che i maggiori consumatori di carbone del mondo, tra cui Cina e Stati Uniti, non si sono uniti all'impegno, danneggiando le possibilità del pianeta di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali

    Oltre a generare elettricità, il carbone viene utilizzato per alimentare forni siderurgici e forni per cemento e, in misura minore, sistemi di riscaldamento domestici. L'estrazione e la combustione del carbone contribuiscono ancora per oltre il 30% alle emissioni globali di gas serra, quindi eliminarlo rapidamente e sostituirlo con alternative pulite è una priorità per l'azione internazionale sul cambiamento climatico. Il carbone ha fornito il 41% dell'elettricità del Regno Unito nel 2012, ma solo l'1,6% nel 2020. Gran parte del deficit lasciato dal carbone è stato coperto dal gas naturale, un altro combustibile fossile.

    Scambiare vecchie centrali a carbone con nuove centrali elettriche a gas progettate per funzionare fino al 2050 non è una soluzione al problema, anche se il gas è un combustibile a minore intensità di carbonio rispetto al carbone. Non esiste un'alternativa sensata alla sostituzione del carbone con fonti rinnovabili come il solare e l'eolico il più rapidamente possibile.

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    Miniere di Bellary è uno dei maggiori produttori di minerale di ferro in India,
    dove anche scavare un piccolo tumulo del terreno superiore genera del minerale di ferro.


    Nonostante i progressi delle energie rinnovabili, la produzione di energia da carbone è di nuovo in aumento sulla scia della pandemia, sia in Germania che negli Stati Uniti. Nel frattempo, il governo cinese ha ordinato un'espansione della produzione di carbone per affrontare la crisi dell'approvvigionamento energetico.

    La maggior parte dei maggiori consumatori di carbone – Australia, Cina, Stati Uniti, India e Sud Africa – non ha aderito all'accordo di eliminazione graduale del carbone di Glasgow. Si prevede che il recente divieto della Cina di nuovi finanziamenti per l'energia a carbone all'estero ridurrà 44 impianti in tutto il mondo, ma le centrali elettriche a carbone della Cina continuano a moltiplicarsi. Per la prima volta nel 2020, la Cina ha ospitato oltre la metà della capacità mondiale di energia a carbone. Ha ancora 100 gigawatt (GW) di energia a carbone in costruzione e altri 160 GW in fase di progettazione.

    SPEZZARE LA POTENZA POLITICA DEL CARBONE

    Perché il carbone è una reliquia così ostinata dei sistemi energetici di tutto il mondo, anche dove alternative più pulite come l'energia solare sono più economiche? E cosa si può fare al riguardo? Presto detto o scritto se preferite! Il carbone è ancora visto come una fonte di elettricità economica, abbondante e affidabile. In molti dei paesi in cui incombe di più, come Cina, India, Sud Africa e Indonesia, le società statali tendono a dominare i settori energetico e minerario. Questi potenti interessi nel profondo del governo offrono alcune delle più convinte opposizioni alla graduale eliminazione del carbone.

    Si presume spesso che l'eliminazione rapida dell'estrazione e della combustione del carbone significhi inevitabilmente l'impoverimento di particolari paesi e regioni in cui l'industria del carbone è un importante datore di lavoro, per non parlare della perdita di entrate fiscali utilizzate per finanziare una serie di servizi pubblici. Dato che la maggior parte delle centrali a carbone, nei paesi in via di sviluppo, sono relativamente nuove, il loro ritiro anticipato rischia anche pesanti perdite finanziarie per i loro proprietari.

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    L'idea di una transizione equa (sebbene oggetto di dibattito) nel settore dell'energia a carbone comporterebbe il sostegno ai minatori e ad altri lavoratori a riqualificare e utilizzare la loro esperienza per contribuire a settori a basse emissioni di carbonio nuovi o consolidati, compresa l'energia rinnovabile. Le strategie industriali che seguono questo percorso potrebbero evitare alcune delle peggiori privazioni che hanno afflitto le comunità carbonifere come, ad esempio, nelle ex zone centrali del Regno Unito.

    Non ci sono nemmeno ostacoli tecnici insormontabili alla sostituzione del carbone nella produzione di energia. È già in corso in paesi come gli Stati Uniti, dove un'azienda elettrica ha recentemente stretto un accordo con il suo più grande cliente al dettaglio per ritirare anticipatamente alcune delle sue centrali a carbone e sostituirle con energia solare.

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    Sostituire il carbone nelle acciaierie e nei cementifici è più difficile, ma anche possibile. I forni in acciaio possono essere alimentati dall'elettricità e il combustibile a idrogeno verde è già stato sperimentato da multinazionali del cemento in Europa e produttori di acciaio in Germania e Svezia. Sebbene l'idrogeno verde rimanga significativamente più costoso del carbone o del gas, ulteriori investimenti nella tecnologia necessaria per produrlo, oltre al continuo calo del costo dell'elettricità verde che lo fornisce, potrebbero renderlo economico quanto i combustibili fossili prima del previsto.

    Per le grandi economie che dipendono fortemente dall'energia del carbone, in particolare la Cina, gli ostacoli più seri all'eliminazione di questo combustibile fossile sono politici. I paesi con esperienza nell'eliminazione graduale del carbone, come il Regno Unito, devono lavorare a stretto contatto con Cina, Indonesia, India e altri per trovare percorsi per sostituire l'energia dal carbone con energie rinnovabili economicamente e tecnologicamente sostenibili. Progettare politiche sociali che alleggeriscano l'onere sulle comunità dipendenti dal carbone per i mezzi di sussistenza può aiutare a superare la resistenza al cambiamento.

    Gli stati dipendenti dal carbone devono anche stanziare ingenti somme di investimenti aggiuntivi non solo per espandere la produzione di energia pulita, che alla fine si ripagherà attraverso bollette energetiche inferiori e benefici per la salute pubblica, ma anche per limitare i danni finanziari derivanti dal ritiro delle miniere e degli impianti di carbone esistenti. Il nuovo fondo da 2,5 miliardi di dollari della “Asian Development Bank’s” ( Banca Asiatica di Sviluppo), destinato ad acquistare e chiudere gli impianti a carbone in Indonesia e nelle Filippine, rappresenta un modo per farlo. Ma usare denaro pubblico per salvare società private che hanno continuato ad investire denaro nel carbone, nonostante i rischi è probabilmente ingiusto, e potrebbe rivelarsi politicamente irrealizzabile se tentato su larga scala.

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    C'è ancora un brillante futuro al di là del carbone, ma i paesi dovrebbero essere pronti a rinunciare a guadagni all’oscuro e a breve termine per arrivarci.

    Source:https://theconversation.com/cop26-heres-what-it-would-take-to-end-coal-power-worldwide-171025

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    Edited by Filippo Foti - 5/11/2021, 19:54
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    Buona parte della scienza difende i pipistrelli presenti sulla Terra da più di 50 milioni di anni, gli unici mammiferi capaci di un vero volo.


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    I pipistrelli appartengono all'Ordine dei Chirotteri, noti comunemente come ferro di cavallo, diffusi nelle regioni temperate e tropicali dell’Africa, dell’Europa e dell’Asia. Sebbene spesso vengano scambiati per roditori, sono più strettamente imparentati con i primati. Il ferro di cavallo (Rhinolophus ferrumequinum)è diffuso in Italia. La gente dello Zimbabwe chiama i pipistrelli con nomi curiosi tipo "draghi alati", "topi volanti" o semplicemente "i malvagi". I pipistrelli insettivori possono ridurre i danni alle colture e centinaia di specie di piante si affidano a loro per l'impollinazione.

    Fino a prima di effettuare queste ricerche sui pipistrelli siamo stati in molti a non sapere che oltre 500 specie di piante si affidano ai pipistrelli per impollinare i loro fiori - comprese specie di mango, banana e durian (proviene dal Brunei, Indonesia e Malesia), Guava (coltivato solitamente in America centrale e meridionale, soprattutto Brasile, Colombia, Messico e Venezuela e presente anche in Sicilia) e agave (usata per fare la tequila), l'albero del baobab e diverse specie di piante tropicali - completamente o parzialmente dipendenti da essi. Quindi, la prossima volta che beviamo un po' di tequila o mangiamo un mango, dovremmo ringraziare i pipistrelli! L'impollinazione delle piante da parte dei pipistrelli è chiamata chiropterofilia. Questi mammiferi con le ali sono considerati degli ottimi “indicatori biologici”, poiché, attraverso lo studio, aiutano gli scienziati a monitorare lo stato della biodiversità riuscendo a capire l’intero ecosistema “sorvegliando” continuamente l’ambiente in cui vivono.

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    Impollinazione


    Come succede quasi sempre in tutto il mondo, i mammiferi volanti sono molto fraintesi. Per questo il dottor Mathieu Bourgarel, sotto nell'immagine, ecologista della fauna selvatica, li descrive come creature bellissime e incredibili. "Sono affascinanti, dice. e la gente ha paura di qualcosa che non conosce". Per l'istituto di ricerca francese CiradÈ è un cacciatore di virus. Lavorando con i colleghi dell'Università dello Zimbabwe, Bourgarel si reca nelle grotte dei pipistrelli per raccogliere campioni di escrementi. Al laboratorio, gli scienziati estraggono e mettono in sequenza il materiale genetico dei virus dei pipistrelli. Hanno già scoperto diversi coronavirus, incluso uno della stessa famiglia di Sars e Sars-CoV-2.

    La ricerca fa parte di uno sforzo mondiale per indagare la diversità e la composizione genetica dei virus trasportati dai pipistrelli, fornendo gli strumenti per reagire rapidamente, qualora le persone inizino ad ammalarsi. "La popolazione locale dello Zimbabwe visita frequentemente l'habitat dei questi mammiferi, al fine di raccogliere guano, ottimo fertilizzante bio-organico naturale che utilizzano per le loro colture. È quindi essenziale conoscere gli agenti patogeni trasportati dai pipistrelli, perché potrebbero essere trasmessi all'uomo", sostiene la dott.ssa Elizabeth Gori, sopra nell'immagine, dell'Università dello Zimbabwe esperta di patologia molecolare e chimica delle malattie infettive e non trasmissibili – Cardiovascolari e HIV.

    Per molto tempo bersaglio di disprezzo, persecuzione e pregiudizio culturale, i pipistrelli sono stati accusati di una serie di mali inflitti agli umani e le paure e i miti nei loro confronti si sono intensificati ai tempi del Covid. Gli esperti hanno pensato bene di lanciare una campagna, Don't Blame Bats(Non incolpare i pipistrelli), sostenendo che sono alcuni degli animali più fraintesi e sottovalutati del pianeta.

    Miss Alicia (il pipistrello) si riempie la bocca di banana.


    Javier Juste Ballesta, “Bat Specialist Group IUCN Doñana Biological Station”- Investigatore Scientifico Group IUCN di Indagine e Conservazione dei pipistrelli presso il Dipartimento Ecologia Evolutiva) ” e “Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC)” (Consiglio superiore delle ricerche scientifiche) sostiene che il COVID-19 è una malattia umana e le persone sono responsabili della sua trasmissione ad altri esseri umani in tutto il mondo, non ai pipistrelli o ad altri animali selvatici. A “The Conversation” ha dichiarato: “I pipistrelli sono erroneamente accusati di aver causato la pandemia COVID-19. Nonostante l'attuale coronavirus sia stato identificato solo come una malattia umana, la popolarità dei pipistrelli è diminuita durante la pandemia, con i pipistrelli in via di estinzione abbattuti in Cina, Indonesia e Perù, tra gli altri luoghi, in un maldestro tentativo di fermare la diffusione della SARS- CoV-2. Questa pratica è crudele, inutile, inefficace e dannosa per la conservazione dei pipistrelli”.

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    Pipistrello a ferro di cavallo


    Il dottor Jose Nunez-Mino, direttore delle comunicazioni e della raccolta fondi di BCT, ha recentemente dichiarato: “I pipistrelli sono alcuni degli animali più fraintesi e sottovalutati sulla terra. Quest'ultima ondata di disinformazione sta aumentando la paura di questi meravigliosi mammiferi e minando i nostri sforzi per proteggerli in modo che le generazioni future possano divertirsi guardandoli nel cielo notturno e beneficiando di tutto ciò che fanno per noi - dal mangiare insetti con l'aiuto al rimboschimento della foresta tropicale. I pipistrelli sono nostri amici! Siamo molto lieti che "Conservación y el Estudio de los Murciélagos"SECEMU" - (l'Associazione Spagnola per la Conservazione e lo Studio dei Pipistrelli che svolge numerosi colloqui e altre attività di sensibilizzazione volte a informare e sensibilizzare il pubblico sui problemi che colpiscono i pipistrelli (n.d.r.) - ci abbia chiesto di collaborare con loro nella campagna Don't Blame Bats in modo da poter lavorare insieme su questo importante problema".

    Jose Nunez-Mino sostiene altresì: "Se siamo preoccupati per la salute umana, dovremmo preoccuparci anche per la salute della biosfera in cui abitiamo. È raro sentire i sostenitori della salute parlare di biodiversità. La salute e il cambiamento climatico sono ora fissati nel lessico della salute globale e pubblica. Ma la biodiversità rimane in gran parte invisibile. È tempo di fare della protezione della biodiversità del nostro pianeta la prossima grande causa di salute planetaria".

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    CONSEGUENZE DI UN'ACCUSA ERRATA

    La vicinanza evolutiva di SARS-CoV-2 a un virus ospite di pipistrelli (RaTG13) - è un betacoronavirus simile alla SARS che infetta il pipistrello a ferro di cavallo (Rhinolophus affinis) - e l'esistenza di relazioni evolutive con i responsabili di precedenti epidemie ha portato i pipistrelli ad essere accusati di essere responsabili dell'attuale pandemia, come abbiamo evidenziato, senza alcun fondamento. I pipistrelli non sono amichevoli per la maggior parte della società. Questa percezione è dovuta agli argomenti e all'ignoranza che li circonda. Né aiuta il loro strano aspetto fisico, a volte considerato grottesco, né la loro condizione di animali notturni e, l'associazione con vampiri e succhia capre, non migliora la sua immagine. Questo ha innescato la tempesta perfetta: migliaia di pipistrelli vengono macellati in Perù, Indonesia, Cina e altri paesi per combattere la pandemia senza alcun risultato. Inoltre sembrerebbe che alcuni scienziati hanno ucciso 1066 pipistrelli in Gabon per avere informazioni che sarebbero state ottenute semplicemente con un tampone. Le conseguenze di questa tendenza possono essere catastrofiche. Nonostante il loro enorme successo evolutivo in tutti i continenti, con più di 1.400 specie, i pipistrelli sono molto sensibili ai cambiamenti ambientali.

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    Un ricercatore rimuove un pipistrello da una rete di cattura all'interno di una grotta
    nel Parco Nazionale Sai Yok nella provincia di Kanchanaburi, a ovest di Bangkok, Thailandia



    Questo atteggiamento negativo, oltre ad essere ingiusto, è controproducente: i servizi che forniscono agli ecosistemi e alla nostra specie e, come già accennato, impollinatori di piante utili come le banane, dispersori di semi e controllori di insetti sono fondamentali per il nostro stesso benessere. Sarebbero necessari milioni di euro e tonnellate di pesticidi per sostituire il loro ruolo nel controllo dei parassiti delle colture di mais e riso. Inoltre, i secoli di coevoluzione dei pipistrelli con i coronavirus potrebbero essere utilizzati per progettare strategie terapeutiche contro pandemie come quella attuale. Tuttavia, ci vorranno molti anni di investimenti nell'istruzione e nella divulgazione per ripristinare l'immagine dei pipistrelli dopo questa pandemia.

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    Comunicato stampa delle Nazioni Unite sul clima del 31 ottobre 2021: all'apertura della conferenza cop26 una più grande ambizione sul cambiamento climatico è ora fondamentale"


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    A seguito di una serie di rapporti e studi che avvertono della necessità di un'azione urgente per mantenere a portata di mano l'obiettivo dell'accordo di Parigi di limitare l'aumento della temperatura media globale a 1,5 °C, si è aperta oggi la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici con gli obiettivi chiave di aumentare l'ambizione su tutti i fronti e finalizzare le linee guida di attuazione dell'accordo.

    "Siamo estremamente grati al governo del Regno Unito per aver ospitato questa conferenza di importanza cruciale in questi tempi senza precedenti e per aver compiuto ogni sforzo per mantenere tutti i partecipanti sani e salvi", ha affermato Patricia Espinosa, segretario esecutivo delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico.

    La devastante perdita di vite e mezzi di sussistenza quest'anno a causa di eventi meteorologici estremi chiarisce quanto sia importante convocare la COP26 nonostante gli impatti della pandemia si facciano ancora sentire. Siamo sulla buona strada per un aumento della temperatura globale di 2,7 °C, mentre dovremmo puntare all'obiettivo di 1,5 °C. Chiaramente, siamo in un'emergenza climatica. Chiaramente, dobbiamo affrontarla. Chiaramente, dobbiamo sostenere i più vulnerabili per farvi fronte. Per farlo con successo, ora è fondamentale una maggiore ambizione", ha sottolineato.

    È necessaria una maggiore ambizione per ottenere progressi su tutti gli elementi dell'agenda sul cambiamento climatico, compresa la riduzione delle emissioni, l'adattamento al centro dell'agenda, la gestione delle perdite e dei danni causati da eventi climatici estremi e l'aumento del sostegno ai paesi in via di sviluppo.

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    Una questione centrale è appunto la fornitura di sostegno ai paesi in via di sviluppo, soprattutto in relazione all'obiettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020. Il sostegno finanziario è cruciale per tutti gli elementi del regime del cambiamento climatico, compresa la mitigazione, ma anche in termini di adattamento, capacità di costruzione, trasferimento tecnologico e molti altri elementi. Molte parti, in particolare i paesi in via di sviluppo, ritengono che, al fine di avanzare verso la piena attuazione dell'Accordo di Parigi, gli impegni precedenti dovrebbero essere prima onorati.

    La finalizzazione delle linee guida di attuazione dell'accordo di Parigi consentirà la piena attuazione di tutte le disposizioni, che scateneranno azioni climatiche più ambiziose da parte di tutte le sue parti. In particolare, le linee guida in sospeso riguardano i dettagli relativi all'obiettivo globale sull'adattamento, come segnalare l'azione e il sostegno per il clima in modo trasparente e l'uso di meccanismi basati sul mercato ed approcci non di mercato.

    Non abbiamo altra scelta che rendere la COP26 un successo. Per questo abbiamo bisogno di unità di intenti. Dobbiamo lasciare Glasgow con un pacchetto di decisioni equilibrato che rifletta le posizioni di tutti i paesi. Con la volontà di scendere a compromessi tra le molte prospettive possiamo arrivare a soluzioni praticabili e ambiziose che ci aiuteranno a mantenere l'obiettivo 1,5C a portata di mano. Siamo pronti a lavorare con tutte le parti e a non lasciare alcuna voce indietro per raggiungere questo importante obiettivo", ha affermato la signora Espinosa.

    Essendo stata posticipata di un anno a causa del COVID-19 e dovendo affrontare i punti della COP25 tenutasi nel 2019, la COP26 ha un'agenda enorme al di là degli obiettivi chiave.

    Rivolgendosi alla conferenza successiva alla sua elezione, il presidente della COP, Alok Sharma, ha ringraziato i delegati per essersi recati a Glasgow ed ha sottolineato l'urgente necessità di azione:

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    "Come presidente della COP26, ha dichiarato Alok Sharma, mi impegno a promuovere la trasparenza e l'inclusione. E guiderò questa conferenza in conformità con la bozza del regolamento interno e con il massimo rispetto per la natura partitica del nostro processo. Con questo spirito credo che possiamo risolvere le questioni in sospeso. Possiamo portare avanti i negoziati. Possiamo lanciare un decennio di ambizioni e azioni sempre crescenti. Insieme, possiamo cogliere le enormi opportunità per una crescita verde, per buoni posti di lavoro verdi, per energia più economica e più pulita. Ma noi dobbiamo partire subito per sviluppare le soluzioni di cui abbiamo bisogno. E quel lavoro inizia oggi. Avremo successo, o falliremo, come una cosa sola".

    PUNTI SALIENTI DELLA COP26

    Dopo l'apertura procedurale di domenica 31 ottobre, per consentire un rapido avvio dei lavori, lunedì e martedì si terrà il vertice dei leader mondiali con la presenza della famiglia reale e di oltre 100 capi di Stato o di governo. Il "World Leaders Summit" offre a tutti i capi di Stato o di governo l'opportunità di preparare il terreno per la COP26.

    EVENTI CHIAVE

    Durante la COP si svolgeranno una serie di importanti eventi ministeriali e di altro tipo sugli attuali sforzi per il cambiamento climatico. Questi includono:

    - Il quarto dialogo ministeriale biennale di alto livello sulla finanza per il clima;
    - Il primo dialogo ministeriale sui finanziamenti per il clima nell'ambito dell'accordo di Parigi;
    - Diversi workshop ed eventi per far avanzare le questioni legate al genere;
    - Incontro annuale con la partecipazione delle popolazioni indigene e delle conoscenze tradizionali.

    Insieme, tutti gli eventi offrono ai ministri e ai partecipanti uno spazio per avere discussioni franche e aperte sui progressi compiuti fino ad oggi.

    AZIONE GLOBALE PER IL CLIMA

    L'azione per il clima intrapresa da una varietà di parti interessate che lavorano per sostenere l'attuazione dell'accordo di Parigi sarà presentata durante la COP26. Sotto la guida di due campioni del clima di alto livello, Gonzalo Muñoz (Cile) e Nigel Topping (Regno Unito), i progressi, i piani e gli obiettivi per una serie di settori e iniziative saranno presentati in oltre 100 eventi nella "Climate Action Zone in COP".

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    Gonzalo Muñoz


    Gonzalo Muñoz è un imprenditore e promotore del cambiamento sociale in prima linea nell'innovazione ambientale in Cile, che ha reinventato l'industria del riciclaggio del paese per inaugurare un futuro senza sprechi. Lo ha fatto fondando un'azienda di riciclaggio nel 2009 e, da allora, ha presieduto l'espansione dell'azienda in altre parti dell'America Latina. La sua azienda produce una stazione di riciclaggio in grado di riciclare il 90% dei rifiuti solidi domestici. Grazie alla popolarità della sua innovazione, Muñoz ha guidato un movimento culturale per promuovere la sostenibilità ambientale e l'inclusione sociale.

    Nigel Topping è stato CEO di We Mean Business fino a dicembre 2019, dove ha guidato una collaborazione radicale per l'azione per il clima tra le ONG che lavorano con le aziende più influenti del mondo. Questa coalizione ha svolto un ruolo chiave nel portare la voce costruttiva delle imprese a sostegno dell'accordo di Parigi e, sotto la guida di Nigel, ha continuato a guidare l'ambizione e l'azione per accelerare la transizione verso un'economia a zero emissioni di carbonio.

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    I partecipanti apprenderanno che le parti interessate all'azione per il clima, che rappresentano il 15% dell'economia globale e rappresentano circa l'11% delle emissioni totali di CO2, hanno già assunto impegni netti pari a zero emissioni entro il 2050 attraverso il "Race to Zero". Inoltre, gli sforzi di mitigazione degli attori climatici sono accompagnati da sforzi nell'ambito del "Race to Resilience", che sta raggiungendo oltre un miliardo di persone, attraverso attività come soluzioni basate sulla natura, riduzione del rischio di catastrofi, resilienza agricola, finanza e assicurazioni.

    Inoltre, l'UNFCCC ha sostenuto iniziative settoriali in settori come lo sport, la moda, il turismo, gli eventi, i film e l'aviazione che annunceranno maggiori ambizioni, un'attuazione più rapida e una maggiore collaborazione per allineare questi settori con l'obiettivo di 1,5 gradi C dell'accordo di Parigi.

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    PARTECIPAZIONE FISICA E DIGITALE

    Misure COVID-19 sono stati messi in atto in tutta la sede per mantenere tutti i partecipanti sani e salvi per tutta la durata del COP. Tuttavia, le restrizioni in corso potrebbero aver reso difficile la partecipazione fisica per alcuni. Per garantire una COP veramente inclusiva, la partecipazione digitale è stata abilitata a completare i negoziati fisici della COP. Per i partecipanti è possibile accedere alla piattaforma COP on-line.

    INFORMAZIONI SULL'UNFCCC

    Con 197 parti, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climaticoi (UNFCCC) ha un'adesione quasi universale ed è il trattato madre dell'Accordo sul cambiamento climatico di Parigi del 2015. L'obiettivo principale dell'accordo di Parigi è mantenere un aumento della temperatura media globale in questo secolo ben al di sotto dei 2 gradi Celsius e guidare gli sforzi per limitare l'aumento della temperatura ancora non oltre 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali. L'UNFCCC è anche il trattato capostipite del Protocollo di Kyoto del 1997. L'obiettivo finale di tutti gli accordi nell'ambito dell'UNFCCC è stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell'atmosfera a un livello che impedisca pericolose interferenze umane con il sistema climatico, in un lasso di tempo che consenta agli ecosistemi di adattarsi naturalmente e consenta uno sviluppo sostenibile.

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    Un luogo affascinante dove la natura crea una cornice unica per rimanere meravigliati è una cosa stupenda che dovremmo amare e conservare il più a lungo possibile.


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    Perché la meraviglia è la più umana di tutte le emozioni. Essa può essere innescata da grandiose vedute, fenomeni naturali, conquiste umane sia intellettuali che materiali. È espresso da uno sguardo luminoso, a volte accompagnato da un'apertura della bocca e dalla sospensione del respiro. Tirandoci fuori da noi stessi, la meraviglia ci riconnette con qualcosa di molto più grande della nostra routine quotidiana.

    Quando si rimane stupiti, meravigliati, diamo un soffio vitale all’anima, mente e corpo, ma per coglierla occorre osservare la vita con profondità. Siamo l'unico animale sulla terra, per quanto ne sappiamo, che può essere commosso fino alle lacrime da un tramonto, che si meraviglia delle stelle di notte, che prova stupore e umiltà per le conquiste del nostro passato. La meraviglia ci definisce come esseri umani. Socrate disse: "La saggezza inizia con la meraviglia". Gli studi dimostrano che la soggezione induce livelli più profondi di elaborazione cognitiva; aumenta l'empatia e ci aiuta a connetterci con il mondo che ci circonda in modi significativi. Da essa nascono arte e scienza. La meraviglia è più di una bella sensazione; è un seme da cui crescono i nostri più grandi tesori.

    Ma per l'Amazzonia brasiliana le cose non funzionano così. Il 2020 è stato l'anno peggiore in più di un decennio. Sotto la direzione del presidente Bolsonaro, la deforestazione della più grande foresta pluviale tropicale del mondo viene accelerata di anno in anno. Ma l'Amazzonia ha bisogno di sopravvivere. Si dice che contenga circa 400 miliardi di alberi, essenziali per aiutare a combattere il riscaldamento globale, insieme al 10% delle specie mondiali. Qui viene prodotto circa il 6% dell'ossigeno del pianeta, mentre un quinto della sua acqua dolce è immagazzinato nel suo bacino. Sorprendentemente, il 25% di tutti i medicinali soggetti a prescrizione è derivato da piante della foresta pluviale, ma altre devono essere studiate come potenziali farmaci. In Amazzonia potrebbero esserci cure per numerose malattie che aspettano di essere scoperte, ma se non stiamo attenti spariranno prima di aver dato un'occhiata.

    MOSQUITO BAY

    Mosquito Bay è il posto migliore al mondo per vedere uno degli spettacoli più affascinanti della natura: la bioluminescenza. Situata sull'isola di Vieques, al largo della costa orientale dell'isola principale, questa insenatura riparata ospita un tipo speciale di plancton, chiamato dinoflagellati, che emette una luce blu-verde quando è agitato. Da soli, sono appena percettibili. Ma qui a Bio Bay, come è anche noto, ce ne sono abbastanza per detenere il Guinness World Record per la bioluminescenza più brillante mai registrata. È incredibilmente raro. Mentre il fenomeno si verifica spontaneamente in tutto il mondo, ci sono solo sei posti sul pianeta in cui si verifica regolarmente. Di questi, Mosquito Bay è di gran lunga il più brillante. Vieni di notte, quando è più facile a vedere le onde brillare come luci da discoteca o scintille che sgorgano dalle tue dita come la coda di una cometa.

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    ISOLE MARIANE

    La Fossa delle Marianne è la parte più profonda di tutti gli oceani del mondo. Alla sua profondità più bassa, conosciuta come Challenger Deep, il fondale marino è uno sbalorditivo 10.907 km sotto la superficie. Guarda la terra dal finestrino di un aereo: ecco quanto è profonda. Se dovessi far cadere l'Everest al suo interno, la vetta non romperebbe nemmeno le onde. Ci sono molte meraviglie all'interno: strane creature che brillano al buio e mai viste prima, prese d'aria termiche che potrebbero contenere la chiave per le origini della vita sulla Terra. Ma, in verità, non ne sappiamo quasi nulla. Meno persone hanno visitato queste profondità di quante si trovassero sulla superficie della luna. Gli oceani sono, forse, l'ultima grande frontiera sulla Terra e ora puoi far parte anche tu di quell'avventura. Il turismo d'altura è in ascesa. Ora è possibile per i normali non subacquei esplorare profondità finora impossibili, da poche centinaia di piedi a più di 3.218 km verso il basso, dove giacciono i resti del Titanic. Chissà cosa potresti trovare?

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    ORSI POLARI WAPUSK, CANADA

    Dirigiti nella provincia canadese del Manitoba per far parte di un evento naturalistico unico: ogni inverno, più di 1.000 orsi polari si radunano nel Wapusk National Park, il più grande sito di allevamento di orsi polari del pianeta, per far nascere e crescere i loro piccoli. È una delle esperienze faunistiche più esclusive al mondo, con solo una manciata di persone in grado di assisterla ogni anno e uno dei panorami più accattivanti. A metà febbraio, centinaia di nuovi cuccioli emergono contemporaneamente, esplorando per la prima volta il mondo ghiacciato, scivolando sulla neve, giocando, imparando a cacciare e sopravvivere in questo ambiente estremamente inospitale. Può essere carino, ma è anche agrodolce. I livelli del ghiaccio marino stanno diminuendo a ritmi allarmanti e gli orsi polari dipendono dal ghiaccio per sopravvivere. Gli orsi stanno letteralmente perdendo il terreno sotto i loro piedi.

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    GRANDE BARRIERA CORALLINA QUEENSLAND, AUSTRALIA

    La Grande Barriera Corallina, situata sulla costa del Queensland nell'Australia nord-orientale, è la più grande struttura vivente del pianeta. Coprendo un sorprendente 217.261 km quadrati, è più grande del Regno Unito, dell'Olanda e della Svizzera messi insieme. Stendilo in piano e raggiungerebbe tutta la strada da Londra a Mosca. È anche uno dei luoghi biologicamente più diversificati della terra, che ospita oltre 1.500 specie di pesci (il 10% del totale mondiale), 30 varietà di balene e delfini e oltre 100 tipi di squali. Ma è in pericolo. Recenti rapporti indicano che l'aumento delle temperature oceaniche, a causa riscaldamento globale, stanno portando a livelli catastrofici di sbiancamento dei coralli (quando il corallo espelle le minuscole alghe che vivono al suo interno, fornendogli cibo e colore – se continua, il corallo muore). La Grande Barriera Corallina, che è sopravvissuta negli ultimi 18 milioni di anni, potrebbe ora trovarsi a vivere i suoi ultimi giorni. Ecco perché è così importante vederlo. Chiunque scruti sotto le onde questo mosaico vivente di arcobaleni saprà immediatamente che è una meraviglia del mondo che vale la pena salvare.

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    LAGO BAIKAL SIBERIA, RUSSIA

    La Russia ospita una delle meraviglie naturali più grandi ma meno conosciute del mondo: il lago Baikal, nella Siberia sud-orientale. È circondato da tundra ghiacciata e vaste foreste di taiga su tutti i lati. Le statistiche di questo lago d'acqua dolce più grande e profondo del mondo sono strabilianti: contiene ben 9.112 km cubici di acqua dolce, il 20% delle risorse non congelate della terra; è più grande in volume di tutti i Grandi Laghi d'America messi insieme; potresti impilare tre Empire State Building uno sopra l'altro e comunque non raggiungere la superficie. La chiamano la Perla della Siberia, ed è esattamente quello che assomiglia: un enorme gioiello, incastonato nella terra a perdita d'occhio. Ma altrettanto impressionanti sono i misteri che racchiude: il Lago Baikal è uno dei principali hotspot UFO al mondo - gli avvistamenti sono segnalati in continuazione, compreso un notevole evento inspiegabile nel 1977. Il Paysis, un sommergibile di acque profonde, stava conducendo ricerche scientifiche a 1.219 km, in completa oscurità, quando improvvisamente un faro luminoso lo illuminò per diversi secondi da una fonte sconosciuta. Ad oggi non è mai stato identificato.

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    MOSQUITO BAY

    Mosquito Bay è il posto migliore al mondo per vedere uno degli spettacoli più affascinanti della natura: la bioluminescenza. Situata sull'isola di Vieques, al largo della costa orientale dell'isola principale, questa insenatura riparata ospita un tipo speciale di plancton, chiamato dinoflagellati, che emette una luce blu-verde quando è agitato. Da soli, sono appena percettibili. Ma qui a Bio Bay, come è anche noto, ce ne sono abbastanza per detenere il Guinness World Record per la bioluminescenza più brillante mai registrata. È incredibilmente raro. Mentre il fenomeno si verifica spontaneamente in tutto il mondo, ci sono solo sei posti sul pianeta in cui si verifica regolarmente. Di questi, Mosquito Bay è di gran lunga il più brillante. Vieni a vedere le onde brillare come luci da discoteca o scintille che sgorgano dalle tue dita come la coda di una cometa. Di notte, quando è più facile da vedere.

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    Ti meravigli ancora? Allora aiuterai il nostro pianeta a riprendersi!

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    L'influenza del riscaldamento globale sugli eventi climatici estremi sta distruggendo il nostro pianeta e milioni di persone in tutto il mondo che sono alle prese con il cambiamento climatico.


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    Mentre quasi tutti i paesi "ospiti" del nostro pianeta stentano a riprendersi dalla pandemia di Coronavirus, l'attenzione si sposta ora sul cambiamento climatico e sull'azione tempestiva da affrontare con le comunità più vulnerabili che sono fortemente a rischio di perdere case e mezzi di sussistenza. I cambiamenti, da più di un decennio, stanno avvenendo a passi di gigante: l'energia pulita, ad esempio, è attualmente la fonte di elettricità più economica per molte nazioni. I governi e le aziende si stanno lanciando in progetti rispettosi dell'ambiente come la riforestazione. Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals-SDG) delle Nazioni Unite si sono trasformati da qualcosa a cui aspirare a più cose a cui si sta lavorando. Però, nonostante le opportunità, i progressi non sono abbastanza rapidi. In riconoscimento di ciò, le Nazioni Unite hanno riunito i paesi attraverso vertici globali sul clima negli ultimi tre decenni. Sono COP, ovvero le cosiddette “United Nations Climate Change Conference (UNFCCC)Conference Of the Parties” (Conferenze delle parti). Inizialmente prevista per novembre 2020 è stata successivamente programmata a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre 2021, sotto la presidenza del Regno Unito. Quest'anno sarà la migliore occasione al mondo per tenere sotto controllo il cambiamento climatico?

    COS'È LA COP E COP26?

    In questa Conferenza delle Parti, le “Parti” sono rappresentate da coloro che hanno firmato la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Questo è un trattato del 1994 con 197 firmatari (196 paesi e l'UE).

    Perché Glasgow? La scelta della sede è stata tutt'altro che casuale, poiché il “Dear Green Place” (Caro posto verde) - si presume generalmente che sia l'origine del nome Glasgow, proveniente da Cumbric, significhi 'cavità verde' o (caro) 'luogo verde'. È rinomato per il suo impegno per la sostenibilità e per le strutture di alto livello. Attraverso la campagna di Glasgow sostenibile, la città più grande della Scozia mira a diventare una delle più verdi d'Europa e raggiungere la neutralità dal carbonio entro il 2030. A COP26 è prevista la partecipazione di oltre 190 leader mondiali che collaboreranno con rappresentanti del governo, negoziatori, cittadini ed imprese per colloqui che dureranno dodici giorni. Circa il 62% delle persone a Glasgow ha affermato di essere "fortemente d'accordo" sul fatto che il cambiamento climatico sia un pericolo reale, rispetto a solo il 39% in tutto il Regno Unito. Inoltre, sei su dieci intervistati in città (il 60 per cento) sono preoccupati per il futuro dell'ambiente, che è quasi il doppio della media britannica (il 35 per cento).

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    Glasgow la sede di COP26


    La prima Conferenza delle Parti in assoluto si è tenuta a Parigi nel 2015 e ha dato origine allo storico e discusso “Accordo di Parigi”. I paesi hanno concordato, ai sensi dell'accordo, di presentare piani nazionali che delineino quanto diminuiranno le loro emissioni ai sensi dell'accordo. Questi piani sono noti come "Nationally Determined Contributions - (NDC)" o “Contributi Nazionali Determinati”. Si tratta degli obiettivi climatici che le Nazioni si sono date, in maniera autonoma e volontaria, per contribuire a mantenere la crescita della temperatura globale entro i 2 gradi Celsius. Paesi che hanno promesso di rivisitare il piano ogni cinque anni con una versione aggiornata che rifletta le loro più alte aspirazioni del momento. Tuttavia, i paesi riconoscono che questo decennio è il più cruciale di tutti, quindi la COP26 diventa ancora più monumentale.

    Alok Sharma, presidente delegato della COP, dà tono al vertice:"A COP26, lavoreremo con i partner per portare avanti azioni volte a proteggere e ripristinare le foreste e gli ecosistemi critici e difenderemo la transizione verso un'agricoltura sostenibile, resiliente e rispettosa della natura".

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    Alok Sharma



    I PRINCIPI OBIETTIVI DI COP26 NELLA SOSTENIBILITÀ

    Da COP26 cosa dobbiamo ottenere? Ebbene, occorre assicurare lo zero netto globale delle emissioni nette di gas a effetto serra entro la metà del secolo e mantenere la temperatura a 1,5 gradi a portata di mano. Ai paesi viene chiesto di presentare ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 che si allineino con il raggiungimento dello zero netto entro la metà del secolo.

    Per raggiungere questi obiettivi ambiziosi, i paesi dovranno, tra l'altro,:

    - accelerare l'eliminazione graduale del carbone;
    - ridurre la deforestazione;
    - accelerare il passaggio ai veicoli elettrici;
    - incoraggiare gli investimenti nelle rinnovabili;
    - adattarsi per proteggere le comunità e gli habitat naturali.

    Il clima sta già cambiando e continuerà a cambiare anche se riduciamo le emissioni, con effetti devastanti. A COP26 tutti i paesi devono, e non dovrebbero, lavorare insieme per consentire e incoraggiare i più colpiti dal cambiamento climatico a:

    - proteggere e ripristinare gli ecosistemi;
    - costruire difese, sistemi di allarme e infrastrutture e agricoltura resilienti per evitare la perdita di case, mezzi di sussistenza e persino vite umane.

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    GUIDARE IL VIAGGIO GLOBALE VERSO LO ZERO NETTO ENTRO IL 2050 E MANTENERE 1,5 GRADI A PORTATA DI MANO

    Se l'obiettivo principale dell'accordo di Parigi del 2015 era e rimane quello di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, tuttavia, il mondo non è sulla buona strada e la pandemia è servita solo a portarci ulteriormente fuori rotta. Nel prossimo decennio, la scienza impone che il mondo debba dimezzare le emissioni e raggiungere appunto lo zero emissioni nette di carbonio entro il 2050 per limitare con successo il riscaldamento globale.
    Per raggiungere questo obiettivo, la COP26 dovrebbe anche sottolineare l'importanza di proteggere le foreste esistenti e fornire risorse per la rigenerazione. Ciò è particolarmente importante dato che gli alberi svolgono un ruolo fondamentale nella rimozione del carbonio dall'aria.

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    Un recente avvertimento di Sir David Attenborough in vista del vertice sul clima COP26 a Glasgow attiene il suo prossimo grande impegno, niente di meno che parlare, virtualmente o di persona, a quello che sarà il più grande raduno di leader mondiali mai realizzato sul suolo britannico tra pochi giorni. "Se non agiamo ora, precisa Attenborough, sarà troppo tardi. Al momento, sento che sarebbe uno spreco di opportunità anche solo tirarsi indietro e non fare le cose che penso siano molto importanti da fare". E Greta Thunberg marcerà alla protesta per il clima di Glasgow venerdì 5 novembre. L'attivista per il clima ha dichiarato alla BBC che: “I vertici non porteranno all'azione sugli obiettivi climatici, il cambiamento arriverà quando le persone lo chiederanno. Quindi non possiamo aspettarci che tutto accada in queste conferenze". Ed ha anche accusato i politici di inventare scuse.

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    Sir David Attenborough e Greta Thunberg



    IL RUOLO DEGLI ALBERI NELLA RIMOZIONE DEL CARBONIO DALL'ARIA

    Gli alberi hanno poteri straordinari: dal rendere le nostre vite più sane, pulendo l'aria che respiriamo al fornire dimora, così pretende larga parte della popolazione mondiale, ai tanto amati animali selvatici. Ed i loro poteri non si fermano qui, infatti gli alberi possono contenere enormi quantità di carbonio (tenendolo fuori dall'atmosfera) ed assorbirlo anche dall'atmosfera, compensando o equilibrando alcune delle emissioni rilasciate dai combustibili fossili (sebbene ci sia il timore che un'eccessiva dipendenza sul metterli a dimora potrebbe ritardare una vera azione per il clima).

    Infatti, secondo il professor Ulf Büntgen dell’Università di Cambridge e membro del “Wald, Schnee und Landschaft (WSL)”, l’Istituto Federale di Ricerca per la Foresta, la neve e il paesaggio - che studia gli effetti del cambiamento climatico sulla salute delle foreste, sulla distribuzione delle specie arboree e sulla foresta come serbatoio di carbonio - si stanno sviluppando raccomandazioni per una gestione forestale adeguata e ci potrebbe essere il rovescio della medaglia: “Questo è vero solo in parte, sostiene Büntgen. Se il pianeta si riscalda, le piante crescono più velocemente. Si potrebbe dunque pensare che piantando più alberi sia possibile assorbire maggiori quantità di carbonio dall’atmosfera. In effetti, numerosi programmi per la tutela del clima, come ad esempio la ‘Bonn Challenge’, (un'iniziativa mondiale che come obiettivo globale quello di ripristinare 150 milioni di ettari di paesaggi degradati e deforestati entro il 2020 e 350 milioni di ettari entro il 2030 n.d.r.) partono dal presupposto che il rimboschimento contribuisca ad assorbire i gas serra dall’atmosfera e dunque a frenare il cambiamento climatico”.

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    Ulf Büntgen


    PROTEGGERE LE COMUNITÀ E GLI HABITAT NATURALI

    Il cambiamento climatico ha aggravato le comunità più vulnerabili sono fortemente a rischio di perdere case e mezzi di sussistenza a causa del cambiamento climatico. Durante COP26, il Regno Unito chiederà agli organismi internazionali di unirsi per proteggere le comunità dagli effetti devastanti, ridurre al minimo le perdite e prevenire le catastrofi prima che colpiscano. La protezione degli habitat naturali serve anche a rafforzare la resilienza intrinseca dei nostri ecosistemi, aiutando a costruire difese naturali contro inondazioni e tempeste contribuendo all'agricoltura sostenibile. Ci si aspetta che tutti i paesi producano una comunicazione sull'adattamento, che riassumi il piano d'azione, la tabella di marcia, le potenziali sfide e le richieste di aiuto di ciascun paese. Secondo Anne-Marie Trevelyan, Segretario di Stato britannico per il commercio internazionale queste comunicazioni sull'adattamento, a COP26 si dovrebbero condividere "le migliori pratiche per trasformare l'ambizione in azione". E pensare che Boris Johnson ha recentemente riconosciuto di aver modificato negli ultimi anni le sue opinioni sulla crisi climatica, affermando che "se i fatti cambiano le persone cambiano idea".

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    RISORSE FINANZIARIE

    La portata e la rapidità dei cambiamenti che occorre apportare richiederanno un'ampia gamma di risorse finanziarie, e il cambiamento climatico dev'essere considerato in ogni decisione finanziaria. Naturalmente, questo vale per le decisioni di investimento privato. Tuttavia, anche il cambiamento climatico deve essere preso in considerazione in tutte le decisioni di spesa che i paesi e le istituzioni finanziarie internazionali prendono, soprattutto quando lanciano pacchetti di stimolo per ricostruire le economie dalla pandemia. I paesi in via di sviluppo in particolare hanno bisogno di sostegno. Lo sostiene anche Boris Johnson che afferma: “I paesi sviluppati devono mantenere la loro promessa di raccogliere almeno 100 miliardi di dollari ogni anno in finanziamenti per il clima per sostenere i paesi in via di sviluppo. Le aziende e le imprese devono essere trasparenti sui rischi e le opportunità di diventare un'economia net-zero. Naturalmente, ciò significa che anche le istituzioni finanziarie come le banche e le società di prestito devono essere pronte a resistere al cambiamento che porterà il passaggio a zero emissioni nette”. Però, stando alle ultime notizie, l'obiettivo originario di 100 miliardi di dollari che doveva essere raggiunto entro il 2020 e che è sembrato subito "improbabile", sarà forse raggiunto entro il 2023.

    La messa a punto dei regolamenti necessari per l'esecuzione dell'accordo di Parigi, noto come "Paris Rulebook" (Regolamento di Parigi), è uno dei principali obiettivi dei colloqui. Si tratta di “regole dettagliate che rendono operativo l'Accordo di Parigi”. Collettivamente, COP26 deve trovare soluzioni per azioni di mitigazione e adattamento del carbonio. Un reporting trasparente rafforzerà la fiducia nel sistema e renderà disponibile l'aiuto ogni volta che sarà necessario. Il Regno Unito, in particolare, spera di facilitare un accordo che alimenti l'ambizione di mantenere vivo ea portata di mano il sogno di 1,5 gradi.

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    PROGRESSI PIÙ RAPIDI

    L'obiettivo generale di COP26 è trasformare l'ambizione in azione. Ogni aspetto della nostra società ed economia deve essere rivisto con un "pettine a denti stretti" per sostituire i processi degradanti con quelli trasparenti, rispettosi dell'ambiente e sostenibili. Ciò significherebbe rivedere ciò che mangiamo, come alimentiamo le nostre case e i nostri trasporti, in cosa investiamo, come sviluppiamo le infrastrutture ed altro ancora. Attraverso COP26, il Regno Unito, tutta la platea degli invitati e le Nazioni Unite sperano di gettare le basi per progressi più rapidi nel decennio cruciale a venire.

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    La logica per rendere i nostri oceani più sostenibili sta diventando sempre più urgente. Se non agiamo per cambiare rotta, le principali funzioni biofisiche dell'oceano potrebbero collassare.


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    Gli oceani sono fondamentali per il cibo, la nutrizione e la sicurezza economica globale, ma le sue risorse non sono distribuite equamente. Questa disuguaglianza mette sempre più in pericolo la sostenibilità ecologica, lo sviluppo economico e la stabilità politica e sociale a lungo termine. La ricerca richiede pertanto una nuova relazione tra l'umanità e l'oceano per garantire la continuità dei diversi ruoli di supporto vitale forniti dal mare.

    L'equità deve avere la priorità se l'"economia blu" deve essere all'altezza del suo potenziale per nutrire le persone e il pianeta, ha affermato Eddie Allison, del “Research Chair for Equity and Justice in the Blue Economy, WorldFish”, il presidente della ricerca mondiale per l'equità e la giustizia nell'economia blu. "I leaders politici, aziendali e non profit devono assumere un chiaro impegno per affrontare le disuguaglianze persistenti e crescenti nei nostri mari se vogliamo garantire un'economia oceanica sostenibile. C'è la necessità di riconfigurare la legislazione e la gestione degli oceani, in modo che la sostenibilità emerga da iniziative politiche sia dall'alto che dal basso. Una visione condivisa dell'oceano come 'beni comuni', a beneficio di tutta l'umanità, deve applicarsi su scala nidificata, dal locale all'internazionale”, ha spiegato Allison.

    Molte persone che vivono vicino all'oceano hanno una forte sensazione intuitiva per i valori che ne derivano. A livello profondo, sanno che le loro coste sono protette dalle tempeste dalle foreste di mangrovie e si rendono conto che i pesci sono più abbondanti nelle aree in cui le barriere coralline e le fanerogame possono prosperare. Eppure, le attività umane spesso danneggiano o distruggono i nostri ecosistemi oceanici e la loro capacità di fornire benefici. Tradurre l'intuizione oceanica in azioni sostenibili non è facile per le comunità o i governi che si destreggiano tra priorità economiche, sociali e ambientali: è qui che possono entrare in gioco scienziati impegnati.

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    VERSO UN'ECONOMIA OCEANICA SOSTENIBILE

    L'oceano ci dà la vita. Ci nutre, ci diverte, ci connette, ispira e alimenta il buono il cattivo successo delle imprese marittime. Il nostro benessere dipende da un oceano sano. Lo ha sempre fatto. Lo sarà sempre. Le pressioni sull'oceano sono intense e in crescita, ma sappiamo che la ripresa non è del tutto facile. Fondamentalmente, un oceano sano contiene le soluzioni a molte delle sfide del mondo e mettere la sostenibilità al centro della gestione degli oceani è essenziale per la protezione, la produzione e la prosperità a vantaggio delle persone, della natura e dell'economia.

    Il benessere umano è dunque strettamente connesso alla biosfera, comprese le risorse naturali fornite dagli ecosistemi oceanici. Poiché molteplici esigenze con conseguenti fattori di stress minacciano l'oceano, è necessario un marcato cambiamento nella governance (l'insieme di regole, di ogni livello (leggi, regolamenti etc.) degli oceani per mantenere i doni che fornisce alle persone. Gli oceani forniscono importanti risorse naturali, ma la gestione e la governance degli oceani sono complesse e l'ecosistema ne risente. È necessaria pertanto una nuova relazione tra l'umanità e l'oceano per garantire la continuità dei diversi ruoli di supporto vitale forniti dalle sue acque.

    L'oceano, considerato nel suo insieme, non può essere definito esclusivamente né come un bene pubblico governato dallo Stato, né come un “oggetto” o un bene privato. La “World Commission on Environment and Development” (Commissione Mondiale per l'Ambiente e lo Sviluppo) afferma che: "Gli oceani sono caratterizzati da ruolo fondamentale da cui non c’è salvezza. Cicli interconnessi di energia, clima, risorse marine viventi e attività umane si muovono attraverso le acque costiere, i mari regionali ed i bacini chiusi (laghi o mari interni)”.

    La crescente prevalenza e il dominio delle società transnazionali sta mettendo in discussione anche il ruolo centrale dei governi nella governance dell'oceano che ha bisogno invece di un cambiamento radicale e di un approccio globale che tenga conto del suo inserimento e degli attori associati nel più ampio sistema planetario. È quindi meglio visto come un bene comune, una risorsa condivisa non statale e non privata che può essere protetta solo se le parti interessate che dipendono da essa si assumono la responsabilità collettiva della conservazione e del restauro con protocolli, valori e norme adeguate.

    Innovazioni di nicchia, nuovi approcci attraverso i quali settori o comunità di stakeholder interagiscono o producono beni da un sistema socio-ecologico in risposta alle pressioni paesaggistiche per creare e far rispettare le regole all'interno di una specifica arena politica (es. nascita di sistemi locali di energia rinnovabile come alternativa ai combustibili fossili). Un approccio integrato con contributi che vedano l’oceano secondo un’ottica olistica ed eco sistemica che significhi una transizione verso un sistema di governance globale adattabile e reattivo per governare gli oceani come beni comuni; un approccio che renda giustizia agli obblighi dell'umanità verso sé stessa, e per il pianeta che è la sua casa, quanto per usare una “dimora” più abusata che usata. Contributi determinati a livello nazionale nell'ambito dell'Accordo di Parigi, del processo di riesame nazionale volontario istituito nell'ambito del meccanismo di revisione degli SDG delle Nazioni Unite e degli impegni volontari nell'ambito della serie di conferenze “Our Ocean” (Registry of Voluntary Commitments UN Our Ocean Conference) (Registro degli Impegni Volontari Conferenza ONU Our Ocean).

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    Gli autori dello studio qui riassunto.


    Dette dinamiche globali e intrecciate, nell'attuale definizione giuridica nella “United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS)” (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare) e nel diritto consuetudinario internazionale, non si rispecchiano pienamente. L'oceano comprende un bene comune globale nelle aree al di là della giurisdizione nazionale dell'autorità di qualsiasi stato-nazione (l'alto mare e il fondale marino oltre le piattaforme continentali (Art 89 UNCLOS); nonché le aree all'interno della sovranità dello stato-nazione (zone marittime degli stati costieri compreso il “Territorial Sea Art 2, 3, Exclusive Economic Zone Art 55, and Continental Shelf Art 76” (UNCLOS) – (Acque territoriali Art 2, 3, Zona Economica Esclusiva Art 55 e Piattaforma Continentale Art 76 UNCLOS).

    La governance delle aree al di fuori della giurisdizione nazionale è generalmente più debole che all'interno. Un trattato per la biodiversità oltre la giurisdizione nazionale è in fase di negoziazione sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Fino a quando non sarà completato, oltre il 40% della superficie della Terra ha una protezione legale formale limitata per il suo habitat naturale e gli ecosistemi funzionali (se non attraverso un mosaico di organizzazioni settoriali).

    La logica per rendere i nostri oceani più sostenibili sta diventando sempre più urgente. Se non agiamo per cambiare rotta, le principali funzioni biofisiche dell'oceano potrebbero collassare. Le pressioni globali e regionali più ampie sull'oceano - quelle che si suole chiamare "pressioni paesaggistiche” - includono livelli crescenti di emissioni di gas serra, cambiamenti nella chimica, che hanno un impatto sulle specie e sulle reti alimentari in tutti gli ecosistemi oceanici, riscaldamento, deossigenazione, pesca eccessiva e deflusso dell'inquinamento da fonti terrestri e costiere.

    Il sistema Terra, e l'oceano in particolare, è a rischio di cambiamento “irreversibile o inimmaginabile”. Inoltre, l'oceano sta diventando una nuova frontiera economica per la produzione di energia, minerali e cibo. Le zone costiere non sono solo in prima linea nelle sfide della transizione, ma sopportano l'urto degli impatti dei cambiamenti climatici. Le transizioni ad una sostenibilità degli oceani sono quindi interdipendenti con quelle terrestri. La zona costiera funge da interfaccia tra la tra società basata sulla terra e l'espansione dell'attività economica oceanica. La pianificazione dell'uso del territorio costiero e la gestione integrata degli oceani sono quindi elementi critici di una transizione verso un'economia oceanica sostenibile. L'oceano è stato identificato come uno dei sei sistemi socio-ecologici chiave accoppiati che richiedono un cambiamento trasformativo per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

    PROSPETTIVE FUTURE SULL'INIZIATIVA "IL MONDO NEL 2050" (TWI2050)

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    “The World in 2050” (TWI2050) si concentra su sei trasformazioni che catturano gran parte delle dinamiche globali, regionali e locali e comprendono i principali driver di cambiamenti futuri: (i) capacità umana, demografia e salute; (ii) Consumo e produzione; (iii) Decarbonizzazione ed energia; (iv) Cibo, biosfera e acqua; (v) Città intelligenti; e (vi) rivoluzione digitale. Insieme danno una prospettiva incentrata sulle persone: costruire società ed economie locali, nazionali e globali che assicurino la creazione di ricchezza, la riduzione della povertà, la distribuzione equa e l'inclusione necessarie per la prosperità umana. Sono necessari e potenzialmente sufficienti per raggiungere una trasformazione della sostenibilità prospera, inclusiva e resiliente incorporata negli SDG se affrontati in modo olistico all'unisono. Fonte: aggiornata da TWI2050 (2018).

    Occorrerebbe dunque una transizione mirata verso un sistema oceanico più sostenibile che richiede un profondo allontanamento dal vecchio modo di fare business, basato su compiti ripetitivi e nessun senso critico per il miglioramento, ad uno sforzo normativo globale per perseguire la sostenibilità degli oceani. La trasformazione in un fiorente sistema oceanico richiede cambiamenti nella governance tra settori e scale di gestione, con la partecipazione effettiva e inclusiva di più attori. Il risultato finale sarebbe una forma di “governo policentrico(situazione in cui il potere risulta gestito da enti di diversa natura o impostazione (politici, economici, ideologici, religiosi, ecc.), in grado di gestire le risorse condivise e lo spazio oceanico.

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    Il policentrismo oceanico può richiedere che un'istituzione globale che stabilisca regole (come un'agenzia oceanica), supporti più organi di governo stabilendo una visione condivisa e creando quadri e processi guida di principio per facilitare una regolamentazione coerente e orientata ai sistemi. In un mondo complesso caratterizzato dalla resistenza nazionalista al multilateralismo da un lato e dall'impossibilità di un controllo centralizzato dall'altro, un tale sistema policentrico richiederà un equilibrio tra mercati, regolamentazione del governo e configurazioni istituzionali in cui i partecipanti hanno la massima libertà consentendo agli individui di comunicare, auto-organizzarsi e, in definitiva, co-creare valori d'uso non rivali, sotto forma di beni comuni.

    ISTITUZIONE DI META-GOVERNANCE (AD ES. UN'AGENZIA OCEANICA)

    Sebbene le attuali agenzie e istituzioni multilaterali (come l'UNEP, la FAO, l'IMO) abbiano validità e legittimità, i progressi verso un oceano sostenibile non sono al passo con il ritmo del cambiamento climatico e del degrado dell’oceano. Gli impatti oceanici si stanno verificando acutamente tra isole, coste, pesca e mari polari. Senza un cambiamento fondamentale, è probabile che la crescita dell'economia oceanica esacerba le disuguaglianze esistenti e acceleri l'esaurimento delle risorse oceaniche e il degrado dei sistemi ambientali planetari.

    Un policentrismo oceanico efficace può quindi richiedere che un'istituzione globale che stabilisca regole (o la ristrutturazione di un'istituzione globale esistente) per rappresentare una visione del mondo o un sistema di valori comuni e per creare quadri flessibili ispirati al buon governo per l'attuazione, il monitoraggio e la gestione blu delle attività economiche. Questa istituzione globale guiderebbe anche le politiche nazionali e le attività aziendali e gestirebbe le opinioni e le idee disparate dei molteplici attori nei processi di governance degli oceani e delle coste.

    Governare i compromessi tra i diversi obiettivi politici che sorgeranno in modelli di governance multiscalari (che possono essere analizzati sulla base di modelli costruiti su scale che hanno ordini di grandezze diversi) e policentrici (situazione in cui i poteri risultano gestiti da enti di diversa natura o impostazione) sarà più facile se vengono applicati principi di meta-governance (principalmente una pratica delle autorità pubbliche che comporta il coordinamento di una o più modalità di governance utilizzando diversi strumenti, metodi e strategie per superare i fallimenti della governance) come trasparenza, responsabilità e inclusività.

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    La meta-governance non è uno stile di super-governance ma un atteggiamento e un approccio che dovrebbe aiutare a superare alcuni dei fallimenti tipici di ciascuno degli stili di governance e delle loro combinazioni. Senza un insieme condiviso di norme, valori e "regole del gioco", la fioritura dal basso delle iniziative comuni non avrà l'impatto sistemico e trasformativo richiesto. Questa istituzione di meta-governance potrebbe essere supportata da un patrimonio comune della conoscenza e incaricata dagli Stati di creare quadri di principio (ad es. ad esempio le “Linee guida volontarie della FAO” per la sicurezza della pesca su piccola scala).

    La meta-governance è un mezzo per raggiungere lo sviluppo sostenibile. I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) adottati dalle Nazioni Unite nel settembre 2015 sono universalmente applicabili in tutti i 193 Stati membri delle Nazioni Unite e collegano le grandi sfide del nostro tempo, come fame e povertà, cambiamento climatico, salute in un ambiente urbanizzato ed energia sostenibile, mobilità, sviluppo economico e degrado ambientale. La sostenibilità ha le caratteristiche di un problema per il quale non esistono soluzioni univoche a causa della sua natura complessa e interconnessa. Pertanto, l'interazione responsabile con l'ambiente - per evitare l'esaurimento o il degrado delle risorse naturali e consentire la qualità ambientale a lungo termine - manca di chiarezza sia nei loro obiettivi che nelle soluzioni soggetti come sono a vincoli del mondo reale che ostacolano i tentativi di trovare una soluzione.

    LA SOSTENIBILITÀ È IN GENERALE UN IDEALE UTOPICO? PERCHÉ LA SOSTENIBILITÀ È COSÌ DIFFICILE REALIZZARLA? UNO STRALCIO DI UNA INTERVISTA RILASCIATA A “MPUL.SE METRO MAGAZINE” DEL NOTO ESPERTO DI FAMA INTERNAZIONALE NEL CAMPO DELLA SOSTENIBILITÀ DR. CHRISTIAN BERG SOSTIENE:

    <<<----- Clicca per conoscere la crescita della popolazione nel mondo!     "Oggi siamo quasi 8 miliardi. Si discute da decenni di sostenibilità e di 'limiti alla crescita', come formulava il titolo del 1° rapporto al Club di Roma del 1972 (“The Limits to Growth” n.d.r.). A Rio nel 1992, la comunità mondiale ha concordato l'obiettivo dello sviluppo sostenibile e nel 2015 i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite da raggiungere entro il 2030. Tuttavia, non è prevista un'inversione di tendenza. Il cambiamento climatico, l'abbattimento delle foreste pluviali e l'estinzione delle specie procedono senza controllo.

    Sfortunatamente, non c'è solo una ragione per questo, ma una pletora di ragioni molto diverse. Questi includono, tra gli altri, il fatto che i prezzi non dicono la verità ecologica, perché non riflettono i costi ambientali associati ai rispettivi prodotti; che non esiste un quadro normativo globale efficace per affrontare le sfide globali; che abbiamo enormi differenze sociali nel mondo – coloro che non possono nemmeno sfamare i propri figli oggi non possono pensare alle generazioni future; e che tutti noi siamo spesso troppo a nostro agio e in realtà non facciamo ciò che crediamo sia giusto".

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    Si discute da decenni di sostenibilità e di 'limiti alla crescita', come formulava il titolo del 1° rapporto al Club di Roma del 1972 (“The Limits to Growth” n.d.r.). A Rio nel 1992, la comunità mondiale ha concordato l'obiettivo dello sviluppo sostenibile e nel 2015 i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite da raggiungere entro il 2030. Tuttavia, non è prevista un'inversione di tendenza. Il cambiamento climatico, l'abbattimento delle foreste pluviali e l'estinzione delle specie procedono senza controllo.

    Sfortunatamente, non c'è solo una ragione per questo, ma una pletora di ragioni molto diverse. Questi includono, tra gli altri, il fatto che i prezzi non dicono la verità ecologica, perché non riflettono i costi ambientali associati ai rispettivi prodotti; che non esiste un quadro normativo globale efficace per affrontare le sfide globali; che abbiamo enormi differenze sociali nel mondo – coloro che non possono nemmeno sfamare i propri figli oggi non possono pensare alle generazioni future; e che tutti noi siamo spesso troppo a nostro agio e in realtà non facciamo ciò che crediamo sia giusto”.

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