Profumo di mare: Terra, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità, transizione ecologica

Posts written by Filippo Foti

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    La pelle è l'organo del corpo umano più esposto alle radiazioni solari nocive. Identificati ingredienti naturali chiave, da aggiungere alle creme protettive tradizionali, come antiossidanti per evitare gli effetti dannosi del sole.


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    La pelle, l'organo più grande del corpo umano, costituisce un'efficace barriera tra essa e l'ambiente prevenendo l'invasione di agenti patogeni e respingendo gli attacchi chimici e fisici, nonché la perdita sregolata di acqua e soluti. Questo la rende più esposta ad esposizioni ambientali come inquinamento, temperatura e radiazioni che, a seconda delle risposte biologiche governate dai vari fattori genetici interni e non, possono contribuire al suo invecchiamento. Assieme ai suoi derivati (capelli, unghie, sudore e ghiandole sebacee) costituiscono il sistema tegumentario. Una delle principali funzioni della pelle è la protezione. Protegge il corpo da fattori esterni come batteri, sostanze chimiche e temperatura. La pelle contiene secrezioni che possono uccidere i batteri e il pigmento melanina fornisce una difesa chimica del pigmento contro la luce ultravioletta che può danneggiare le cellule della pelle.

    Con l'estate a portata di mano, è di nuovo tempo di soleggiate avventure all'aria aperta! Ma la cosa migliore che si può fare, per mantenere la pelle giovane e sana e prevenire le rughe, è evitare l'esposizione diretta e costante ai raggi del sole. Cosa che non è mai buona.

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    La generica protezione solare - figuriamoci l'impiego di apparecchiature dotate di lampade UV, ovvero mediante l'uso delle "lampade abbronzanti" che rendono la pelle abbronzata artificialmente - non protegge come dovrebbe. Ecco che la scienza ha pensato di porre rimedio! Infatti, secondo un nuovo studio sull'invecchiamento cutaneo, correlato al sole, condotto dalla dott.ssa Charareh Pourzand presso l'Università di Bath nel Regno Unito, è stato trovata la soluzione: in tutte le creme solari ed antietà manca un ingrediente chiave affinché la nostra pelle sia protetta molto meglio dagli effetti dannosi del sole, ovvero una ricca fonte di foto protezione naturale.

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    L'ingrediente mancante, secondo la Pourzand, è una classe di antiossidanti (un tipo di molecola stabile) che si trova comunemente in natura. Gli esperimenti hanno dimostrato che queste molecole antiossidanti eliminano il ferro in eccesso nelle cellule, aiutandole a mantenere un livello sano di radicali liberi (un tipo di molecola instabile). Questi ultimi ed il ferro libero sono fortemente legati ai danni della pelle.

    "Includendo questi potenti antiossidanti nei prodotti per la cura della pelle e nelle formulazioni solari, e quindi intrappolando il ferro libero, possiamo aspettarci di ottenere un livello di protezione dal sole senza precedenti", afferma la studiosa, che ha guidato la ricerca presso il Dipartimento di Farmacia e farmacologia ed il Centro per l'innovazione terapeutica presso l'Università di Bath.

    Gli scienziati sono a conoscenza da tempo che i depositi di ferro favoriscono la comparsa dell'invecchiamento, ma l'ultimo studio evidenzia l'interazione tra ferro libero e radicali liberi nella pelle. Come risultato della sua scoperta, la Pourzand esorta i produttori di prodotti per la cura della pelle a guardare più da vicino le opportunità per includere estratti che intrappolano il ferro nei loro prodotti.

    Nel laboratorio dell'Università di Bath sono già stati identificati numerosi estratti naturali che intrappolano il ferro (questi includono diverse classi di composti botanici innovativi, fungini e marini, tra cui estratti di alcune verdure, frutta, noci, semi, corteccia e fiori. Tuttavia dallo studio emerge che sono necessarie ulteriori ricerche prima che uno qualsiasi di questi composti sia idoneo per scopi commerciali.

    "Sebbene gli antiossidanti che abbiamo identificato funzionino bene in condizioni di laboratorio, non rimangono necessariamente stabili una volta aggiunti a una crema. Questi estratti provengono dalle piante e i fattori ambientali ne influenzano la stabilità e l'efficacia a lungo termine: qualsiasi cosa che dipenda dalla stagione in cui vengono coltivati, al tipo di suolo, alla latitudine e al momento del raccolto può cambiare la forza con cui possono neutralizzare i radicali liberi e funzionare come trappole del ferro. Ciò che serve ora è che le sostanze chimiche bioattive in questi estratti siano standardizzate: una volta che ciò accade, possono e devono essere aggiunte a prodotti progettati per proteggere la pelle dall'invecchiamento", afferma la Pourzand

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    ESPOSIZIONE AL SOLE ED INVECCHIAMENTO CUTANEO

    La maggior parte delle persone probabilmente non sa che esistono due diversi tipi di raggi UV: ultravioletti A (UVA) e ultravioletti B (UVB). Gli UVA penetrano più a fondo nell'epidermide arrivando fino al derma; gli UVB possono essere filtrati dal vetro e dai prodotti solari; gli UVA sono responsabili dell'invecchiamento cutaneo; gli UVB sono responsabili dell'abbronzatura (o delle scottature).

    I filtri solari oggi sul mercato sono progettati per bloccare o assorbire i raggi UV. In tal modo, riducono il numero di radicali liberi che si creano sulla pelle: sono queste molecole instabili che causano appunto danni alla pelle ed invecchiamento, in un processo noto come “stress ossidativo” (così come sopra descritto). I radicali liberi causano danni al DNA e altri componenti cellulari e questo a volte provoca la morte cellulare. Ciò che non è stato tenuto in considerazione nelle formulazioni solari e antietà è il ruolo del ferro, sia nel danneggiare direttamente la pelle quando interagisce con i raggi UV, sia nell'amplificare i danni causati dai radicali liberi. Questo deve cambiare", afferma la Pourzand. "Le formulazioni devono adattarsi e migliorare".

    I composti antiossidanti identificati hanno la capacità di proteggere la pelle sia dall'invecchiamento cronologico (il naturale declino della grana della pelle che deriva dall'età) sia dall'invecchiamento mediato dal sole (noto come fotoinvecchiamento).

    Sebbene il corpo abbia bisogno di ferro per funzionare correttamente, troppo (o troppo poco) è dannoso o addirittura mortale per le nostre cellule. Per proteggersi da questo pericolo, le nostre cellule hanno un sistema ben sviluppato per regolare il ferro in eccesso quando si accumula, riportandolo così ad uno stato di equilibrio (noto come omeostasi). In presenza della luce solare, tuttavia, questo equilibrio viene interrotto, causando danni alla pelle, invecchiamento e talvolta cancro. L'invecchiamento cronologico, un fenomeno complesso che può essere considerato geneticamente programmato, contribuisce anche allo squilibrio dei livelli di ferro, soprattutto nelle donne dopo la menopausa, il che significa che le persone anziane sono più vulnerabili di altre agli effetti devastanti del sole.

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    L'ONU ha pubblicato il 4 Aprile un nuovo rapporto sul clima: ecco cosa spiega e cosa si può fare al riguardo del cambiamento climatico. La natura nostra preziosa alleata per combattere il cambiamento climatico.


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    L’IPCC che sta per “Intergovernmental Panel on Climate Change”, è il gruppo scientifico formato dalle Nazioni Unite per monitorare e valutare tutta la scienza globale relativa al cambiamento climatico, ed ogni rapporto si concentra sui suoi diversi aspetti.

    Nel 2010-2019 le emissioni globali medie annuali di gas serra hanno raggiunto i livelli più alti nella storia umana, ma il tasso di crescita è rallentato, pertanto, senza una riduzione immediata e profonda delle emissioni in tutti i settori, limitare il riscaldamento globale a 1,5° C. è fuori portata.

    L'IPCC, il 4 aprile 2022, ha pubblicato un nuovo rapporto sul clima, basandosi sui risultati del precedente reso noto il 28 febbraio scorso. Ma cos'è esattamente l'IPCC? Cosa significano questi rapporti e in che cosa differiscono dai rapporti precedenti? Il rapporto “Summary for Policymakers of the IPCC Working Group III, Climate Change 2022: Mitigation of climate change”, è la terza parte del “Sixth Assessment Report [AR6- Working Group III WG3], ovvero del (6° rapporto di valutazione dell'IPCC (AR6 Gruppo di lavoro III). Raccoglie le ultime conoscenze sul cambiamento climatico, le minacce che stiamo già affrontando oggi e cosa possiamo fare per limitare ulteriori aumenti di temperatura e i pericoli che rappresentano per l'intero pianeta. Il rapporto è stato approvato da 195 governi membri dell'IPCC, attraverso una sessione di approvazione virtuale iniziata il 21 marzo.

    Il rapporto di 2913 pagine è il culmine dello sforzo globale di 278 autori scientifici e 65 governi (il 41% dei quali sono Paesi in via di sviluppo) per raggiungere un consenso basato su oltre 18.000 articoli scientifici e la risoluzione di oltre 59.000 commenti di revisioni tecnologiche, ambientali, economiche e sociali della mitigazione del cambiamento climatico. Integra tutto il lavoro precedente, compresi i rapporti dei gruppi di lavoro I (lo stato del riscaldamento globale) e II (rischio climatico e adattamento), che sono stati pubblicati rispettivamente a novembre 2021 e marzo 2022. Questa terza relazione seguirà, entro la fine dell'anno, da una relazione di sintesi.

    Conferenza stampa dell'IPCC per la mitigazione del cambiamento climatico 2022: traduzione disponibile in italiano.


    Nell'introdurre il rapporto, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres non ha mezzi termini e non ha lasciato dubbi su quale sia il "verdetto": "Siamo sulla corsia preferenziale del disastro climatico. Questo sarà un mondo invivibile che includerà grandi città sott'acqua, ondate di caldo e disastri terrificanti. Sulla carta i governi del mondo si sono impegnati a fare tutto il possibile per limitare il riscaldamento della Terra a 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali entro il 2100. La realtà di ciò che sta accadendo attualmente è molto diversa. Siamo sulla buona strada verso un mondo che sarà di 3,2 gradi più caldo rispetto ai tempi preindustriali. Il problema più grande è il cosiddetto 'divario di emissioni', che è già ampio e in crescita. Ogni governo sa che il mondo ha bisogno di ridurre le emissioni di gas serra del 45% nei prossimi otto anni per avere la possibilità di rimanere entro il limite di 1,5 gradi. Invece, sulla base degli impegni attuali, aumenteremo le emissioni del 14% in questo decennio".

    "Ciò che rende tutto ciò ancora peggiore, sottolinea Guterres, è che i governi e le società ad alte emissioni non stanno solo chiudendo un occhio, stanno aggiungendo benzina sul fuoco!... Alcuni governi dicono una cosa, ma ne fanno un'altra. In poche parole, stanno mentendo. I pochissimi con interessi acquisiti negli investimenti storici nei combustibili fossili stanno 'soffocando il mondo', quando ci sono soluzioni più economiche e rinnovabili che forniscono posti di lavoro verdi, sicurezza energetica e maggiore stabilità dei prezzi. I paesi che stanno aumentando la produzione di combustibili fossili in questo momento, e non i giovani attivisti per il clima, sono i radicali veramente pericolosi. Investire in nuove infrastrutture per i combustibili fossili è una follia morale ed economica. Siamo in una vera e propria 'emergenza climatica' nel momento in cui noi, il mondo, ci stiamo ancora riprendendo in modo molto disomogeneo dalla pandemia di Covid-19, dall'aumento dell'inflazione; e la guerra in Ucraina sta portando a un aumento vertiginoso dei prezzi di cibo ed energia.", ha affermato Guterres.


    Il suddetto rapporto chiarisce che dobbiamo accelerare (tre volte) il nostro passaggio alle energie rinnovabili e rimuovere immediatamente tutti gli attuali sussidi all'industria dei combustibili fossili. Fornisce una valutazione di fattibilità completa e dettagliata di diverse opzioni di mitigazione in diverse dimensioni: per energia, domanda e servizi, trasporti, edifici di città e aree urbane, industria, uso del suolo, come colmare il divario di investimenti, rimozione di anidride carbonica, tecnologia e innovazione. Vengono inoltre valutate la cooperazione internazionale, le opzioni politiche nazionali e subnazionali e viene fornita una guida per le condizioni abilitanti. Se è vero che il divario è ancora in aumento e ci stiamo dirigendo verso il disastro, il tasso di aumento in alcune aree geografiche è diminuito e vi sono prove crescenti dell'azione per il clima.

    La relazione ha anche mostrato che l'adattamento e la mitigazione sono complementari e in misura persino necessari l'uno per l'altro. Mentre tutti dobbiamo sostenere l'attenzione alle politiche e alla cooperazione a tutti i livelli - tra gli individui e l'organizzazione, le città, le regioni, i paesi e a livello internazionale, è anche nel nostro migliore interesse (a breve, medio e lungo termine) trovare modi per contribuire allo sviluppo sostenibile, individualmente e collettivamente.

    ABBIAMO OPZIONI IN TUTTI I SETTORI PER DIMEZZARE ALMENO LE EMISSIONI ENTRO IL 2030

    Sempre secondo l'ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), la limitazione del riscaldamento globale richiederà importanti transizioni nel settore energetico. Ciò comporterà una sostanziale riduzione dell'uso di combustibili fossili, una diffusa elettrificazione, una migliore efficienza energetica e l'uso di combustibili alternativi (come l'idrogeno).

    "Avere le giuste politiche, infrastrutture e tecnologie in atto per consentire cambiamenti ai nostri stili di vita e comportamenti può comportare una riduzione del 40-70% delle emissioni di gas serra entro il 2050. Ciò offre un potenziale significativo non sfruttato. L'evidenza mostra anche che questi cambiamenti nello stile di vita possono migliorare la nostra salute e il nostro benessere", ha affermato Priyadarshi Shuklal co-presidente del gruppo di lavoro III dell'IPCC.

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    Anche le città e altre aree urbane offrono opportunità significative per la riduzione delle emissioni. Queste possono essere raggiunte attraverso un minor consumo di energia (ad esempio creando città compatte e percorribili a piedi), l'elettrificazione dei trasporti in combinazione con fonti di energia a basse emissioni ed un migliore assorbimento e stoccaggio del carbonio utilizzando la natura. Cambiare il modo in cui gestiamo la terra per aumentare la quantità di carbonio contenuta nella vegetazione, nei suoli e nei fondali marini è fondamentale per mitigare gli impatti del cambiamento climatico. La cattura del carbonio alla fonte e lo stoccaggio del carbonio nei bacini geologici possono essere soluzioni a lungo termine per il futuro, una volta che la tecnologia giusta sarà in atto.

    IL RUOLO FONDAMENTALE DEGLI OCEANI

    L'oceano globale svolge un ruolo fondamentale nell'intrappolare e immagazzinare la CO2 atmosferica che altrimenti contribuirebbe al riscaldamento globale. Il carbonio immagazzinato negli ecosistemi costieri e marini (il cosiddetto carbonio "blu") si trova in diversi tipi di fondali marini che svolgono più o meno lo stesso ruolo delle torbiere costiere. Gli habitat di stoccaggio del carbonio includono: foreste di alghe; saline; alghe rosse; barriere coralline di acque profonde (note anche come barriere coralline di acque fredde); gusci di fiamma (Limaria hians) che vivono nascosti in nidi sul fondo del mare, che costruiscono con conchiglie, pietre e altri materiali, e letti di cozze. Questo è qualcosa che possiamo fare ora.

    CI SONO OPZIONI PER CITTÀ CONSOLIDATE, IN RAPIDA CRESCITA E NUOVE

    "Vediamo esempi di edifici a energia zero o zero emissioni di carbonio in quasi tutti i climi. L'azione in questo decennio è fondamentale per catturare il potenziale di mitigazione degli edifici", ha affermato Jim Skea, copresidente del gruppo di lavoro III dell'IPCC.

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    Secondo il succitato 6° rapporto di valutazione dell'IPCC, la riduzione delle emissioni nell'industria comporterà l'utilizzo dei materiali in modo più efficiente, il riutilizzo e il riciclaggio dei prodotti e la riduzione al minimo dei rifiuti. Per i materiali di base, tra cui acciaio, materiali da costruzione e prodotti chimici, i processi di produzione di gas ad effetto serra, da basso a zero, sono in una fase pilota o quasi commerciale. Questo settore rappresenta circa un quarto delle emissioni globali. Raggiungere lo zero netto sarà impegnativo e richiederà nuove soluzioni.

    L'agricoltura, la silvicoltura e altri usi del suolo possono fornire riduzioni delle emissioni su larga scala ed anche rimuovere e immagazzinare l'anidride carbonica su vasta scala. Tuttavia, la Terra non può compensare le riduzioni ritardate delle emissioni in altri settori. Le opzioni di risposta possono avvantaggiare la biodiversità, aiutarci ad adattarci al cambiamento climatico e garantire mezzi di sussistenza, cibo, acqua e forniture di legno.

    I PROSSIMI ANNI SONO CRITICI

    Negli scenari valutati nel rapporto in questione, limitare il riscaldamento a circa 1,5° C richiede che le emissioni globali di gas serra raggiungano il picco al più tardi entro il 2025 e si riducano del 43% entro il 2030; allo stesso tempo, anche il metano dovrebbe essere ridotto di circa un terzo. Ed anche se lo facciamo, è quasi inevitabile che si superi temporaneamente questa soglia di temperatura, ma che si possa tornare al di sotto di essa entro la fine del secolo.

    "Ora o mai più, se vogliamo limitare il riscaldamento globale a 1,5° C. e senza riduzioni immediate e profonde delle emissioni in tutti i settori, sarà impossibile", ha affermato Skea. La temperatura globale, spiegano gli esperti, si stabilizzerà quando le emissioni di anidride carbonica raggiungeranno lo zero netto: per 1,5 gradi significa raggiungere l'obiettivo nei primi anni 2050 e per i 2 gradi nei primi anni 2070.

    COLMARE I DIVARI DI INVESTIMENTO

    Il rapporto guarda oltre le tecnologie e dimostra che mentre i flussi finanziari sono un fattore da tre a sei volte inferiori ai livelli necessari entro il 2030 per limitare il riscaldamento al di sotto dei 2° C, vi è sufficiente capitale globale e liquidità per colmare i divari di investimento. Tuttavia, si basa su segnali chiari da parte dei governi e della comunità internazionale, compreso un più forte allineamento delle finanze e delle politiche del settore pubblico. “Senza tenere conto dei vantaggi economici della riduzione dei costi di adattamento o dell'evitare gli impatti climatici, il prodotto interno lordo (PIL) globale sarebbe solo di pochi punti percentuali inferiore nel 2050 se intraprendessimo le azioni necessarie per limitare il riscaldamento a 2° C o inferiore, rispetto al mantenimento delle politiche attuali”, ha affermato Shukla.

    RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE

    Un'azione per il clima accelerata ed equa nella mitigazione e nell'adattamento agli impatti del cambiamento climatico è fondamentale per lo sviluppo sostenibile. Alcune opzioni di risposta possono assorbire e immagazzinare carbonio e, allo stesso tempo, aiutare le comunità a limitare gli impatti associati all'aumento delle temperature. Ad esempio, nelle città, parchi e spazi aperti, le zone umide e l'agricoltura urbana si possono ridurre il rischio di inondazioni e gli effetti delle isole di calore. La mitigazione nell'industria può ridurre l'impatto ambientale e aumentare le opportunità occupazionali e commerciali. L'elettrificazione con energie rinnovabili e spostamenti nei trasporti pubblici possono migliorare la salute, l'occupazione e l'equità.

    Il cambiamento climatico è il risultato di oltre un secolo di energia e uso del suolo insostenibili, stili di vita e modelli di consumo e produzione. Questo rapporto mostra come agire ora può spostarci verso un mondo più equo e sostenibile", ha affermato Skea.

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    COSA È UTILE SAPERE SULL'ULTIMO RAPPORTO IPCC?

    Il recente rapporto dell'IPCC mostra alcune cose simili ai rapporti precedenti di cui già siamo a conoscenza: che il cambiamento climatico sta già causando tempeste, inondazioni, siccità, incendi e altri eventi meteorologici estremi più frequenti e più gravi. Ma ogni rapporto include dati scientifici più recenti e dettagliati, che gli consentono di descrivere gli impatti del momento e prevedere le tendenze future con maggiore precisione.

    L'ultimo rapporto dell'IPCC mostra che le emissioni di gas serra continuano ad aumentare e gli attuali piani per affrontare il cambiamento climatico non sono abbastanza ambiziosi da limitare il riscaldamento a 1,5° C al di sopra dei livelli preindustriali, una soglia che gli scienziati ritengono necessaria per evitare impatti ancora più catastrofici. La cosa particolarmente preoccupante è che queste emissioni non sono distribuite in modo uniforme: i Paesi più ricchi sono responsabili di emissioni sproporzionatamente maggiori rispetto ai paesi in via di sviluppo che stanno subendo impatti climatici più gravi, come ha mostrato il rapporto di febbraio.

    C'È SPERANZA ALLORA?

    Il cambiamento climatico è qui oggi, rimodellando il nostro mondo in modi grandi e piccoli, ma ciò non significa che il nostro futuro sia predeterminato. Abbiamo ancora la capacità di limitare l'ulteriore riscaldamento e di aiutare le comunità di tutto il mondo ad adattarsi ai cambiamenti già avvenuti. Ogni frazione di grado conta. Dobbiamo accelerare la transizione globale verso l'energia pulita e raggiungere al più presto le emissioni nette zero. Ma come mostra l'ultimo rapporto dell'IPCC, non dovremo solo ridurre le emissioni, dovremo rimuovere parte del carbonio che è già nell'atmosfera.

    Fortunatamente, la natura ha creato una potente tecnologia che fa proprio questo: la fotosintesi. Le piante assorbono naturalmente il carbonio dall'aria e lo immagazzinano nelle loro radici e nel terreno. In effetti, i nostri alleati verdi potrebbero fornire quasi un terzo delle riduzioni delle emissioni di cui abbiamo bisogno per rimanere entro la soglia di 1,5°C. La cosa più urgente che possiamo fare per aiutare la natura a combattere il cambiamento climatico è proteggere gli habitat naturali di tutto il mondo che immagazzinano miliardi di tonnellate di questo "carbonio vivente". Possiamo anche noi stessi dare un aiuto, cambiando il modo in cui gestiamo i terreni, le fattorie e foreste di legname in modo che trattengano più carbonio e ripristinino gli habitat naturali su terreni che sono stati bonificati o degradati.

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    COSA POSSIAMO FARE PER FERMARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO?

    Una sfida globale come il cambiamento climatico richiede soluzioni globali. Richiederà l'azione sul campo, nonché nuove politiche nazionali e trasformazioni economiche. Ecco alcune cose che le comunità, i governi e le imprese possono fare: Quando si tratta di lavorare con la natura per combattere il cambiamento climatico, non possiamo ottenere un'azione efficace senza la guida delle popolazioni indigene e delle comunità locali. Queste sono alcuni dei più importanti protettori del carbonio vivente del mondo, poiché le terre di proprietà o gestite dagli indigeni hanno spesso tassi di deforestazione molto più bassi rispetto alle aree protette dai governi. In effetti, le terre gestite dagli indigeni supportano circa l'80% della restante biodiversità mondiale e il 17% del carbonio forestale del pianeta. Per aiutare i gruppi indigeni a continuare a svolgere questo ruolo cruciale, i governi devono riconoscere formalmente i loro diritti sulla terra e sulle risorse e i finanziamenti per l'azione per il clima dovrebbero includere il sostegno alle loro comunità.

    L'ultimo rapporto dell'IPCC mostra che solo 24 paesi nel mondo stanno effettivamente riducendo le proprie emissioni. Tutti i Paesi, ma soprattutto quelli ricchi che generano la maggior parte delle emissioni, devono creare piani d'azione più ambiziosi per il clima allo scopo di eliminare le emissioni ed estrarre più carbonio dalla loro atmosfera. Un modo efficace per farlo è appunto investire di più nella natura. L'IPCC stima che costerebbe circa 400 miliardi di dollari per apportare le modifiche all'agricoltura, alla silvicoltura e ad altri usi del suolo necessari per limitare le emissioni. Sembra molto, ma è meno dei sussidi governativi che questi settori stanno già ricevendo.

    QUA’LÈ LA SOLUZIONE MIGLIORE?

    Molte di queste soluzioni climatiche naturali avvantaggiano la società in altri modi, come il miglioramento della qualità dell'aria e dell'acqua, la produzione di più cibo e la protezione della varietà della vita naturale da cui tutti dipendiamo. E, come i governi nazionali, le aziende devono innanzitutto impegnarsi a raggiungere emissioni nette zero nelle loro operazioni: devono smettere di immettere più carbonio nell'aria. Il modo più diretto per farlo è passare a fonti di energia pulita. La transizione verso le energie rinnovabili fornisce un percorso a basso costo, basse emissioni di carbonio ed a basso conflitto per soddisfare il fabbisogno energetico globale senza danneggiare la natura e le comunità. Quei settori che oggi avranno difficoltà a ridurre le proprie emissioni, come le compagnie aeree, ad esempio, dovrebbero trovare il modo di compensare il loro impatto.

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    I mercati del carbonio offrono un modo per raggiungere questo obiettivo consentendo alle imprese e ad altri inquinatori di acquistare "compensazioni" per le loro emissioni inevitabili, che pagano per proteggere le terre naturali che altrimenti sarebbero bonificate senza quel finanziamento o per ripristinare quelle che non si riprenderebbero.

    È LOGICO PREVEDERE CHE I PREZZI ELEVATI DEL CARBURANTE ACCELERERANNO LA TRANSIZIONE ENERGETICA? Segui il nostro commento qui --->

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    Sembra una domanda banale, ma in realtà non lo è affatto. Spesso alcuni dissenzienti si chiedono perché il Mar Mediterraneo non è considerato un grande lago o un oceano. Ecco le differenze fondamentali tra mari ed oceani.


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    Nella scienza, di solito, c'è un termine “quasi” esatto per ogni cosa. Precisiamo che il quasi virgolettato, ci sta, e come, in quanto esiste un principio per cui non sussiste l’infallibilità, ovvero il concetto di dimostrazione rigorosa, che porti a conoscere qualcosa con assoluta certezza. E ciò è in relazione al fatto che il campo scientifico si riferisce spesso ad aree che sono spesso correlate in qualche modo l'una all'altra, rendendo ulteriormente difficile il raggiungimento appunto della completa certezza. D'altra parte, si può anche sostenere che è possibile raggiungere la quasi completa certezza in matematica e scienze naturali, pur con qualche distinguo filosofico.

    Ad esempio, diversi scienziati hanno condotto molti studi sul cambiamento climatico e, dalle loro ricerche, hanno concluso che la temperatura media globale è effettivamente in aumento. Questo è del tutto certo poiché tutte le ricerche concordano sul fatto che questo è un fatto incontrovertibile, in quanto può essere dimostrato con prove scientifiche rigorose. Insomma, vogliamo sottolineare che questa è una introduzione di chi “colpevolmente” cerca sempre di esprimere concetti razionali, con rispetto anche di chi ha opinioni diverse su alcuni concetti sia pure discutibili. Ecco che ora possiamo discutere su una delle cose alquanto controverse che rende così interessante stabilire la differenza tra mare ed oceano.

    I due termini, che nel corso dei secoli si sono prestati a diverse interpretazioni geopolitiche, sono in qualche modo intercambiabili in molti modi. Forse questo perché la definizione originaria di mari e oceani era antecedente alla riscoperta della scienza nel Medioevo ed era quindi più un termine generico che non altamente specifico. Le definizioni nebulose originali sono state quindi autorizzate a continuare fino ai tempi moderni e rimangono ancora alquanto poco chiare nella loro differenziazione. La consuetudine, in questo caso, si è dimostrata più forte di una determinata definizione scientifica. Pertanto, diamo un'occhiata a questo confronto tra mari ed oceani.

    CONFRONTO TRA MARI E OCEANI

    Come generalmente è inteso oggi, ci sono alcune similitudini tra tutti i mari e tutti gli oceani. Il principale è quello delle dimensioni. I mari sono specchi d'acqua molto più piccoli degli oceani ed anche l'oceano più piccolo contro il mare più grande conserva la sua connotazione.

    Capita spesso anche che alcuni mari siano considerati componenti di specchi d'acqua più ampi. Questo è spesso, ma non sempre, un oceano a cui appartengono mari più piccoli. Nel caso più ovvio, il Mar Mediterraneo non è un oceano, ma anche varie parti di esso sono considerate mari a sé stanti. Il Mar Tirreno è quella parte dell'intero Mar Mediterraneo che lambisce le coste occidentali compreso tra l’Italia peninsulare e le tre isole maggiori. Dall'altra parte del nostro stivale, quello specchio d'acqua tra l'Italia e la penisola balcanica è generalmente noto come Mare Adriatico. Inoltre, il Mare Egeo è la parte del Mediterraneo dall'altra parte della penisola balcanica che lo separa dall’Asia occidentale, in particolare dalla Turchia.

    Negli stessi oceani più ampi, è possibile trovare molti mari elencati inclusi come un tipo simile di subunità nel loro dominio oceanico generale. Ad esempio, il Mar Cinese Meridionale, insieme al Mar Giallo ed al Mar del Giappone, fanno tutti parte del grande Oceano Pacifico, ma conservano come luoghi, la propria distinta identità locale.

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    LE DIFFERENZE FONDAMENTALI TRA MARE E OCEANO

    Come accennato in precedenza, sono le dimensioni che contano in termini di definizione di mari e oceani. Eppure si verificano anche altre differenze. Gli oceani sono considerati acqua salata mentre i mari sono spesso considerati “acqua salata o meno salata”. Ciò è dovuto alla vicinanza di tali mari alle masse continentali della Terra. I fiumi che scaricano acqua dolce nei mari al largo delle coste, diluiscono in una certa misura il livello della concentrazione del sale che non sarà mai come quello degli oceani.

    Oltre alle dimensioni, conta anche l'accessibilità nel distinguere mari, laghi ed oceani. Le acque più ampie del mondo sono considerate cinque oceani interconnessi, sebbene questa definizione, in una certa misura tradizionale, stia subendo modifiche. Ad esempio, alcuni “mari”, come ancora viene definito il “mard'Aral, (definiamolo meglio lago, un bacino salato di origine oceanica diviso tra Kazakistan e Uzbekistan che ha subito uno dei più gravi disastri ambientali provocati dall'uomo che lo sta facendo quasi scomparire) e il “marCaspio, sono completamente separati da qualsiasi collegamento con gli oceani e possono quindi essere definiti appunto anche laghi di acqua salata come il “Great Salt Lake (Grande lago salato)”, situato nel nord-ovest dello Utah, nella contea di Salt Lake Stati Uniti.

    Il 23 luglio 2021, questo lago che è emerso circa 10.000 anni fa. ha raggiunto il livello dell'acqua più basso mai registrato e da allora ha continuato a scendere, tanto che l'indicatore "US Geological Survey" (USGS) presso il porto di Saltair all'estremità meridionale del lago, ha registrato il livello medio giornaliero di 1277,5 metri sul livello del mare.

    Ci sono molte minacce per Great Salt Lake, ma di gran lunga la più urgente è la perdita d'acqua. Dal 2011, Great Salt Lake si è ridotto di quasi il 40%. Nel novembre 2016, la NASA ha rilasciato immagini satellitari che dimostrano il declino. Al momento risulta esposto ad oltre il 50 per cento del fondo e come succede in molti altri laghi salini, compreso il Mar Morto, è possibile galleggiare.

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    E, già che ci siamo, citiamo anche quello che ancora ci si ostina a chiamarlo mare il “Mar morto”. Infatti, nonostante sia ancora definito mare, è anch’esso un lago considerato il più salato del mondo. Potremmo annoverare altri mari, non proprio tali, per il loro numero limitato di collegamenti con la più ampia massa oceanica: Il Mar Baltico, ad esempio, ha solo uno sbocco nel più ampio Oceano Atlantico. Il Mar Nero ha solo uno stretto sbocco nel Mar Mediterraneo, che a sua volta ha un solo sbocco naturale nell'Atlantico. A proposito: mare o lago Mediterraneo? All'altra estremità, il Canale di Suez offre un'uscita artificiale al Mar Rosso, che a sua volta ha solo un'apertura nell'Oceano Indiano.

    Comunque uno dei caratteri distintivi degli oceani è quello che sono molto più profondi di qualsiasi altro mare. Le profondità oceaniche possono arrivare fino a 10.898 metri come nella Fossa delle Marianne nel Pacifico centrale. Il punto più profondo del Mediterraneo si trova a circa 5270 metri. I mari, tuttavia, tendono ad essere in media molto meno profondi rispetto alle profondità medie oceaniche. Comunque, in tutti i casi, i mari sono noti per la loro vicinanza alla terraferma.

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    Sui lidi di quel mare Mediterraneo che, insinuandosi nella terraferma, forma il più vasto golfo dell'Oceano ed ora restringendosi per mezzo di isole o promontori, ora estendendosi ampiamente, unisce e separa ad un tempo le tre parti del mondo antico; fin dai tempi remoti si stabilirono genti varie le quali, se sotto l'aspetto etnografico e linguistico appartengono a stirpi diverse, storicamente formano un unico complesso. [THEODOR MOMMSEN]

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    Per i nostri lettori con più di 60 anni, sappiate che siete tra i cattivi emettitori di gas serra.
    Le nostre impronte di carbonio dipendono dal comportamento, dalla ricchezza, dallo stile di vita e ... dall'età.


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    Source: Sopra un commento estrapolato da un articolo di Jean M. Twenge, autrice del libro "Generation Me.", docente di psicologia alla San Diego State University, con una aggiunta di due “stereotipi”, per quanto ancora possono essere percepiti, non ancora "ufficiali".

    Le persone anziane, definite da molti media come "baby boomers", secondo molti analisti come Edgar Hertwich direttore del programma di ecologia industriale della "Norwegian University of Science and Technology" (NTNU) e ricercatore sul clima, spendono più soldi per il mantenimento delle loro abitazioni, consumo di energia e cibo.

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    Jean M. Twenge



    Tesi sostenuta anche da Heran Zheng, un borsista post-dottorato presso la stessa (NTNU) che dichiara:“In pensione il reddito si riduce, ma gli anziani nei Paesi sviluppati hanno accumulato valore, principalmente nelle loro abitazioni che hanno visto un forte aumento del valore delle loro proprietà. Gli anziani sono in grado di mantenere i loro elevati consumi attraverso la loro ricchezza e ciò accade soprattutto nelle aree ad alta intensità di carbonio provenienti dalla produzione di energia elettrica e dalle industrie”. Una percentuale crescente di questa fascia di età vive da sola, ma, ovviamente, questo non è il caso in tutti i Paesi, ma riflette il quadro generale.

    I ricercatori hanno esaminato le emissioni di gas serra negli anni 2005, 2010 e 2015 per fascia di età negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Australia, in Giappone, in Norvegia e nei 27 paesi dell'UE. Nel 2005, le persone con più di 60 anni avevano un'impronta di carbonio inferiore rispetto alle persone di età compresa tra 30 e 44 o tra 45 e 59, rappresentando il 25,2% delle emissioni nazionali basate sui consumi. Entro il 2015 rappresentavano il 32,7% delle emissioni, in parità con la fascia di età dai 45 ai 59 anni. Poiché i "baby boomers", o più semplicemente Boomers - si fa riferimento alla generazione dei nati tra la seconda metà degli anni Quaranta e la seconda metà degli anni Sessanta, individui quindi che hanno oggi, nel 2022, tra i 58 e i 76 anni - sono nati tra il 1946 e il 1965, entrambe le fasce di età con le emissioni più alte nel 2015 includevano membri di questa generazione. Hertwich ha previsto che le emissioni del gruppo degli "over 60" sarebbero aumentate solo dal 2015, consegnandoli alla fascia di età che contribuisce a determinare una impronta climatica, ovvero la quantità di carbonio che un individuo emette a livello quotidiano, più ampia.

    Gli anziani negli Stati Uniti e in Australia hanno il più alto livello pro capite impronta, il doppio della media occidentale. La tendenza è principalmente dovuta ai cambiamenti nei modelli di spesa degli anziani. La crescente impronta di carbonio degli anziani probabilmente guiderà la produzione nazionale, ma avrà effetti limitati sulla rilocalizzazione delle emissioni di carbonio a livello internazionale. Il cambiamento demografico pone più sfide nella mitigazione locale e richiede sforzi di mitigazione pubblici più profondi.

    Per i nostri lettori con più di 60 anni, sappiate che siete tra i cattivi emettitori di gas serra.

    Gli autori dello studio hanno affermato che la generazione X, che ha vissuto la seconda guerra mondiale è stata attenta a come utilizzava le risorse ed era parsimoniosa - la generazione X, è quella venuta prima dei millennial, e la generazione Z quella venuta dopo... ma non andiamo oltre, abbiamo preso licenza solo sopra... . A loro dire, "i 'nuovi anziani' sono diversi". Come già accennato, in tutti i 32 Paesi esaminati (nei 27 paesi dell'UE, Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Norvegia, e Giappone), in quest'ultimo Paese gli anziani della generazione X rappresentavano più della metà delle emissioni totali. Nel frattempo, gli anziani negli Stati Uniti e in Australia hanno avuto le emissioni medie pro capite più alte, che era il doppio della media nei Paesi occidentali. Le mutevoli abitudini di spesa degli anziani sono state responsabili del cambiamento, tuttavia, ci sono cambiamenti politici che potrebbero compensare l'impatto dell'aumento delle emissioni degli anziani.

    Secondo Hertwich, le abitudini di consumo degli anziani sono più rigide. Ad esempio: "Sarebbe un vantaggio se più persone si trasferissero in case più piccole una volta che i bambini, da adulti lasciano i genitori. Si spera che possano essere costruite comunità abitative, sistemi di trasporto e infrastrutture più adatti agli anziani". Generalmente, questi risultati arrivano mentre la popolazione mondiale sta invecchiando, e si prevede che raddoppierà tra il entro il 2050.

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    Edgar Hertwich


    Le nostre impronte di carbonio dipendono dal comportamento, dalla ricchezza e dallo stile di vita.

    Il raggiungimento degli obiettivi climatici richiede riduzioni delle emissioni. Se consideriamo l'impronta di carbonio degli individui, l'attuale valore pro capite globale di 3,2 t CO2 supera l'1,62,8 t CO2 calcolato necessario per limitare il riscaldamento a 1,5–2 °C. Gli individui nei Paesi ad alto reddito tendono ad avere l'impronta di carbonio media più alta. L'analisi recentemente pubblicata su "Nature Sustainability" fornisce una ripartizione dettagliata delle emissioni pro capite per Paese e spesa. Dei 116 paesi studiati, il Lussemburgo ha avuto l'impronta di carbonio media più alta, con oltre 30 t CO2 a persona. Tuttavia, quando è stato considerato il 10% più ricco della popolazione, questo è balzato a 76,9 t CO2. Ovviamente, la ricchezza e la spesa associata tendono a comportare emissioni più elevate.

    Geograficamente ci sono differenze sostanziali nelle emissioni, ma possono esserci anche grandi differenze all'interno degli stessi Paesi. Anche in un recente articolo apparso su "Nature Climate Change", Kuishuang Feng e coautori discutono e confermano di come una società che invecchia stia portando il gruppo "baby boomers" ad avere una quota maggiore di emissioni di carbonio. L'analisi dei dati sulla spesa delle famiglie insieme a un modello input-output (ingresso-uscita) per fascia di età nelle 32 economie sviluppate, mostra che quelle persone di età pari o superiore a 60 anni hanno in media gli stili di vita a più alta intensità di carbonio. Le piccole famiglie che vivono in grandi residenze sono un fattore che contribuisce, così come la spesa pro capite, con una maggiore ricchezza accumulata. Con l'invecchiamento delle società, questa schiera aumenterà di dimensioni con potenziali ulteriori implicazioni per le emissioni. In un articolo in cui si discute dello stesso argomento ed apparso su "News & Views article", Juudit Ottelin - dell'Istituto finlandese per l'ambiente, Helsinki, Finlandia - sottolinea che questi risultati si applicano all'attuale gruppo di età degli anziani, ma le generazioni future potrebbero comportarsi in modo diverso. Il desiderio di lasciare il mondo in uno stato idoneo per i propri discendenti può comunque influenzare il loro comportamento.

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    Juudit Ottelin


    Esistono differenze generazionali nella comprensione e nell'azione sul clima e le emissioni future non possono continuare lungo la stessa strada se si vogliono raggiungere gli obiettivi climatici. Una recente analisi dell'Agenzia internazionale per l'energia ha rilevato che la "Generazione Alpha" - comunemente circoscritta fra gli anni '10 e gli anni '20 del XXI secolo e chiamata così dalla prima lettera dell'alfabeto greco (α) - dovrà limitare le proprie emissioni a dieci volte inferiori a quelle dei baby boomers per raggiungere zero netto emissioni entro il 2050. Nei Paesi con emissioni storicamente più elevate, questo deve effettivamente essere circa 15 volte inferiore. Le emissioni attuali, i comportamenti individuali e l'azione rigorosa richiesta devono essere tutti presi in considerazione nella pianificazione e nella politica di mitigazione.

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    Impronta di carbonio media nazionale e regionale.


    Legenda: a , Impronta di carbonio media nazionale per 116 paesi rappresentati nel WBCD (i paesi grigi mancano dal database e non sono inclusi nell'analisi). b , Impronta di carbonio media regionale per sei regioni e tre paesi. La colorazione indica la spesa media della regione. Viene aggiunto un intervallo Global target - rappresentato dalle due linee trattaggiate - di 1,61–2,8 tCO 2 per l'impronta di carbonio per limitare il riscaldamento climatico a 1,5 °C o 2,0 °C 18 , 19 , 20 . [PPP:Purchasing Power Parity, ovvero Parità di Potere d'Acquisto].

    Per evidenziare le differenze su scala globale, "Nature Sustainability" - la rivista mensile online che pubblica le migliori ricerche sulla sostenibilità delle scienze naturali e sociali, nonché dei campi dell'ingegneria e delle politiche - ha raggruppato i Paesi in 6 regioni mantenendo separati Cina, India e Stati Uniti. Le regioni sono Europa, Russia e Asia centrale, America Latina, MENAT (Medio Oriente, Nord Africa e Turchia), Africa subsahariana e Asia meridionale e sud-orientale (tra cui Papua Nuova Guinea e Fiji). La regione con la più alta impronta di carbonio media è stata gli Stati Uniti, seguiti da Europa, Russia e Asia centrale e Cina. Come si vede in figura, sono tutti superiori all'intervallo target dell'impronta di carbonio pro-capite globale per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C o 2,0 °C. In fondo a destra della figura, in verticale, notiamo:"Region average expenditure (in thousand US 18,19,20 dollari, al 2014 PPP)" ovvero (Spesa media regionale (in migliaia di dollari USA PPP al 2014).

    L'America Latina e la regione MENAT rientravano in questo intervallo obiettivo globale nel 2014. Tuttavia, nell'analisi mancano i Paesi con un'impronta di carbonio pro capite relativamente più elevata, come l'Argentina e il Cile come anche i paesi del Golfo. Inoltre, tre regioni hanno un'impronta di carbonio media inferiore rispetto all'intervallo target globale: India, Asia meridionale e sud-orientale ed Africa subsahariana.

    L'azione e la mitigazione per il clima devono essere realizzate insieme alle azioni per migliorare la vita. È essenziale ridurre le emissioni dei più alti emettitori, così come, ove possibile, ridurre le emissioni complessive ma non a scapito di coloro che si trovano all'altro capo dello "spettro" di ricchezza: qualsiasi politica di mitigazione deve garantire che possano avere vite migliori ed essere sollevati dalla povertà.

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  5. .

    Gli scienziati pianificano un vasto repertorio di rumori acquatici per aiutare a monitorare la vita marina, identificare le specie e persino scoprire i “dialetti” di determinate aree marittime.

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    È noto che il suono sott'acqua viaggia ad una velocità maggiore che nell'aria, esattamente cinque volte di più. Tuttavia, per gli esseri umani l'udito sott'acqua non è così facile come lo è nell'aria. Il volume del suono in realtà dipende principalmente dalla percezione degli organi uditivi e dall'ampiezza delle onde sonore. I suoni possono essere percepiti attraverso la conduttività dell'aria, utilizzando le ossa uditive dell'orecchio interno o attraverso la conduzione ossea, utilizzando la vibrazione delle ossa nel cranio. Uno dei motivi per cui gli esseri umani non riescono a sentire sott'acqua è perché la conduzione ossea è meno efficace del 40% della conduttività dell'aria. La tonalità del suono influenza anche la distanza percorsa dall'onda sonora. I suoni con una tonalità maggiore possono viaggiare a distanze maggiori, e quelli emessi sott'acqua, di solito, non possono essere uditi in superficie.

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    Gli ambienti acquatici comprendono gli habitat più estesi del pianeta, ricchi di suoni prodotti da una consistente varietà di animali. Il monitoraggio acustico passivo (dall’inglese Passive Acoustic Monitoring - PAM) è una tecnologia di telerilevamento sempre più accessibile che utilizza idrofoni per ascoltare il mondo sottomarino e rappresenta un metodo non invasivo senza precedenti per monitorare gli ambienti subacquei. Queste informazioni possono aiutare nella delimitazione di aree biologicamente importanti attraverso il rilevamento di specie produttrici di suoni o la caratterizzazione in base al tipo ed alle condizioni dell'ecosistema, dedotte dalle proprietà acustiche del paesaggio sonoro locale. In un momento in cui la biodiversità mondiale è in declino significativo ed i paesaggi sonori sottomarini vengono alterati a causa degli impatti antropici, è necessario documentare, quantificare e comprendere le fonti sonore biotiche, potenzialmente prima che scompaiano.

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    Ascoltare i rumori degli animali marini può fornire una valutazione della biodiversità dei nostri oceani: Nell'oceano c'è uno strato d'acqua profondo noto come “canale SOFAR (abbreviazione di Sound Fixing and Ranging channel, o Deep Sound Channel)” e cioè uno strato orizzontale di acqua alla profondità di circa 1.000 metri in cui la velocità del suono è molto bassa. In questa regione, pressione, temperatura e salinità si combinano per inibire la trasmissione del suono. Tuttavia, in questo canale, le onde a bassa frequenza possono viaggiare per migliaia di miglia prima di indebolirsi. Si pensa che il canale SOFAR sia controllato da un termoclino profondo e da un termoclino stagionale che formano una barriera inferiore e superiore che incanala le onde sonore, dove le megattere con le numerosissime lamine cornee flessibili della bocca delle balene e di altri cetacei (fanoni) sarebbero responsabili degli strani e misteriosi suoni a bassa frequenza in quest'area. Ancora più sorprendente, ritengono gli scienziati, è dove si immergono effettivamente in questo particolare canale per comunicare o "cantare", a molti chilometri di distanza, con altre specie simili tra loro.

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    Delle circa 250.000 specie marine conosciute, gli scienziati ritengono che i 126 mammiferi noti emettano rumore.Sono almeno 100 invertebrati e 1.000 delle 34.000 specie di pesci conosciute nel mondo che emettono rumore, ma gli esperti ritengono che molti altri suoni siano in attesa di essere scoperti e identificati.

    Lucia Di Iorio CNRS/Grenoble INP/Université Perpignan: non solo delfini e balene: tutti i suoni acquatici in una libreria online


    Una piattaforma web ad accesso aperto con una “libreria” di suoni biologici marini conosciuti e sconosciuti: è il progetto che 17 ricercatori provenienti da nove Paesi illustrano su “Frontiers in Ecology and Evolution” nell'articolo dal titolo "Sounding the Call for a Global Library of Underwater Biological Sounds".

    "Gli habitat più estesi del mondo sono acquatici e sono ricchi di suoni prodotti da una varietà di animali. Con la biodiversità in declino in tutto il mondo e gli esseri umani che alterano incessantemente i paesaggi sonori sottomarini, è necessario documentare, quantificare e comprendere le fonti dei suoni degli animali che vivono nelle profondità prima che potenzialmente scompaiano", afferma Miles Parsons dell'Australian Institute of Marine Science.

    "Collettivamente, ora ci sono molti milioni di ore di registrazione in tutto il mondo che potrebbero essere potenzialmente valutate per una pletora di suoni biologici noti e, ad oggi, non identificati. Le varietà di canzoni umane includono canzoni d'amore e di lavoro, ninne nanne, canti e inni. Gli animali marini devono invece cantare solo canzoni d'amore. Forse l'intelligenza artificiale applicata alla letteratura scientifica globale può aiutarci a capire i testi di questi e molti altri", afferma Jesse Ausubel Rockefeller University New York City, New York (Usa), uno scienziato tra i fondatori dell'International Quiet Ocean Experiment (IQOE).

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    Il monitoraggio del rumore sott'acqua è stato utilizzato per conoscere come le prede cambiano il loro comportamento vicino ai predatori, per documentare i modelli di migrazione delle grandi balene e per studiare l'effetto degli uragani. Molte specie di pesci e invertebrati sono notturni, il che rende spesso il monitoraggio audio l'unico che può essere udito in superficie.

    Ad esempio, mentre il sole tramonta la maggior parte degli abitanti delle barriere coralline torna a “casa” per la notte, ci sono invece gruppi di pesci che vivono sulla barriera corallina che stanno appena iniziando la loro giornata. Questi pesci tendono ad avere occhi più grandi, sono più solitari, si muovono lentamente e sono spesso di colore rosso o marrone per renderli indistinguibili quando i livelli di luce diminuiscono.

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  6. .

    Secondo una pubblicazione sulla rivista Nature, un'analisi del carbonio immagazzinato nelle piante e nel suolo di una savana africana suggerisce che le concentrazioni di anidride carbonica nell'atmosfera - e quindi il riscaldamento globale - potrebbero essere meno influenzate da incendi frequenti.


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    Le savane bruciano più frequentemente di qualsiasi altro bioma e quelle tropicali, da sole, rappresentano il 62% dell'anidride carbonica emessa dagli incendi a livello globale. Le strategie che prevedono la soppressione degli incendi o l'operazione di mettere a dimora giovani piante arboree (piantumazione) nelle savane sono state quindi proposte come mezzo per ridurre le emissioni di CO2 ed aumentare il sequestro del carbonio, contribuendo così potenzialmente alla mitigazione del cambiamento climatico globale. Ma non è chiaro se queste misure fanno una differenza sostanziale per l'accumulo di CO2 nell'atmosfera.

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    Ciascuno dei principali biomi del mondo si distingue per temperature caratteristiche e quantità di precipitazioni. Vengono mostrati anche il ghiaccio polare e le montagne. Le foreste umide tropicali sono raffigurate in verde e di solito si trovano nelle regioni equatoriali. Le savane sono raffigurate in rosa chiaro e di solito si trovano in Africa, Sud America e Australia settentrionale.

    Secondo uno studio condotto da Yong Zhou del "Yale Institute for Biospheric Studies, Yale University (USA) - che ha analizzato un esperimento di incendio condotto a lungo termine nel Kruger National Park, in Sud Africa - la quantità totale di carbonio immagazzinato nell'ecosistema aumenta più lentamente del previsto in assenza di incendio, sfidando le precedenti ipotesi su come il fuoco influenzi lo stoccaggio di carbonio nelle savane.

    Infatti, i dati dell'esperimento avviati nel 1954 nel "Kruger National Park", il più grande parco nazionale del Sud Africa, e rendendoli uno dei progetti di ricerca sull'ecologia del fuoco più longevi nelle savane africane, sollevano dubbi sul fatto che la soppressione degli incendi nelle savane possa aiutare a combattere il cambiamento climatico. Gli arbusti e le erbe che compongono la savana immagazzinano più carbonio sotto terra, in media, rispetto alle foreste, motivo per cui gli incendi non sono così dannosi in tali paesaggi. Anche per gli appezzamenti nel parco nazionale soggetti a un'intensa attività di incendio, i ricercatori hanno scoperto che le riserve di carbonio delle radici e del suolo sono in gran parte preservate.

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    L'analisi del Kruger National Park, pubblicata sulla rivista Nature, ha rilevato che l'estinzione degli incendi genera guadagni di sequestro del carbonio molto più piccoli di quanto si pensasse in precedenza: solo 0,35 tonnellate di carbonio per ettaro all'anno, una frazione delle stime precedenti, alcune delle quali sono arrivate fino a 9,4 tonnellate.

    Gli scienziati possono mancare il bersaglio quando calcolano il potenziale di stoccaggio del carbonio perché lo stoccaggio sotterraneo è più difficile da ottenere correttamente. Le piante immagazzinano il carbonio trasformandolo in biomassa attraverso la fotosintesi. Infatti, secondo la recente stima, circa un quarto della biomassa vegetale si trova nel sottosuolo. Gli arbusti e le praterie, secondo questi ricercatori immagazzinerebbero in media da due a tre volte più carbonio sotto terra rispetto alle foreste.

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    Savana vicino Pretoriuskop


    LA SAVANA AFRICANA È LA PIÙ VASTA DEL MONDO

    Oggi, più della metà di tutte le emissioni di gas serra legate agli incendi ai tropici provengono dall'incendio di prati naturali e savane. Ogni anno vengono accesi fuochi per preparare la terra all'agricoltura e, in molti casi, gli agricoltori tornano agli stessi appezzamenti dopo averli lasciati incolti per alcuni anni.

    Le terre della savana, che coprono un quinto della superficie terrestre, sono spesso considerate una transizione tra foreste pluviali fittamente ricoperte e deserti desolati. Ricevono meno precipitazioni rispetto alle foreste tropicali, ma sufficienti per sostenere parte della vegetazione, sfoggiando alberi più piccoli e ampiamente distanziati. L'ampia luce solare che raggiunge il suolo consente alle erbe di prosperare.

    Il Kruger National Park si estende su 1,96 milioni di ettari (4,85 milioni di acri), quattro volte più grande del Parco nazionale del Grand Canyon negli Stati Uniti. La maggior parte del Kruger è una savana subtropicale e tropicale, ospita più di 200 specie di erba, dalla Coda di volpe blu (Buffel cenchrus ciliaris) all'erba puzzolente (Bothriochloa radicans) e più di 400 specie arboree e arbustive.

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    Bothriochloa radicans puzzolente.


    Le "prove di combustione", come le chiamarono per la prima volta gli scienziati, per come già accennato, iniziarono nel parco nel 1954. L'obiettivo principale era capire come gli incendi modellassero l'ecosistema, in particolare la diversità animale e vegetale. Quando gli scienziati avviarono per la prima volta l'esperimento, gli incendi erano considerati un'evidente minaccia umana per gli ambienti naturali. Sta di fatto che questa comprensione si è complicata nel corso degli anni man mano che sono emerse ulteriori informazioni sul ruolo degli incendi nella rigenerazione dei terreni.

    Negli ultimi decenni, i ricercatori hanno rivolto la loro attenzione al modo in cui l'attività del fuoco modula lo stoccaggio del carbonio. Il nuovo studio condotto da un team sudafricano e statunitense, guidato da Yong Zhou dell'Università di Yale, mostra che gli incendi potrebbero non ridurre significativamente la capacità della savana di immagazzinare carbonio.

    I lotti di 7 × 7 ettari ritagliati come parte della prova sono stati distribuiti su quattro tipi di paesaggi a Kruger con diverse composizioni del suolo, vegetazione e precipitazioni. Gli autori dello studio hanno selezionato appezzamenti in una delle parti più piovose del parco chiamata "il paesaggio di Pretoriuskop", che riceve circa 700 millimetri di pioggia ogni anno. Questi lotti, separati da tagliafuoco, sono soggetti a vari gradi di attività antincendio. Gli autori dello studio hanno raccolto dati da quattro tipi di trattamenti: appezzamenti in cui i fuochi venivano accesi ogni anno, ogni due anni, ogni tre anni e per niente. Quest'ultima serie di trame non ha visto attività di fuoco per quasi 70 anni, catturando l'evidenza di cosa accadrebbe se gli incendi fossero banditi del tutto.

    L'intervallo di tre anni rappresenta la normale attività di incendio per questa regione. Gli incendi annuali rappresentano uno scenario estremo. I ricercatori hanno scoperto che la biomassa fuori terra diminuisce ogni anno per i lotti bruciati, ma le riserve di carbonio delle radici e del suolo sono in gran parte mantenute.

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    RICONOSCERE LE CARATTERISTICHE DISTINTIVE DELLE SAVANE E DELLE FORESTE UMIDE TROPICALI

    Di recente, su natura.forumfree, abbiamo accennato all’importanza delle foreste sul riscaldamento globale, ovvero al loro contributo decisivo per mitigare il cambiamento climatico, pulire l'aria e proteggere il suolo. Le foreste umide tropicali sono caratterizzate da precipitazioni e umidità elevate, mentre le savane hanno alberi sparsi ed un'ampia stagione secca.

    LE SAVANE

    Le savane sono praterie con alberi sparsi situati appunto in Africa, Sud America e Australia settentrionale in aree tropicali calde con temperature in media da 24°C a 29°C e precipitazioni annuali da 10 a 40 cm., con un'ampia stagione secca. Per questo motivo, gli alberi non crescono bene come nella foresta tropicale umida o in altri biomi forestali. Di conseguenza, ci sono pochi alberi all'interno tra le erbe (piante erbacee da fiore) che dominano la savana. Poiché il fuoco è un'importante fonte di disturbo in questo bioma, le piante hanno sviluppato sistemi di radici ben sviluppati che consentono loro di germogliare rapidamente dopo un incendio.


    In Africa, gli animali che si trovano comunemente nelle savane includono elefanti, leoni, gazzelle, giraffe, struzzi, uccelli e molti altri mammiferi ed invertebrati. Le savane dell'Australia settentrionale hanno anche molti tipi di piante, animali, insetti e rettili, inclusi marsupiali come canguri e wallaby (genere di canguri di piccola statura), pipistrelli e roditori. Le savane del Sud America, oltre agli animali autoctoni come volpi e maras della Patagonia (roditori simili a conigli), sono comunemente utilizzate per il pascolo del bestiame domestico, come pecore, capre e bovini a causa delle loro praterie aperte e dello strato erbaceo di piante.

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    LE FORESTE TROPICALI UMIDE

    La mancanza di stagionalità, la luce solare giornaliera costante, le temperature ideali e l'alto tasso di precipitazioni nelle foreste tropicali umide, la piovosità annuale varia da 125 a 660, comportano a una maggiore crescita delle piante e un'elevata diversità di specie. Chiamate anche foreste pluviali tropicali, la vegetazione è caratterizzata da piante con foglie larghe che cadono tutto l'anno. A differenza degli alberi delle foreste decidue, gli alberi di questo bioma non hanno una perdita stagionale di foglie associata a variazioni di temperatura e luce solare; queste foreste sono "sempreverdi" tutto l'anno.

    Ciascuno dei principali biomi del mondo si distingue per temperature caratteristiche e quantità di precipitazioni. Vengono mostrati anche il ghiaccio polare e le montagne. Le foreste umide tropicali sono raffigurate in verde e di solito si trovano nelle regioni equatoriali. Le savane sono raffigurate in rosa chiaro e di solito si trovano in Africa, Sud America e Australia settentrionale.

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    Bufali Shabeni a Pretoriuskop


    I profili di temperatura e luce solare delle foreste umide tropicali sono molto stabili rispetto a quelli di altri biomi terrestri, con temperature che vanno da 20°C a 34°C. Rispetto ad altri biomi forestali, le foreste umide tropicali hanno poche variazioni nelle temperature stagionali. Questa mancanza di stagionalità porta alla crescita delle piante tutto l'anno, piuttosto che alla crescita stagionale (primavera, estate e autunno) vista in altri biomi. A differenza di altri ecosistemi, gli ecosistemi tropicali non hanno giorni lunghi e giorni corti durante il ciclo annuale. Invece, una quantità giornaliera costante di luce (11–12 ore al giorno) fornisce più radiazione solare e, quindi, un periodo di tempo più lungo per la crescita delle piante.

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  7. .

    La drammatica storia di sopravvivenza nel 1916 dell'esploratore Sir Ernest Shackleton, dopo la perdita della sua nave Endurance, e dei 27 uomini dell'equipaggio con le meravigliose immagini immortalate dal fotografo australiano Frank Hurley.


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    Il 9 marzo 2022, il nuovo sito web “Falklands Maritime Heritage Trust” lanciato l'8 dicembre 2020, ha comunicato che il 5 marzo una squadra di ricercatori a bordo della nave da ricerca polare sudafricana Agulhas II, ha finalmente individuato il relitto di Endurance nelle fredde profondità dell'oceano. L'evento eccezionale è accaduto dopo 106 anni da quando la nave dell'esploratore Ernest Shackleton è rimasta intrappolata, schiacciata e affondata nel ghiaccio marino nel novembre 1915 nelle profondità del Mare di Weddell a ridosso del continente antartico.

    Lo scopo di queste spedizioni era spesso più competitivo che scientifico, ovvero gli esploratori, più che comprendere l'ambiente dell'Antartide, volevano vincere la "Corsa al Polo Sud" . Poiché i primi esploratori affrontarono ostacoli estremi e condizioni debilitanti, questo periodo di tempo divenne noto come "l'Era Eroica" delle esplorazioni. Roald Amundsen, Robert Falcon Scott, Edward Adrian Wilson ed Ernest Shackleton gareggiarono tutti per raggiungere la meta agognata. È doveroso però premettere che l'esploratore norvegese Roald Amundsen, fu il primo a raggiungere il Polo Sud nel 1911 e il britannicoRobert Falcon Scott, morì dopo averlo raggiunto un mese dopo.

    Comunque, dopo la conquista del Polo Sud da parte di Amundsen, che, solo per uno stretto margine di giorni, era in anticipo rispetto alla spedizione britannica guidata da Scott, non restava che un grande obiettivo principale dei viaggi in Antartide: l'attraversamento del continente polare.

    Sperando di superare i precedenti esploratori, Sir Ernest Shackleton pianificò il viaggio per l'attraversamento del continente polare utilizzando due navi, l'Aurora e l'Endurance, da collocarle all’estremità opposte del continente. Aurora doveva salpare verso il Mare di Ross depositando rifornimenti, mentre sul lato opposto, Endurance, attraverso il Mare di Weddell, per raggiungere appunto il continente. Una volta arrivati, la squadra avrebbe marciato verso il polo con squadre di cani, smaltito il bagaglio extra e utilizzato i rifornimenti lasciati da Aurora per raggiungere l'altra estremità del continente.

    Nell’agosto del 1914 per realizzare detta impresa Shackleton lasciò l'Inghilterra guidando una spedizione che prevedeva di attraversare l'Antartide partendo da “McMurdo Sound” sul mare di Weddell, la parte dell'Oceano Australe racchiusa tra la Penisola Antartica a ovest, Capo Norvegia a est e le banchise di Filchner e Ronne a sud.

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    I viaggi della spedizione imperiale transantartica di Endurance : Rosso, viaggio di resistenza; giallo, deriva di Endurance nella banchisa; verde, ghiaccio marino alla deriva dopo l'affondamento di Endurance; blu, viaggio di James Caird; ciano, rotta transantartica pianificata; arancio, viaggio della nave Aurora; rosa, ritiro di Aurora; marrone, percorso del deposito di approvvigionamento.


    Per inciso, oggi McMurdo Sound, costruita nel 1955, è la più grande struttura di ricerca scientifica dell'Antartide. Nell'emisfero australe può supportare più di 1.200 persone durante l'estate, ma in inverno la popolazione scende a circa 200 persone. Il suo nome si deve al capitano James Clark Ross che la scoprì nel febbraio del 1841 dandogli il nome di un luogotenente che operava su una delle sue navi: l’Archibald McMurdo protagonista della sfortunata "HMS Terror", naufragata al largo di King William Island nel 1845 insieme a un’altra nave ammiraglia della Marina britannica, la HMS Erebus, durante una missione alla ricerca del Passaggio a Nord-Ovest e poi ritrovata nel 2016.

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    La struttura di ricerca scientifica McMurdo Sound.



    Nel corso del tragitto, prima che potessero raggiungere il continente, la nave Endurance fu schiacciata e affondò nella banchisa di ghiaccio del Mare di Weddell. Tuttavia, l'equipaggio fu in grado di attraversare il ghiaccio e il mare fino ad Elephant Island nelle isole Shetland meridionali, allo scopo di raggiungere la Georgia del Sud nell'Oceano Atlantico meridionale, ad una distanza di 800 miglia nautiche (1.500 km circa) a bordo di una piccola barca, la James Caird, la più famosa di tutti i tempi considerando l'entità dell'impresa.

    Shackleton, aveva bisogno però di salvare il suo equipaggio che rimase intrappolato. La storia è arrivata, appunto, a considerare il viaggio della barca James Caird nel 1916 come uno dei più grandi mai compiuti in una piccola barca per trovare i soccorsi presso la stazione baleniera ora abbandonata di “Stromness” sulla costa settentrionale dell'isola della Georgia del Sud nell'Atlantico meridionale.

    Dopo aver guidato quattro spedizioni di soccorso, Shackleton riuscì a salvare il resto del suo equipaggio da Elephant Island. Durante il calvario, nessuno morì dei 27 uomini dell'equipaggio di Endurance, tranne tre uomini che perirono a bordo della seconda nave, l'Aurora, che si trovava nel Mare di Ross nell'area dove si trovavano i depositi di rifornimenti.

    Shackleton parte dalla banchina di St Katharine per l'Antartico (1921)



    LA SPEDIZIONE ENDURANCE 22

    Il dottor John Shears, il capo della spedizione ENDURANCE 22, ha recentemente dichiarato: “Stavamo finendo il tempo, ci restavano solo tre o quattro giorni nel Mare di Weddell dove avremmo potuto trovare il relitto. Le temperature stavano scendendo e sapevamo che si stava formando il ghiaccio marino. Se non avessimo trovato il relitto, sarebbe stato estremamente difficile per noi rimanere più a lungo. Eravamo proprio alla fine della stagione estiva antartica. Avremmo potuto essere seriamente in pericolo di avere la nave intrappolata nel ghiaccio”.

    Vedere il relitto quando è così incontaminato è come se fosse appena affondato il giorno prima. Per me è stato un momento veramente sbalorditivo. Quando ho visto le prime immagini non avevo idea che sarebbe stato così spettacolare", ha proseguito John Shears che ha descritto il momento in cui ha visto la scritta "Endurance" ancora intatta sulla nave, definendola "iconica" e "storica".

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    Siamo stati in grado di filmare il relitto in altissima definizione. I risultati sono magici", ha detto lo storico televisivo Dan Snow, che ha fatto parte della spedizione. E, mentre condivideva le foto della scoperta su Twitter, alcune persone hanno notato qualcosa di non magico, ma soprannaturale. "Qualcuno ha visto un gatto voltarsi indietro"? disse una donna. "Oh fantastico, 'un gatto fantasma' mi terrà sveglio per mesi!" rispose qualcuno.

    McNish era uno dei membri più anziani della spedizione, uno scozzese di cui Shackleton scrisse che era "l'unico uomo di cui non sono assolutamente certo". Era il proprietario di un gatto delle navi chiamato "Mrs Chippy". Si racconta che Shackleton, per mancanza di alimenti, ordinò che si sparasse alla "Signora Chippy", quando anche molti dei cani furono abbattuti.

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    Quello che è successo dopo che l'Endurance rimase intrappolata nel ghiaccio e andò alla deriva per 10 mesi prima di essere schiacciata dal ghiaccio è una storia indimenticabile di sopravvivenza contro ogni previsione. La perdita della nave ha significato per noi più di quanto avremmo mai potuto esprimere a parole", scrisse Shackleton nel suo libro “South”. “Avevamo sofferto la fame e trionfato, ma afferrato la gloria”, scrisse tra l’altro, prendendo in prestito i versi dal poeta e scrittore britannico Robert William Service. “Avevamo visto Dio nei Suoi splendori, ascoltato il testo che la Natura rende. Avevamo raggiunto l'anima nuda dell'uomo".


    "Confesso che sentivo il peso della responsabilità gravarmi pesantemente sulle spalle; ma, d'altra parte, sono stato stimolato e rallegrato dall'atteggiamento degli uomini. Il rigore della leadership: ma l'uomo che deve prendere le decisioni riceve un grande aiuto se sente che non c'è incertezza nella mente di coloro che lo seguono e che i suoi ordini saranno eseguiti con fiducia e in attesa di successo", un altro passo del suo libro.

    Shackleton, nel suo libro, ha elogiato il suo equipaggio scrivendo che: "si può tranquillamente affermare che il cameratismo e le risorse dei membri della spedizione erano degni delle più alte tradizioni del servizio polare; ed è stato un privilegio avere avuto sotto il mio comando uomini che, attraverso giorni bui, stress e la tensione di continui pericoli, hanno mantenuto il morale alto ed hanno svolto il loro lavoro incuranti di loro stessi”.

    La_nave_Endurance_di_Sir_Ernest_Shackleton_0Il_libro_Sud_0

    La storia delle difficoltà superate dalla spedizione di Shackleton è stata dettagliata in numerosi libri, film e documentari. Sebbene sia un racconto epico, alcuni hanno anche visto nella storia lezioni dalla leadership di Shackleton.

    ALCUNI COMMENTI

    La professoressa Nancy Koehn della Harvard Business School ha scritto, in un articolo del 2020, su fastcompany.com che "la risorsa più importante per sopravvivere per più di 18 mesi sul ghiaccio è stata appunto la leadership di Shackleton ed in particolare la determinazione collettiva che ha promosso nei suoi uomini per battere le avversità ed avere le probabilità di tornare a casa in sicurezza”.

    È interessante notare che il relitto è stato colonizzato da un'abbondanza di vita, ma non del tipo che lo avrebbe consumato. "Sembrerebbe che ci sia un piccolo deterioramento del legno, deducendo che gli animali che masticano il legno trovati in altre aree del nostro oceano, forse non sorprendentemente, non si trovano nella regione antartica priva di foreste", ha commentato la biologa polare di acque profonde la dott.ssa Michelle Taylor di Università dell'Essex.

    "L'Endurance, che sembra una nave fantasma, è cosparsa di un'impressionante diversità di vita marina di acque profonde: zampilli marini, anemoni, spugne di varie forme, crinoidi (legati a ricci e stelle marine), tutte specie che trovano nutrimento dalle fresche acque profonde del Mare di Weddell” ha proseguito la Taylor."

    Il viaggio della spedizione Endurance simboleggia un periodo di estremo sacrificio e coraggio in nome dell'esplorazione e della scoperta. Apsley George Benet Cherry-Garrard, un esploratore polare, ha riassunto l'Era Eroica nel suo libro “The Worst Journey in the World”: "Per un'organizzazione scientifica e geografica congiunta, dammi Robert Falcon Scott; per un Viaggio d'Inverno, Edward Adrian Wilson; per un corri al polo e nient'altro, Roald Amundsen; e se sono nel diavolo di un buco e voglio uscirne, dammi ogni volta Sir Ernest Shackleton.

    "Ti dico che dovresti essere fatto di pietra per non sentirti un po' sdolcinato alla vista di quella stella e del nome sopra. Puoi vedere un oblò che è la cabina di Shackleton. In quel momento, senti davvero il respiro del grand'uomo sulla nuca"., ha detto alla BBC Mensun Bound, l'archeologo marino della missione.

    L’ELOGIO DI FRANCO BATTIATO A SIR ERNEST SHACKLETON


    Il grande cantautore Franco Battiato ne raccontò la storia in uno dei suoi brani più belli, anche se non molto conosciuti, e che fa da colonna sonora a questa impresa eccezionale: “Il relitto della Endurance”, un chiaro riferimento al motto di famiglia degli Shackleton: “By endurance we conquer“, ovvero “con la perseveranza vinceremo”.

    L’Endurance, secondo il sito “Falklands Maritime Heritage Trust”, si trova ad una profondità di 3.008 metri nel Mare di Weddell, all'interno dell'area di ricerca definita dalla squadra di spedizione prima della sua partenza da Cape Town, e a circa quattro miglia a sud della posizione originariamente registrata dal Frank Worsley: il capitano senza paura di Shackleton. Per realizzare la missione sono stati utilizzati veicoli di ricerca subacquei ibridi “Sabertooth AUV/ROV” in grado di lavorare fino a 4.000 metri. Il relitto è protetto come sito storico e monumento ai sensi del Trattato sull'Antartide, assicurando che durante il rilevamento e le riprese del relitto non venisse toccato o disturbato in alcun modo.

    Lancio e recupero del veicolo di ricerca subacqueo ibrido “Sabertooth AUV/ROV”.



    GLI INIZI DELLE ESPLORAZIONI DI ERNEST SHACKLETON

    Sir Ernest Shackleton è stato un esploratore anglo-irlandese che ha partecipato a diverse spedizioni antartiche che includevano missioni di avventurieri generosi che sfidavano condizioni ambientali difficili e pericolose. Prima del viaggio Endurance, Shackleton si era affermato come esploratore polare dopo una carriera nella marina mercantile. Dovette lasciare una spedizione antartica del 1906 a causa di problemi di salute, ma ne guidò un'altra di successo a sud nel 1908. Le sue imprese gli valsero il titolo di cavaliere, diventando Sir Ernest Shackleton nel 1909.

    Alcuni critici dell’epoca definirono la missione di Shackleton come un “deprecabile fallimento”, ma il suo successo nel tenere in vita il suo equipaggio e nel garantire il loro salvataggio sicuro fu un trionfo che trascendeva di gran lunga qualsiasi gloria di spedizione. Dopo essere tornato in Gran Bretagna, Shackleton prestò servizio nell'esercito durante la prima guerra mondiale. Tentò una quarta spedizione antartica nel 1921, che aveva l'obiettivo di circumnavigare il continente, ma morì nella Georgia del Sud all'inizio del viaggio all'età di 47 anni.

    Non sono bravo a fare altro che essere lontano nelle terre selvagge con uomini giusti. Non mi sento di alcuna utilità per nessuno a meno che non stia affrontando la tempesta in terre selvagge”. [Sir Ernest Shackleton]

    Se questa lettura è stata di tuo gradimento continua a seguirci qui troverai elencati tutti i miei post. Tra gli argomenti: il nostro pianeta, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità e tanto altro. Come si evince dalle nostre "Statistiche", con oltre 5.000 articoli e commenti!


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  8. .

    Guerra in Ucraina, pandemia e cambiamento climatico, una contingenza di eventi che considerati singolarmente, già di per sé sono catastrofici, ma quando combinati, i risultati possono portare ad una ecatombe dell’umanità.


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    La guerra in Ucraina che sta portando ad una migrazione forzata è diventata per molti Paesi una delle principali preoccupazioni poiché oltre due milioni di ucraini si sono già trasferiti nel territorio dell'UE. Si teme che il numero dei profughi possa raggiungere i cinque milioni. Sebbene il petrolio e il gas russi siano ancora al di fuori del regime sanzionatorio dell'Occidente - la Cina si oppone con risolutezza ad ogni forma di sanzioni unilaterali e restrizioni imposte dagli USA - l'incertezza sulla fornitura ha già fatto aumentare i prezzi dell'energia in tutto il mondo.

    L'Ucraina, rappresentando “il granaio dell'Europa”, aumenta il timore che la guerra possa portare a una crisi alimentare globale. Inoltre, a dir poco, la triste situazione ha riportato l'alto rischio di una guerra nucleare o l'uso di bombe sporche dopo diversi decenni.

    Durante il frastuono dei media su tutte queste minacce e rischi emergenti, il mondo sembra aver dimenticato che la vita stessa del pianeta è in pericolo a causa del cambiamento climatico senza precedenti. C'era l'auspicio che, con l'approssimarsi della fine della pandemia di Covid-19, il mondo avrebbe rimesso gli occhi sul cambiamento climatico, ma la situazione in Ucraina ha smentito questa speranza.

    LA FINESTRA PER SCONGIURARE GLI EFFETTI DEVASTANTI DEL SURRISCALDAMENTO DEL PIANETA SI STA RESTRINGENDO


    A causa della totale attenzione dei media globali sull'Ucraina, quasi nessuno si è accorto quando, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), ovvero (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), ha pubblicato la sua ultima valutazione sulla situazione climatica il 28 febbraio scorso. Più di 270 ricercatori provenienti da 67 paesi hanno concluso che: “il cambiamento climatico ha influenzato negativamente il mondo molto più velocemente di quanto previsto in precedenza e che la “finestra” si sta restringendo più rapidamente per sfuggire ai peggiori impatti dell'aumento delle temperature.

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    Oltre il 40% della popolazione mondiale vive in regioni altamente vulnerabili al cambiamento climatico, che ha già provocato morti e notevoli sofferenze. Il rapporto dell'IPCC suona ad alta voce un campanello d'allarme, affermando che il riscaldamento globale nel breve termine potrebbe portare a molteplici rischi climatici, per gli ecosistemi e gli esseri umani.

    Il vertice sul clima di Glasgow nel novembre 2021 non è riuscito a concordare un impegno vincolante sull'ulteriore riduzione delle emissioni di carbonio dei Paesi per limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5 gradi C, ma in qualche modo aveva mantenuto viva tale speranza.

    Tuttavia, per raggiungere tale obiettivo, il mondo deve ridurre del 50% le proprie emissioni di gas serra entro la fine di questo decennio. Questo è un compito gigantesco, e ciò può accadere solo quando i leader dei Paesi di un mondo troppo globalizzato sono sulla stessa lunghezza d’onda, non quando si stanno si stanno preparando a combattere una sciagurata e non auspicabile prossima guerra mondiale.

    Quando Joe Biden è stato eletto presidente degli Stati Uniti, ha promesso di essere anche il "presidente del clima", ma nell'ultimo anno è stato in grado di fare ben poco per dimostrare di avere la forza politica e morale per guidare il mondo su questo tema. Politicamente non è riuscito a convincere la Cina a combattere questa battaglia dalla sua parte poiché non ci vuole molto a capire che senza la collaborazione attiva della Cina, non è possibile raggiungere l'ambizione di limitare la temperatura globale a 1,5°C.

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    S/D: Joe Biden, Narendra Modi, Vladimir Putin.



    AUMENTO DEI COSTI ENERGETICI

    Il conflitto o se preferite la guerra in atto, ha anche tolto la questione del cambiamento climatico dal tavolo delle potenze europee. C'è la speranza che la questione acceleri il processo dei Paesi che transitino verso le energie rinnovabili per ridurre la loro dipendenza dall'approvvigionamento russo di petrolio e gas, ma, anche se ciò dovesse accadere, richiederà tempo. Inoltre, quando l'Europa è attanagliata dalla paura di una guerra, la preoccupazione per il cambiamento climatico non è né una priorità per la definizione delle politiche, né un'importante questione elettorale.

    La stessa crisi in Ucraina, direttamente e indirettamente, contribuisce all'aumento delle emissioni di carbonio mediante danni deliberati e crediamo poco accidentali alle infrastrutture. La maggior parte dei Paesi europei è in preparazione o è già impegnata nella produzione e del trasporto di armi ed anche le emissioni di carbonio causate dalla produzione sono eccezionalmente elevate. E, mentre l'Europa sta deviando le sue risorse per acquistare armi e prepararsi ad ospitare milioni di rifugiati, il suo sostegno finanziario per la mitigazione o l'adattamento del cambiamento climatico è destinato a diminuire.

    Il conflitto in Ucraina sta indubbiamente rappresentando una seria sfida all'ordine internazionale stabilito dalle strategie della moderazione e ricostruzione dopo le grandi guerre e sta causando una grave crisi umanitaria. Deve finire immediatamente per molte ragioni, e una di quelle critiche è riportare il cambiamento climatico in cima all'agenda globale dove merita di stare.

    UNA GUERRA DURANTE UNA PANDEMIA: GLI ESPERTI AVVERTONO DI TEMPESTA PERFETTA

    Ovviamente in cima all’agenda globale in Europa, e non solo, ci sta il famigerato Covid-19 in continua mimetizzazione. E, nel bel mezzo dell’invasione russa in Ucraina, gli esperti di salute pubblica avvertono che la pandemia di COVID-19 potrebbe presto accelerare il suo corso. Mentre l'assistenza medica per le vittime di guerra è ora la prima priorità, gli esperti affermano che la crisi potrebbe accelerare la diffusione di malattie infettive, incluso il COVID-19, soprattutto perché un numero crescente di ucraini è sfollato e costretto in situazioni anguste e difficili.

    L'Ucraina stava già lottando con la pandemia prima dell'inizio della guerra, con la variante Omicron altamente trasmissibile che sta causando un aumento dei casi. Solo nelle ultime quattro settimane, l'Ucraina ha riportato più di 900.000 casi di COVID-19 e solo il 35% della popolazionei è completamente vaccinato.

    "È probabile che la migrazione e l'aggregazione delle popolazioni contribuiscano in modo significativo alla diffusione della malattia, soprattutto data l'attuale impennata della variante dell'omicron altamente trasmissibile", ha affermato John Brownstein, PhD, epidemiologo, responsabile dell'innovazione presso il Boston Children's Hospital e collaboratore di ABC News.

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    Cittadini ucraini espatriati vengono testati per COVID-19 all'arrivo, ad Atene.


    NON SOLO ARMI!

    Così come tanti Paesi europei, l’OMS ha inviato il suo primo carico di forniture mediche nella vicina Polonia, comprese 40 tonnellate di medicine per la cura dei traumi e la chirurgia d'urgenza.

    Tarik Jasarevic, portavoce dell'OMS, ha dichiarato a ABC News Live: "Probabilmente vedremo meno test, meno sequenziamento, meno quadri fortemente epidemiologici di COVID-19. È davvero importante fare del nostro meglio per supportare quegli eroici operatori sanitari che stanno rischiando la vita semplicemente andando al lavoro e sono anche sottoposti ad un'immensa pressione personale perché anche loro sono colpiti nelle loro famiglie presso le zone del conflitto".

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    Edited by Filippo Foti - 9/3/2022, 22:04
  9. .

    Tra i più famosi velisti solitari a fare il giro del mondo l'argentino Vito Dumas ha vinto una delle più grandi sfide per la navigazione di tutti i tempi.


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    Vito Dumas


    I primi velisti solisti provenivano da New England, sulla costa nord-orientale degli Stati Uniti, e fecero le traversate atlantiche da ovest a est, cioè verso l'Europa. Nel 1876 il pescatore danese Alfred Johnson è il primo marinaio, molto popolare all'epoca, ad attraversare l'Atlantico su una piccola barca a vela di 20 piedi (6,1 m) che chiama “Centennial", in concomitanza con il primo centenario degli Stati Uniti. Parte nel giugno 1876 da Gloucester (Massachusetts) ed effettua la prima traversata dell'Atlantico sbarcando a fine di agosto, per un viaggio totale di 66 giorni, ad Abercastle (Liverpool) nel Galles sud-occidentale (Regno Unito).
    Più tardi, nell'estate del 1899, Howard Blackburn impiega 61 giorni per salpare da Gloucester (Stati Uniti) con arrivo a Gloucester (Inghilterra), e nel 1901 naviga questa volta raggiungendo Lisbona. La sua impresa ha più merito, dal momento che, a causa del congelamento, perde le dita di una mano.

    Tuttavia, il velista solista più famoso di quegli anni fu Joshua Slocum. Di origine canadese, il 24 aprile 1895 parte da Boston, per tornare (dopo 3 anni, 2 mesi e 2 giorni), il 27 giugno 1898 a completamento di un percorso di 46.000 miglia (74.029,824 km), a bordo del cutter Spray, una barca a vela composta da un albero per il primo giro del mondo in solitario.

    Nel 1930, il francese Alain Gerbault circumnaviga il mondo in 6 anni, ed è il primo ad attraversare l'Atlantico in solitaria e senza scalo da est a ovest. Ci vollero 101 giorni per andare da Gibilterra a New York per la rotta delle alte latitudini, più a nord dello Spray, con il “Firecrest”, un tipico sloop inglese lungo 11 metri con un solo albero. Slocum aveva attraversato l'equatore, da Gibilterra al Brasile.

    In coincidenza temporale, il 12 luglio 1930, il catalano Blanco Alberich, insegnante di spagnolo negli Stati Uniti, salpa da Boston a bordo della sua piccola barca a vela “Evalu”, insieme alla moglie e alla figlia di 7 anni. Non sa navigare, né porta a bordo quasi tutti gli strumenti occorrenti. Tuttavia, attraversa l'Atlantico in 85 giorni per raggiungere Barcellona (Spagna).

    LA STORIA DI VITO DUMAS TENACE NAVIGATORE CONTRO TANTE AVVERSITÀ

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    Ed è proprio sull'argentino Vito Dumas, che ora si concentra la nostra attenzione. Dopo Alfred Johnson, Howard Blackburn, Alain Gerbault e Blanco Alberich, Dumas in ordine cronologico è il terzo velista solista a fare davvero la storia: Un uomo, la sua barca a vela, il coraggio nei mari del sud e un'epopea!

    Vito Dumas nasce il 26 settembre 1900 a Palermo uno dei quartieri portuali della capitale argentina di Buenos Aires, dove i suoi abitanti sono chiamati "Porteños”. Trascorre l'infanzia nella città Trenque Lauquen a 445 km a sud-ovest dalla capitale ed è un abile nuotatore, aviatore e, quest'ultima la sua specialità, velista solitario.

    La sua passione per la navigazione, lo spinge in un viaggio ardimentoso che inizia nel 1923, ed è così che il navigatore solitario evocò quel momento: "Il giorno in cui scoprii l'arte della vela, e con essa la possibilità di penetrare nell'immensità degli oceani, ho avuto la sensazione che lì potevo rifugiarmi con me stesso... avere una grande calma mentale". Infatti, nel 1923 compie il primo dei suoi cinque tentativi di attraversare il “Río de plata”, da Punta Rasa – Capo San Antonio (Argentina) a Punta del Este (Uruguay) ma, pur non raggiungendo il suo scopo, stabilisce un nuovo record di permanenza in mare.

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    Anni dopo, nel 1931, decide di recarsi in Francia con lo scopo di attraversare a nuoto la Manica, ma il suo tentativo fallisce ancora a causa delle difficoltà di tale impresa. Le sue decisioni sono sorprendenti, ma le adotta pur se la fortuna non lo accompagna, non senza prima meditarle. La sua vivacità, la potente forza interiore che lo guida, mette in evidenza una personalità impressionante.
    Determinato a tornare nel suo paese da vincitore, torna in Argentina ed investe quei pochi soldi che ha per comprare una barca. Una piccolissima barca a vela con poche speranze per quello che aveva in programma: attraversare l'Atlantico da solo.

    Nonostante tutto, il primo tentativo a bordo della sua piccola barca a vela “Lehg” - che sta per "Lucha, Entereza, Hombría e Grandeza" ("Lotta, Integrità, Mascolinità e Grandezza") - lunga 8 metri e larga 2,15 è un fallimento. Tuttavia, da uomo di fede, un giorno Vito entra nella chiesa di San Ferdinando, situata nella cittadina francese di Arcachon, per chiedere l'aiuto divino per il suo prossimo tentativo.

    Fu così che finalmente, al secondo tentativo e contro tutte le previsioni della stragrande maggioranza dei suoi amici e colleghi, nel 1932, esattamente 122 giorni dopo la sua partenza dal porto di Arcachon, un villaggio di pescatori francese, fa il suo arrivo trionfante nel porto di Buenos Aires a bordo della sua leggendaria piccola barca Legh. La navigazione è così faticosa che, dopo l'impresa, Vito dichiara pubblicamente che non farà mai più percorso tali distanze.

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    Il primo viaggio dalla Francia a Buenos Aires anno 1931.


    Messo alle strette dalla sua situazione economica che non gli consente altre costose imprese, acquista un piccolo campo e scambia la sua barca con un trattore per diventare un piccolo agricoltore. Tuttavia, col tempo si rende conto che la sua passione per la vela è ancora più viva che mai. "Ho abbassato il cancello del campo senza voltarmi indietro e sono andato alla ricerca della mia vecchia barca per tornare alle avventure in mare”, disse all'epoca.

    L'IMPRESA PIÙ GRANDE, LA PIÙ "SOLITARIA", RESTAVA DA COMPIERE!

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    Il 1° luglio 1942 Vito Dumas salpa da Montevideo a bordo della sua imbarcazione, Legh II, (lunga 9,55 m e larga 3,30) costruita in Francia nel 1918, si prefigge un obiettivo chiaro e preciso: fare il giro del mondo da solo. Dopo una lunga navigazione, attraversando i 4 punti delle tappe, Cape Town, Wellington, Valparaíso e Mar del Plata ed attraversando il temibile Capo Horn, il navigatore solitario realizza il suo sogno - dopo aver percorso 22.000 miglia nautiche, pari a 35.405,568 chilometri l'8 agosto 1943 - e quello di un Paese che lo accoglie, anche se malconcio, a braccia aperte

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    Questa impresa che vinse l'argentino Vito Dumas, fu definita come la rotta impossibile dei “40 bramadores", "I 40 ruggenti", nel quadro della seconda guerra mondiale. Una delle più grandi sfide per la navigazione di tutti i tempi.
    "Onde alte 20 metri, venti di 140 chilometri l’ora che non danno tregua, un ambiente molto ostile, 40° parallelo sud”. "Los 40 bramadores" che è anche il titolo del libro in cui Dumas racconta il suo viaggio intorno al mondo tra il 1942 e il 1943, deriva dal nome dato ai venti molto forti e permanenti che soffiano sul 40° parallelo sud, dove “non c'è barriera a contenere il vigore dei venti con cui si muovono a centinaia di chilometri orari”. Il 40° parallelo sud è un cerchio di latitudine del piano equatoriale della Terra che attraversa l'Oceano Atlantico, l'Oceano Indiano, l'Australasia, l'Oceano Pacifico e il Sud America. Successivamente si delineò un altro obiettivo non meno impegnativo: navigare da Buenos Aires a New York, impresa che realizzò nel 1955.

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    Il secondo viaggio 40 bramadores. anno 1942/1943.


    Dopo una vita avventurosa, Vito Dumas scomparse il 28 marzo 1965 di ictus a Olivos, provincia di Buenos Aires, negando la solitudine che aveva sentito in mare attraverso una frase confessionale, la spina dorsale dei suoi viaggi: "Nel mare, Dio mi ascolta...". Le sue spoglie dall'anno 2000 riposano nel Pantheon navale di Chacarita, (un quartiere dove si trova il cimitero della Città di Buenos Aires).

    Nonostante tali imprese ed essere un idolo nel mondo, in Argentina, un Paese che rappresentava con orgoglio e che "amava davvero", la fama e la gloria di quegli anni furono affievolite. Alcuni attribuiscono questa mancanza di riconoscimento al legame di Dumas con il generale Juan Domingo Perón presidente dell'Argentina dal 1946 al 1955 che, per le conquiste del navigatore aveva conferito a Dumas il titolo onorifico di Luogotenente della Marina Militare e la direzione della Scuola Nautica Sportiva. Ma, quando il 19 settembre del 1955 Perón fu destituito, molte delle figure a lui legate subirono un ingiusto "divieto pubblico" promosso dagli oppositori del leader peronista.

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    S/D: Juan Domingo Perón e Vito Dumas.


    I libri scritti da Dumas: "Mis viajes", (I miei viaggi), "Solo, en dirección a la Cruz del Sur", (Solo, in direzione della Croce del Sud), "Los Cuarenta Rugientes" (I quaranta ruggenti) e "El crucero de lo inesperado", (La crociera dell'imprevisto), furono tradotti in varie lingue, e i navigatori di tutto il mondo lo considerano un punto di riferimento.
    Nel mondo non importa perché leggono i suoi libri, quello che pensa politicamente e si rendono conto che tipo di persona è. Ciò che conta sono le imprese che Vito ha sostenuto.

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    Per i suoi quattro viaggi e delle circostanze in cui li ha effettuati, Dumas è stata la prima persona a ricevere il premio Slocum, il più alto riconoscimento internazionale per la vela in solitario, e sebbene oggi non abbia riconoscimenti diffusi nel suo paese natale, coloro che conoscono le sue imprese, ammirano il suo talento.

    I suoi viaggi epici effettuati tra il 1931 e il 1955, inclusa la prima circumnavigazione intorno a Capo Horn, elevarono Vito Dumas a il più grande velista solitario della storia, collocandolo nell'Olimpo degli idoli argentini più popolari.

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    L'invasione della Russia in Ucraina aggiungerà maggiore urgenza agli sforzi dell'Europa per spezzare la sua dipendenza dal petrolio e dal gas dalla Russia, oltre a costringerla ad accelerare la sua transizione verso un'energia più pulita?


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    Senza una strategia più completa per "disabituarsi" dal gas, è probabile che i 27 Stati membri dell'Unione Europea non saranno in grado di raggiungere il loro obiettivo di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, o di raggiungere il proposito palesato al vertice di Glasgow di ridurre a zero netoi i gas serra entro il 2050.

    La transizione dell'Europa verso l'energia sostenibile è stata sempre una procedura complessa che ha richiesto di allontanarsi dal combustibile fossile più sporco come il carbone, mentre continua ad avere rapporti con i produttori di gas e petrolio per alimentare case, automobili e fabbriche fino a quando non saranno disponibili alternative migliori.

    L’utilizzo di fonti di energia sostenibili presentano diversi vantaggi, poiché sfruttano risorse ad emissione zero, ossia fonti non inquinanti ed inesauribili, di cui si presume una loro disponibilità nel futuro. Tali fonti sono:

    - l'irraggiamento solare che permette di produrre energia chimica, termica ed elettrica;
    - il vento che è una fonte per la produzione di energia meccanica ed elettrica;
    - le biomasse proveniente da alberi, piante e rifiuti di animali, che possono essere convertite in energia termica ed elettrica;
    - le maree e le correnti marine;
    - i bacini idroelettrici i cui elementi principali sono le dighe.

    TRANSIZIONE ECOLOGICA: CHE COS'È?

    La transizione ecologica è un concetto che mira a mettere in atto un nuovo modello sociale ed economico per rispondere in modo intelligente alla produzione e all'impiego di fonti rinnovabili. Mira a ripensare il modo in cui viviamo, lavoriamo e produciamo insieme su un territorio al fine di ridurre il nostro impatto ambientale. A lungo termine, ci consentirà di adottare un approccio di sviluppo sostenibile, privilegiando le energie rinnovabili, modificando i nostri comportamenti di consumo e limitando gli sprechi. Il suo scopo è fornire una risposta economica e sociale alle sfide ambientali che deve affrontare il nostro pianeta. La transizione ecologica non va confusa con la transizione energetica che prevede una serie di azioni per la diversificazione delle fonti energetiche come petrolio, r carbone, gas naturale, legna da ardere o biomasse, combustibili nucleari, energia idroelettrica, eolica, geotermica e solare, per orientandosi verso le energie rinnovabili.

    Solo tre mesi fa i leader mondiali si sono incontrati al vertice di Glasgow per assumere impegni ambiziosi, (quanto è abusato questo termine per dire o meglio non dire, in concreto, niente) per ridurre l'uso di combustibili fossili, con i risultati che stanno davanti agli occhi di tutti. Ora, i pericoli di un pianeta in fase di riscaldamento non sono meno calamitosi, ma il dibattito sull'importanza fondamentale della transizione verso le energie rinnovabili è passato in secondo piano rispetto alla sicurezza energetica poiché la Russia, il più grande fornitore di energia d'Europa, minaccia di avviare un importante confronto con l'Occidente sull'Ucraina mentre i prezzi del petrolio stanno salendo verso i 100 dollari al barile.

    Per più di un decennio, le discussioni politiche in Europa e oltre sulla riduzione di gas, petrolio e carbone, hanno posto l'accento sulla sicurezza e sull'ambiente, a scapito di considerazioni finanziarie ed economiche, ha affermato Lucia van Geuns, consulente energetico strategico per l'energia presso il ‘Hague Center for Strategic Studies’ che vede diverse strade percorribili che potrebbero portare alla transizione energetica. "Ora è il contrario. I prezzi del gas sono diventati molto alti e all'improvviso la sicurezza dell'approvvigionamento e dei prezzi è diventata l'argomento principale del dibattito pubblico", ha ribadito l’esperta, in un dibattito sulla transizione energetica, nell’Offshore Energy Exhibition & Conference dall’ 8 al 9 ottobre 2019 ad Amsterdam (Paesi Bassi).

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    Sta di fatto, però, che la rinnovata enfasi sull'indipendenza energetica e sulla sicurezza nazionale può incoraggiare i responsabili politici a fare marcia indietro sugli sforzi per ridurre l'uso di combustibili fossili che pompano gas serra letali nell'atmosfera.

    I prezzi dei prodotti energetici, come benzina, petrolio lampante (detto anche cherosene), gasolio, olio combustibile e gas di petrolio liquefatto (GPL), saliti alle stelle hanno già stimolato la produzione e il consumo aggiuntivi di combustibili che contribuiscono al riscaldamento globale. Le importazioni di carbone nell'Unione Europea a gennaio sono aumentate di oltre il 56% rispetto all'anno precedente.

    Al di là dell'oceano le compagnie di scisto in Oklahoma, Colorado e altri Stati stanno cercando di far “risorgere” le trivellazioni che erano cessate perché “improvvisamente” ora ci sono soldi per farle. E questo mese, Exxon Mobil ha annunciato l'intenzione di aumentare la spesa per nuovi pozzi petroliferi e altri progetti.

    TRANSIZIONE ENERGETICA EUROPEA A RISCHIO

    L'UE si sta sforzando di sostenere i Paesi aderenti, in linea con il target dell’Accordo di Parigi, per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C a fine secolo utilizzando principalmente le energie rinnovabili entro il 2050 come parte della sua spinta al raggiungimento del “zero emissioni nette”. Ciò significa che l’entità dell’anidride carbonica rilasciata nell'atmosfera dalle attività di un'azienda dev’essere bilanciata da una quantità equivalente rimossa. Stabilito il 14 luglio 2021, nel suo pacchetto di proposte politiche denominato “Fit for 55”, l’Europa si pone l’obiettivo di raggiungere la riduzione delle emissioni con un percorso a lungo termine per raggiungere “Net-zero carbon emissions” intorno al 2050.

    MONDO FUORI PISTA PER RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO DI RISCALDAMENTO GLOBALE DI 2° C.

    Gli scenari di utilizzo dell'energia rivelano che il mondo non è sulla buona strada per soddisfare il limite di aumento della temperatura globale media di 2 gradi Celsius stabilito dall'accordo di Parigi. Per rimanere nell'ambito di uno scenario di 2 gradi C, il mondo deve aumentare il proprio consumo di energia rinnovabile anche più di quanto attualmente previsto. Ma questo modello di sviluppo, con il conflitto tra Russia e Ucraina che più o meno interessa tutto il mondo globalizzato è, al momento, e successivamente possibile?

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    In un discorso del 19 febbraio scorso tenuto alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco 2022, la presidente della CE Ursula Von der Leyen ha affermato che l'UE sta "raddoppiando le energie rinnovabili" per ridurre la sua dipendenza dalla Russia.

    Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha recentemente dichiarato che: "Il nostro mondo sta affrontando un momento di pericolo a causa della crisi. Se il conflitto in Ucraina si espande, il mondo potrebbe vedere una portata e una gravità del bisogno mai viste per molti anni. È tempo di moderazione, ragione e de-escalation e non c'era spazio per azioni o dichiarazioni che avrebbero portato questa situazione pericolosa sull'abisso".

    Molti dei cambiamenti ambientali e sociali che si verificano nei conflitti possono creare nuove e significative fonti di emissioni di gas serra. Allo stesso tempo, il crollo della governance ambientale associato ai conflitti, può creare o sostenere le condizioni che consentono alle pratiche inquinanti di prosperare e limitare gli sforzi per affrontarle. Alcuni di questi problemi si estendono nel periodo postbellico, un periodo in cui istituzioni deboli e spazi non governati possono consentire il proliferare di attività non sostenibili. Tuttavia, l'invasione russa in Ucraina potrebbe stimolare la decarbonizzazione dell'Europa concentrandosi nuovamente su efficienza, energia rinnovabile e stoccaggio per accelerare il suo allontanamento dal gas russo.

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    Edited by Filippo Foti - 28/2/2022, 19:27
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    Diversi studi suggeriscono che il rischio di pandemie sta aumentando rapidamente, con nuove malattie che emergono nelle persone ogni anno, ognuna delle quali ha il potenziale per diffondersi e diventare una pandemia. Non si tratta quindi se ci sarà un'altra pandemia, ma di quando sarà.


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    Il cambiamento climatico in natura può avere un impatto molto diffuso e, tra l’altro non è cosa da poco, influenza anche la salute umana e animale. A esempio, altera le condizioni di agenti patogeni e vettori di malattie causate da virus, batteri o parassiti che possono essere trasmesse direttamente o indirettamente tra gli animali e l'uomo. In passato infezioni e malattie, sono state ampiamente documentate in letteratura, evolvendosi soprattutto dal 2010 al 2015, come evidenziato dal forte aumento delle pubblicazioni che hanno affrontato eventi ad hoc.

    Ci sono tre risultati critici derivanti dagli studi:

    - In primo luogo queste malattie, definite zoonotiche, sono diventate una crisi globale che hanno raggiunto il picco nel 2020. Ciò è associato ovviamente all'epidemia da COVID-19, che ha attirato una rinnovata attenzione sul problema;
    - In secondo luogo, tutti gli indicatori relativi alle analisi matematiche e statistiche utili a misurare la qualità e la quantità della produzione scientifica mostrano che Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Italia e Germania svolgono la maggior   parte delle ricerche pubblicate;
    - In terzo luogo, molte riviste si stanno ora concentrando sulle zoonosi, il che può essere spiegato dal crescente interesse per la trasmissione delle malattie da animale a uomo.

    Inoltre, come accennato, la crisi climatica globale ne influenza la trasmissione tra la popolazione mondiale, principalmente nei Paesi tropicali a basso e medio reddito. Negli ultimi anni, anche i cambiamenti nei tempi e nell'entità della temperatura e delle precipitazioni hanno accelerato la loro diffusione nel nord del mondo.

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    COME SI TRASMETTONO LE MALATTIE ZOONOTICHE

    Le cause delle malattie zoonotiche sono in gran parte le stesse cause della perdita di biodiversità. Vi sono anche alcune prove che la stessa perdita di biodiversità faciliti la diffusione delle malattie, sulla base della teoria che una maggiore la diversità delle specie fornisce un cuscinetto più solido contro la trasmissione di malattie tra animali e esseri umani. Il contatto diretto con gli animali è il modo più semplice della diffusione, ad esempio attraverso le carezze, la manipolazione ovvero il morso o il graffio di un animale. Le persone che lavorano nell'industria del bestiame o in quelle di cura degli animali (per esempio zoo, acquari, veterinari), sono più suscettibili all'esposizione a dette malattie in quanto sono spesso a diretto contatto. Anche gli animali domestici possono essere una fonte diretta di esposizione, così come gli animali selvatici che entrano in contatto con i cacciatori.

    Trascorrere del tempo nelle aree in cui vivono gli animali può portare a un'esposizione indiretta ad agenti zoonotici anche attraverso il contatto con l'acqua o superfici con cui sono entrati in contatto anche animali infetti ed alcuni germi possono persino contaminare l'aria che respiriamo. Gli Hantavirus, ad esempio, sono una famiglia di virus diffusi dai roditori, ma raramente attraverso il contatto diretto. Invece, i virus si diffondono più spesso in frammenti aerosolizzati della materia fecale infetta del roditore. Ad esempio, le persone che spazzano via i loro capannoni dopo un lungo periodo di tempo possono inalare la polvere contaminata da particelle fecali infette dei topi.

    Le malattie zoonotiche possono anche essere trasferite dagli animali all'uomo attraverso insetti che agiscono come "intermediari" o vettori per l'agente patogeno. Le zecche, ad esempio, trasferiscono agenti patogeni trasmessi per via ematica, come i batteri che causano la malattia di Lyme, da un animale infetto ad altri animali e umani. Questa malattia prende il nome dalla cittadina statunitense di Lyme, nel Connecticut, in cui nel 1975 se ne segnalarono i primi casi manifestatisi con l’inspiegabile aumento delle artriti, soprattutto infantili, che insorgevano con eritemi cutanei su torace, addome, dorso e natiche e si ingrandivano fino a raggiungere una dimensione variabile tra i 10 e i 50 cm, con mal di testa e dolori articolari. Zanzare e pulci sono anche vettori comuni, come il “virus Zika” (trasmesso dalle zanzare) e il batterio “Yersinia pestis” che causa la peste (trasmesso dalle pulci).

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    Le persone possono anche contrarre malattie zoonotiche consumando cibo contaminato. Mangiare carne o uova poco cotte o mangiare prodotti non lavati contaminati da feci animali può portare a malattie a causa dei germi trasportati da un animale. Bere latte crudo non pastorizzato può anche causare la diffusione di queste malattie all'uomo.

    PROSPETTIVE FUTURE

    Diversi studi suggeriscono che il rischio di pandemie sta aumentando rapidamente, con più di cinque nuove malattie che emergono nelle persone ogni anno, ognuna delle quali ha il potenziale per diffondersi e diventare una pandemia. Non si tratta quindi se ci sarà un'altra pandemia, ma di quando sarà. Si stima che ci siano più di 500.000 virus sconosciuti nei mammiferi e negli uccelli che potrebbero infettare gli esseri umani.

    La maggiore pressione sugli ecosistemi dovuta alle attività umane, come la crescente domanda globale di carne, determinerà un'ulteriore perdita di biodiversità e aumenterà il rischio di malattie zoonotiche. Per mitigare questo rischio, è fondamentale ridurre il nostro impatto ambientale attraverso un sistema di cooperazione globale.

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    Iniziative come “Wildlife Conservation 20” e “Preventing Pandemics at the Source” sono emerse dopo il COVID-19, cercando di prevenire future pandemie e costruire relazioni sostenibili tra il consumo umano e la conservazione della fauna selvatica.
    Una ricerca condotta dall'Università di Glasgow ha trovato nuovi collegamenti tra il cambiamento climatico e le zoonosi, insieme agli impatti sulla salute umana, sociali ed economici. La professoressa Sarah Cleaveland, un'epidemiologa veterinaria con sede presso l'Università di Glasgow, nel Regno Unito, ha dichiarato che la ricerca del suo team mostra il valore di un approccio interdisciplinare allo scopo di attingere a prospettive diverse. "Intuizioni chiave sono arrivate dalle scienze sociali e dalla ricerca basata sulla comunità, ha affermato. Ciò ha rafforzato la nostra comprensione dei legami tra il cambiamento climatico nell'Africa orientale ed i cambiamenti nei sistemi di gestione del bestiame".

    Matt Williams, responsabile di un gruppo di esperti del “Climate and Land Programme Lead at Energy and Climate Intelligence Unit” (ECIU, Regno Unito), (il Programma sul Clima e l'uso del Suolo presso l'Unità di Energia e Intelligenza sul clima), una organizzazione senza scopo di lucro che sostiene il dibattito informato sulle questioni relative all'energia e ai cambiamenti climatici nel Regno Unito, afferma che le pandemie, la natura e le crisi climatiche sono collegate.
    "Più danneggiamo il mondo naturale, più è probabile che entriamo in contatto con nuove malattie e le condizioni meteorologiche diventeranno sempre più estreme e la nostra capacità di farvi fronte e di lavorare con la natura per assorbire le emissioni sarà ridotta”.

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    S/D: Sarah Cleaveland e Matt Williams.


    Il dottor Andrew Peters, uno scienziato della "Charles Sturt University" in Australia, afferma: "In un senso più ampio, questa collaborazione mira a migliorare la capacità diagnostica della malattia zoonotica riunendo scienziati in Australia e coloro che lavorano in questo campo. Pertanto è necessario promuovere studi integrativi sulle malattie zoonotiche tra scienziati di diverse discipline, in modo da rivelare il modello di trasmissione e la dinamica delle principali malattie zoonotiche che stanno imponendo un'elevata minaccia per l'uomo."

    La realtà del cambiamento climatico e del crollo della biodiversità è inconfutabile e rappresenta una delle questioni più preoccupanti che minacciano il nostro pianeta e l'umanità nel 21° secolo. Questa minaccia esistenziale ci costringe a riconoscere che la nostra esistenza dipende completamente da ecosistemi ben funzionanti che sostengono la diversità della vita sul nostro pianeta, compresa quella necessaria per la salute umana.

    Esaminando le malattie infettive storiche e contemporanee - che sono state influenzate dalla manipolazione ambientale umana, comprese le zoonosi e le malattie veicolate dall’acqua, insieme a una valutazione dell'impatto della migrazione, dell'urbanizzazione e della densità umana sulle malattie trasmissibili - l'attuale mancanza di urgenza nell'impegno politico per affrontare il cambiamento climatico richiede una maggiore comprensione e azione per garantire la tutela della salute e il benessere dell’umanità di oggi, così come quella delle generazioni future.

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    Gli impatti vanno ben oltre l'aumento della temperatura, i cambiamenti nei modelli delle precipitazioni, l'aumento della frequenza di eventi estremi o i cambiamenti negli ecosistemi. La salute umana è notevolmente influenzata dal cambiamento climatico in molti modi, compreso lo sviluppo di problemi respiratori e cardiovascolari, colpi di calore, disidratazione e problemi di salute mentale. Pertanto, fortunatamente, l'impatto del cambiamento climatico sulle zoonosi è un'area di ricerca in rapida crescita.

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    Grandi rischi per le specie più grandi degli oceani. Quando si tratta di salvare il pianeta una balena, nella sua vita, vale migliaia di alberi assorbendo circa 33 tonnellate di carbonio.


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    Il cambiamento climatico, causato soprattuto dall'attività dell'uomo, sta avendo un impatto sugli ecosistemi oceanici e comporta molte sfide per una varietà di specie marine, comprese le balene. Com'è noto, il carbonio si combina con l'ossigeno per produrre anidride carbonica (CO2) e talvolta è usato come ripiego per riferirsi alla CO2. Gli impatti del cambiamento climatico si stanno intensificando a livello globale, influenzando in modo significativo la vita marina e gli ecosistemi. Stiamo già assistendo a cambiamenti ambientali, tra cui il riscaldamento degli oceani, l'innalzamento dei mari, l'acidificazione degli oceani e un aumento della frequenza e dell'intensità degli eventi meteorologici estremi. I modelli di distribuzione di molte specie marine stanno cambiando a causa di queste mutevoli condizioni oceanografiche.

    Il cambiamento climatico è considerato, ad esempio, una delle minacce più significative per le balene franche (derivazione storica: giuste da cacciare) del Pacifico presso il loro habitat più settentrionale e del Nord-Atlantico, e sono una delle specie più rare di grandi dimensioni. Si nutrono di zooplancton, ma la variabilità della copertura del ghiaccio marino dovuto al riscaldamento delle temperature oceaniche influenzando la distribuzione e la disponibilità, determina dove e quando si può trovare il prezioso foraggiamento, la cui mancanza porta a stress nutrizionale e riduzione della loro riproduzione.

    Stessa cosa per le balene beluga costrette a migrare. Quando ciò accade, i beluga possono soffrire di mancanza di prede ed essere più vulnerabili ai predatori. Nei casi più gravi, possono non trovare accesso alle aree in superficie per potere respirare a causa della copertura del ghiaccio marino. Anche il comportamento di foraggiamento dei Beluga è cambiato a causa dell'alterata distribuzione delle prede dovuta al riscaldamento degli oceani. I beluga devono immergersi più a lungo, più in profondità e più frequentemente per trovare cibo. L'aumento dello stress, anche per le balene Beluga, può ridurre la loro capacità di riprodursi. Ciò può rendere più difficile il recupero delle popolazioni in via di estinzione.

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    Beluga che socializza con una ragazza, ed una "beluga-gif" che spruzza acqua verso i visitatori dell'Hakkeijima Sea Paradise, Tokyo.

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    Questa balena beluga non è una "gif"


    I beluga sono animali sociali. Ritornano nelle loro aree di nascita ogni estate per nutrirsi e partorire. I gruppi possono variare da una o due balene a diverse centinaia. Gli individui si spostano tra i gruppi all'interno di queste popolazioni, a differenza di alcune orche, che scopriremo più avanti e che sembrano avere forti legami con i loro branchi guidati dalle madri.

    I beluga sono conosciuti come i "canarini del mare" perché producono molti suoni diversi, inclusi fischi, strilli, muggiti, cinguettii e clic. Fanno affidamento sul loro udito e sulla capacità di ecolocalizzare prede o possibili ostacoli presenti in acqua, usando il suono per navigare e cacciare la preda, ed hanno anche una visione nitida dentro e fuori dall'acqua. Hanno una dieta varia composta prevalentemente da polpi, calamari, granchi, gamberetti, vongole, lumache e lombrichi. Mangiano anche una varietà di pesce, tra cui salmoni, merluzzi, aringhe e pesci candela (Thaleichthys pacificus) rappresentanti d’acqua salata della famiglia degli Osmeridi, piuttosto piccoli, essendo lunghi appena una ventina di centimetri, chiamati così, secondo l’usanza degli indiani abitanti lungo la costa occidentale dell’America del Nord che li seccavano e poi li usavano come torce.

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    ORCHE ASSASSINE

    Le Orche assassine (Orcinus orca), la specie di delfini più grandi del mondo appartenenti alla famiglia Delphinidae, chiamate così a causa delle sue note caratteristiche predatorie, sono anch'esse in via di estinzione. Ciò è dovuto a diversi fattori, tra cui l'accesso limitato alla loro preda preferita - il salmone Chinook, chiamato anche salmone reale o salmone primaverile, (Oncorhynchus tshawytscha) - e agli alti livelli di contaminanti dall'inquinamento ambientale; il cambiamento climatico ha il potenziale per aumentare queste due minacce. Però, le temperature oceaniche più calde possono anche elevare i livelli di concentrazione di inquinanti ambientali che possono indurre le difese immunitarie e influenzare la capacità di una femmina di riprodursi con successo.

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    Orca assassina immortalata sotto lo scafo del pescereccio Meloyfjorq nelle acque del fiordo norvegese di Kvænangen.



    Un oceano sano equivale ad un pianeta sano e le balene hanno un ruolo importante da svolgere in tutto questo. Poiché i microorganismi che compongono il fitoplancton prosperano solo in presenza delle balene, lo aiutano a prosperare e, così facendo, aumentano la capacità degli oceani di catturare il carbonio. Non solo, le balene sono anch'esse riserve di carbonio viventi. Ecco come le balene cambiano il clima e quanto sono efficaci per potere essere le soluzioni basate sulla natura contro il cambiamento climatico e perché dovremmo sostenere una loro maggiore protezione.

    IN CHE MODO LE BALENE CAMBIANO IL CLIMA E CATTURANO IL CARBONIO?

    Le balene possono influenzare l'ambiente in molti modi diversi; come consumatori, prede e persino depositi di carbonio. La presenza di una balena ha un effetto a catena sull'ecosistema in generale, rendendo fondamentale la sua protezione per la salute del pianeta e per mitigare il cambiamento climatico. Quando si tratta di salvare il pianeta, una balena vale migliaia di alberi. Ci spieghiamo meglio: La ricerca scientifica indica chiaramente che il rilascio di anidride carbonica nell'atmosfera contribuisce al riscaldamento globale attraverso il cosiddetto effetto serra minacciando i nostri ecosistemi e il nostro modo di vivere. Ma gli sforzi per mitigare il cambiamento climatico devono affrontare due sfide significative. Il primo è trovare modi efficaci per ridurre la quantità di CO2 nell'atmosfera o il suo impatto sulla temperatura media globale. Il secondo è raccogliere fondi sufficienti per mettere in pratica queste tecnologie.

    Molte soluzioni proposte per bloccare, o quanto meno limitare il riscaldamento globale - come catturare il carbonio direttamente dall'aria e seppellirlo in profondità nella terra - sono complesse, non testate e costose. E se ci fosse una soluzione a bassa tecnologia a questo problema che non solo sia efficace ed economica, ma abbia anche un modello di finanziamento di successo? Un esempio di tale opportunità viene da una strategia sorprendentemente ed essenzialmente semplice che richiede poca o nessuna tecnologia moderna per catturare più carbonio dall'atmosfera: aumentare le popolazioni globali di balene. I biologi marini hanno recentemente scoperto che le balene, in particolare quelle grandi, svolgono un ruolo significativo nella cattura del carbonio dall'atmosfera. Accumulandolo nei loro corpi durante le loro lunghe vite, il potenziale di cattura del carbonio delle balene è davvero sorprendente. Quando muoiono, sprofondando sul fondo dell'oceano sequestrano in media 33 tonnellate di CO2, sottraendo quel carbonio dall'atmosfera per secoli. Un albero, nel frattempo, assorbe solo fino a circa 21 kg all'anno.

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    LE MINACCE CHE AFFRONTANO LE BALENE

    Oggigiorno le balene devono affrontare un gran numero di minacce e molte specie sono sempre più a rischio di estinzione. Ecco alcune di queste minacce elencate di seguito:

    INQUINAMENTO ACUSTICO:Negli ultimi decenni, l'inquinamento acustico nell'ambiente marino è aumentato notevolmente. Il rumore prodotto dall'uomo non solo disturba l'ambiente marino naturale, ma lo sta anche soffocando. Il suono è il segnale sensoriale più importante per gli animali marini in quanto consente loro di comunicare e raccogliere informazioni da distanze estremamente lontane. Si affidano al suono per localizzare la preda, comunicare, evitare i predatori e anche percepire l'ambiente circostante. Tuttavia, il rumore sta interrompendo il loro comportamento naturale, la fisiologia e le possibilità di riproduzione, il che può di conseguenza portare ad un aumento del rischio di mortalità.

    INQUINAMENTO CHIMICONumerosi studi sul tessuto delle balene hanno rivelato livelli significativi di inquinanti:

    - Sostanze organiche persistenti (POP) (acronimo inglese di Persistent Organic Pollutants), quelle che rimangono nell’ambiente, si accumulano negli organismi viventi e rappresentano un rischio per la nostra salute e l’ambiente. Possono essere trasportati dall’aria, dall’acqua e dalle specie migratorie raggiungendo regioni in cui non sono mai stati prodotti o utilizzati. Pertanto è necessaria una gestione internazionale dei rischi in quanto nessun Paese è in grado di gestire da sola i pericoli rappresentati da queste sostanze;

    - Interferenti endocrini (EDC), (acronimo inglese di Endocrine Disrupting Chemicals), ovvero sostanze o molecole chimiche dannose per la salute che agiscono sugli ormoni e sul sistema endocrino degli uomini come degli animali. Alti livelli di queste sostanze chimiche sono in grado di danneggiare il sistema immunitario delle balene e la loro capacità di riprodursi.

    PLASTICA

    Si stima che ogni anno oltre 8 milioni di tonnellate di plastica entrino negli oceani, per cui gli animali marini quando la ingeriscono, riempiono il loro stomaco e riducono la sensazione di fame che spesso porta alla morte. Poiché la plastica, come gli attrezzi da pesca, viene spesso versata nelle acque oceaniche, può impigliare qualsiasi animale che nuoti sulla loro navigazione. Ciò può limitare il movimento e rendere difficile per loro nutrirsi o nuotare. Anche gli animali, da questo, possono subire infezioni o traumi fisici.

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    CACCIA ALLE BALENE

    Si stima che oltre 570 balene sono state uccise durante la stagione di caccia norvegese nel 2021. Infatti, secondo la “Norwegian Fishermen's Sales Organization” (Råfisklaget), (l'organizzazione di vendita dei pescatori norvegesi), la stagione di caccia alle balene in Norvegia alla fine dell’anno ’21, ha visto il maggior numero di balenottere minori uccise nei cinque anni precedenti, nonostante la crescente sostenibilità e le preoccupazioni etiche. Un numero record dal 2016.

    Le persone praticano la caccia alle balene da migliaia di anni. Quando iniziò la caccia industriale alle balene negli anni '30, ogni anno ne venivano uccise fino a 50.000. Nel 1986, la caccia commerciale è stata ufficialmente bandita dalla moratoria della "International Whaling Commission", (Commissione baleniera internazionale). Tuttavia alcuni Paesi, tra cui Norvegia, Islanda e Giappone, pratichino ancora questo tipo di caccia commerciale, il divieto ha consentito ad alcune popolazioni di riprendersi.

    Le balene hanno la capacità di immagazzinare una grande quantità di carbonio che è stata ridotta sensibilmente rispetto a prima della caccia commerciale. Pertanto, la caccia ha svolto un ruolo importante nell'accelerare gli effetti del cambiamento climatico diminuendo il loro numero che può bloccare il carbonio negli oceani.

    MISURE DI CONSERVAZIONE

    Per molte persone, è facile ignorare ciò che sta accadendo sotto le onde di mari ed oceani. Tuttavia, come già accennato, la loro salute è intrinsecamente legata a quella del nostro pianeta e le balene svolgono un ruolo importante in tutto questo. Più balene nell'oceano significa meno anidride carbonica nell'atmosfera e un oceano più sano. Le balene, è bene ribadire, si riproducono molto lentamente, quindi proteggerle è estremamente importante poiché la crescita delle popolazioni richiede molto tempo. Identificando le aree in cui le balene sono vulnerabili e studiando i loro habitat, le organizzazioni di conservazione sono in grado di proteggere questi luoghi cambiando il modo in cui li utilizziamo.

    CIÒ CHE POSSIAMO FARE

    La conservazione della biodiversità mondiale è fondamentale per affrontare la crisi climatica e questo è un ottimo esempio. La natura, come abbiamo visto, ha già tutte le soluzioni di cui abbiamo bisogno per combattere il cambiamento climatico; abbiamo solo l’assoluta necessità di più persone al potere che lo sostengano.

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    E abbiamo ancora tempo, anche se limitato. Spesso, quando un problema viene messo in primo piano dall'opinione pubblica, è più probabile che l'azione venga intrapresa da governi e responsabili politici. Alcuni dei modi in cui possiamo aiutare a realizzare questo obiettivo sono educare gli altri sull'importanza delle balene e supportare le organizzazioni per la loro conservazione. Possiamo anche apportare cambiamenti nel nostro quotidiano, tutti abbiamo un ruolo da svolgere nella crisi climatica, non importa quanto piccola, l'azione collettiva è fondamentale.

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    Edited by Filippo Foti - 23/2/2022, 15:27
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    L'aumento dell'attività nelle zone umide e gli sfiati prodotti dalle compagnie petrolifere e del gas hanno fatto sì che la concentrazione di metano nell'atmosfera raggiunga livelli record.


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    Secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti, le concentrazioni di metano nell'atmosfera
    hanno raggiunto il record di 1.900 parti per miliardo nel 2021, un numero che è quasi tre volte i livelli preindustriali.



    Il metano è un gas serra che è almeno 28 volte più potente dell'anidride carbonica e le emissioni sono in preoccupante aumento dal 2007, contribuendo ed esacerbando gli effetti del cambiamento climatico. Il marcato aumento è evidente dai recenti dati diffusi dalla NOAA a gennaio scorso, con alcuni che temono che il riscaldamento globale rischi di creare un meccanismo di feedback, ovvero il processo per cui l'effetto risultante dell'azione del sistema si riflette sul sistema stesso, che causerà ancora più emissioni di metano rilasciate nell'atmosfera.

    L'aumento dell'attività nelle zone umide e gli sfiati prodotti delle compagnie petrolifere e del gas (nel corso di completamento e manutenzione di pozzi, tubazioni, serbatoi, ecc.), durante il processo produttivo, è responsabile di enormi quantità di gas metano che possono sfociare nell'atmosfera. Ciò, tra l’altro, ha fatto sì che la concentrazione di metano nell'atmosfera stia raggiungendo livelli record. Le zone umide, che coprono il 6% della superficie mondiale e sono punti caldi della biodiversità, sono minacciate dal cambiamento climatico che potrebbe cambiarle per sempre; ma a loro volta a causa dell'accennato meccanismo di feedback, le zone umide possono anche aiutare a mitigare l'impatto del cambiamento climatico.

    Laghi, stagni, lagune, paludi, acquitrini e torbiere rappresentano tutta una varietà di habitat naturali che vengono riuniti sotto la definizione di zone umide. Esse regolano, catturano e immagazzinano i gas serra e alcuni tipi potrebbero essere più efficienti nel catturare il carbonio atmosferico rispetto alle foreste pluviali. La più grande zona umida tropicale del mondo nel “Pantanal”, in Sud America, è anche uno dei più importanti pozzi di carbonio terrestre. Ma, con la deforestazione, gli incendi boschivi, l'edilizia e il drenaggio agricolo, questi preziosi depositi di carbonio vengono degradati con un conseguente aumento delle emissioni di carbonio.

    Il cambiamento climatico sta uccidendo il Pantanal, la più grande zona umida tropicale del mondo.
    Cerca cliccando " l'ingranaggio 164493749256904523__3_" la traduzione in italiano.


    Tuttavia, anche le zone umide possono rilasciare anidride carbonica. Una preoccupazione fondamentale è che se le enormi quantità di carbonio immagazzinate nelle zone umide vengono rilasciate come conseguenza delle attività umane, ciò contribuirà al riscaldamento globale. Questo è davvero ciò che, ad esempio, sta accadendo attraverso la distruzione delle torbiere in Indonesia che ha la seconda torbiera più grande del mondo. L'istituto di ricerca Global Wetlands ha dichiarato nel 2019 che le aree torbose dell'Indonesia coprivano un totale di 22,5 milioni di ettari, dopo il Brasile con un totale di 31,1 milioni di ettari.

    Le torbiere sono zone umide composte da materia organica, come alberi caduti, erba, muschio e animali in decomposizione. Questa materia si accumula nel corso di migliaia di anni e, poiché il terreno è così saturo, ci vuole molto più tempo per decomporsi, formando infine uno spesso sedimento. Le torbiere immagazzinano 57 gigatonnellate di carbonio, 20 volte più delle foreste pluviali tropicali o del suolo minerale, secondo “Pantau Gambut”, una piattaforma online senza scopo di lucro che fornisce informazioni sulle attività di ripristino delle torbiere. Il dipartimento Ricerca e Sviluppo del Ministero dell'Agricoltura indonesiano afferma che un grammo di torba può immagazzinare 180-600 milligrammi di carbonio rispetto al suolo minerale, che immagazzina solo 5-80 mg.

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    Un incendio della torba in Indonesia.


    Le torbiere sono il più grande deposito di carbonio terrestre sulla terra, immagazzinando più carbonio di tutti gli altri tipi di vegetazione nel mondo messi insieme. Ma una volta che le torbiere vengono distrutte, rilasciano anidride carbonica nell'atmosfera, uno dei principali gas serra che guida il cambiamento climatico.

    La crescita delle piantagioni in Indonesia ha portato alla bonifica di più torbiere. Ma poiché colture come l'acacia e l'olio di palma non possono crescere nelle zone umide, le aziende di piantagioni di solito costruiscono canali per drenare l'acqua dalla torba. La produzione di olio di palma in Indonesia è stata ritenuta responsabile dell'abbattimento di vaste aree di foreste tropicali e dell'uccisione della biodiversità. Ora, la deforestazione potrebbe anche essere il motivo per cui la regione sta assistendo a inondazioni improvvise.

    La_produzione_di_olio_di_palma_0

    Distruzione di torbiere per creare piantagioni di olio di palme che modificano l'equilibrio naturale provocando alluvioni.
    Jayapura, la capitale e la città più grande della provincia indonesiana di Papua.


    Il drenaggio delle torbiere rilascia carbonio nell'aria e rende queste aree di torba drenate soggette a incendi. Gli incendi sulla torba possono bruciare anche fino a quattro metri sotto la superficie del terreno per lunghi periodi di tempo, diffondendosi mentre lo fanno e creando incendi ancora più grandi.

    Inoltre, il riscaldamento dei suoli nelle zone umide può emettere metano, un gas 25 volte più potente dell'anidride carbonica in termini di effetto serra. Le temperature più calde del suolo sono uno dei fattori che aggravano il rilascio di metano, il che è motivo di preoccupazione se consideriamo che il riscaldamento globale sta causando un aumento della temperatura.

    Tuttavia, con una migliore gestione delle risorse e con livelli di consapevolezza più elevati sull'importanza di ecosistemi chiave come le zone umide, è possibile adottare strategie di mitigazione efficienti e adattamento del clima in modo tale che le comunità e i loro ambienti possono prosperare.

    UNA DELLE STRATEGIE PER IL RIPRISTINO DELLE ZONE UMIDE E LA MITIGAZIONE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO

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    Restauro e costruzione di zone umide: Le zone umide sono ecosistemi che facilitano il sequestro del carbonio atmosferico attraverso la fotosintesi e il successivo stoccaggio nella biomassa fuori terra e sotterranea, nonché nella materia organica del suolo. Come abbiamo detto, esempi di zone umide includono torbiere e habitat costieri come foreste di mangrovie, paludi di marea e praterie di fanerogame, detti anche ecosistemi di carbonio blu. Mentre si stima che le torbiere e le zone umide, ad esempio, quelle costiere immagazzinino tra il 44 e il 71% del carbonio biologico terrestre del mondo, tali stock di carbonio sono vulnerabili al deterioramento dovuto al degrado dell'habitat. I rischi che portano alla perdita di carbonio, simili alle foreste, sono causati soprattutto dalle attività antropiche.

    Gli scienziati hanno trovato difficile individuare le cause e i fattori scatenanti del picco di metano. La principale fonte di aumento della concentrazione di metano oggi proviene da fonti naturali, in particolare, per come si è già accennato, dalle zone umide, seguite dall'estrazione di combustibili fossili, dal bestiame, dalle discariche e dai rifiuti agricoli. Appare anche credibile che il riscaldamento globale stesso potrebbe causare l'aumento della produttività dei microbi nelle zone umide tropicali e, di conseguenza, produrre più gas metano.

    "I livelli di metano stanno crescendo velocemente e pericolosamente ", afferma Euan Nisbet, uno scienziato della Terra presso la Royal Holloway, Università di Londra, a Egham, nel Regno Unito, aggiungendo che questa sbalorditiva tendenza è una grave minaccia per limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5-2°C sopra i livelli pre-industriali.

    Euan-sml

    Euan Nisbet


    Immagini satellitari e riprese a infrarossi negli ultimi anni hanno rivelato ciò che si è detto prima, ovvero di emissioni di metano che fuoriescono dai siti di petrolio e gas in Paesi tra cui l'UE, il Messico e gli Stati Uniti, che scaricano regolarmente enormi quantità di metano nell'atmosfera. Secondo i ricercatori del Laboratorio di Scienze del Clima e dell'Ambiente in Francia, i satelliti in orbita hanno rilevato più di 1.800 grandi esplosioni di metano nel corso del 2019 e del 2000, con molti eventi che ne hanno rilasciato diverse tonnellate ogni ora. Tuttavia, sebbene alcuni rilasci sono stati causati da incidenti, i ricercatori hanno scoperto che nella maggior parte dei casi le aziende scaricano deliberatamente il gas dalle condutture o da altre apparecchiature prima di eseguire riparazioni oppure operazioni di manutenzione. Queste emissioni rilevate rappresentavano l'8-12% delle emissioni globali di metano dalle infrastrutture petrolifere e del gas durante quel periodo.

    La_fermentazione_enterica

    La fermentazione enterica - emissioni gassose da ruminanti come bovini da latte e da carne -
    è considerata la principale fonte di metano in termini di attività legate all'uomo.


    Gli esperti del clima concordano sul fatto che il modo più veloce per frenare il riscaldamento globale a breve termine è ridurre le emissioni di metano. Ciò è culminato nell'impegno globale sul metano, in cui più di 100 Paesi, che rappresentano i due terzi dell'economia globale e la metà dei primi 30, hanno promesso di ridurre, entro il 2030, le emissioni collettive di metano del 30% rispetto ai livelli del 2020. Si stima che la riduzione delle emissioni riduca il riscaldamento globale di almeno 0,2°C entro il 2050.

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  14. .

    L'umanità, con l'inarrestabile cambiamento climatico, continua ad accelerare il metabolismo degli organismi marini aumentando la loro richiesta di ossigeno, con conseguenze davvero preoccupanti per gli ecosistemi.



    Quando si parla di cambiamento climatico, ci sono cattive notizie ed anche peggiori. In quest'ultima categoria rientra un nuovo studio in cui alcuni scienziati prevedono che più di due terzi degli oceani del pianeta, entro il 2080, saranno privi di ossigeno a sufficienza a causa dell’aumento delle temperature.

    Quella mancanza di ossigeno decimerà gli stock ittici in tutto il mondo, portando probabilmente a carenze alimentari in molte parti del nostro pianeta. La tendenza si fa già sentire poiché l'aumento della perdita di ossigeno causata dal riscaldamento planetario ha superato una soglia critica nel 2021. Infatti, una deossigenazione significativa e potenzialmente irreversibile delle profondità medie dell'oceano, che supporta gran parte delle specie pescate nel mondo, probabilmente colpirà la pesca in tutto il mondo.

    I risultati sono stati pubblicati sulla rivista "AGU Geophysical Research Letters", che divulga i rapporti ad alto impatto con le implicazioni immediate che abbracciano tutte le scienze della Terra e dello spazio. Secondo il nuovo studio, le profondità medie dell'oceano (da circa 200 a 1.000 metri), chiamate zone mesopelagiche, saranno le prime a perdere quantità significative di ossigeno a causa del cambiamento climatico. Negli oceani, a livello globale, la zona mesopelagica ospita molte delle specie pescate, il che rende la nuova scoperta un potenziale presagio di difficoltà economiche, carenza di pesce e disordini ambientali.

    Map_GlobalLowOxygen


    In scenari ideati da scienziati cinesi nella ricerca che è la prima a utilizzare modelli climatici per prevedere come la deossigenazione (la riduzione del contenuto di ossigeno disciolto nell'acqua oceanica in tutto il mondo al di fuori della sua variabilità naturale), "si prevede che oltre il 72% dell'oceano globale sperimenterà un'emergenza della deossigenazione prima del 2080 per tutte e tre le zone verticali", spiegano i ricercatori.

    LE TRE ZONE VERTICALI

    Dette zone, in base alla distanza dalla costa e sulla quantità di luce che penetra nelle acque oceaniche, sono la zona intertidale (l'habitat di numerosi tipi di piccoli organismi), la neritica (habitat di organismi come cozze, lattughe di mare, isopodi, alghe verdi, chitoni, anemoni e cirripedi) e la oceanica che si estende dal bordo della piattaforma continentale sopra il versante continentale fino al di là del fondo oceanico. Inizia dove l'acqua è profonda oltre 200 metri, contiene profonde trincee, vulcani e bacini oceanici.
    Le zone verticali nell'oceano comprendono le zone epipelagiche, illuminate dal sole in quanto ricevono abbastanza luce per supportare la fotosintesi (fino a 200 metri di profondità), ovviamente gli strati più caldi dell'oceano, le zone mesopelagiche o zone crepuscolari, perché la luce diventa limitata (200 -1.000 m), e le batipelagiche (1.000-4.000 m), le zone buie in cui la pressione dell'acqua è alta e l'acqua è fredda (circa 35-39 gradi).

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    "A livello regionale, si prevede che l'emergere della deossigenazione sarà diffusa al di sotto della zona epipelagica del Pacifico nord-occidentale, dell'Atlantico settentrionale e degli oceani meridionali prima del 2080", aggiungono i ricercatori.

    Quando la temperatura dell'acqua aumenta, l'acqua oceanica trattiene meno ossigeno disciolto, il che crea una minore circolazione tra gli strati oceanici. Per il loro studio, i ricercatori hanno tracciato i tassi di deossigenazione previsti in tre zone di profondità oceaniche, sopra descritte, (poco profonde, medie e profonde) esaminando quando la perdita di ossigeno disciolto nell'acqua supererà le fluttuazioni naturali quando il clima si riscalderà nei prossimi decenni.

    Gli scienziati: "Lo strato intermedio dell'oceano è particolarmente vulnerabile alla deossigenazione perché non è arricchito di ossigeno dall'atmosfera e dalla fotosintesi come lo strato superiore, e la maggior parte della decomposizione delle alghe - un processo che consuma ossigeno - si verifica in questo strato. Ecco perché le zone mesopelagiche, che vanno da una profondità di circa 200 metri a 1.000 metri, saranno le prime a perdere quantità significative di ossigeno in entrambi i loro modelli climatici con diversi tassi di emissioni di carbonio nei prossimi decenni”.

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    La scoperta è preoccupante perché "questa zona è in realtà molto importante per noi, in quanto molti pesci commerciali vivono lì. La deossigenazione colpisce anche altre risorse marine, ma la pesca è forse più legata alla nostra vita quotidiana", spiega Yuntao Zhou, oceanografo della Shanghai Jiao Tong University, autrice principale dello studio.

    Il team ha anche scoperto che le parti degli oceani più vicine ai poli, come il Pacifico occidentale e settentrionale, nonché i mari meridionali, sono particolarmente vulnerabili alla deossigenazione, anche se la ragione di ciò dovrà essere ulteriormente esaminata.
    Nel frattempo, le zone minime di ossigeno tropicale, che sono aree con livelli già bassi di ossigeno disciolto, sembrano diffondersi. "Le zone di minimo ossigeno si stanno effettivamente diffondendo in aree ad alta latitudine, sia a nord che a sud", afferma infatti Zhou.

    L'animazione illustra la formazione schematica di una zona minima di ossigeno (qui mostrata in magenta) ai confini continentali orientali ai tropici. Nelle aree di risalita degli oceani, un'interazione tra fenomeni fisici e biologici causa carenza di ossigeno. Qui, l'acqua profonda ricca di sostanze nutritive raggiunge la superficie, dove l'abbondanza di nutrienti e plancton porta ad un elevato consumo di ossigeno nelle zone più profonde. Lì si verificano solo correnti deboli, che trasportano acqua relativamente povera di ossigeno. Ciò ha portato a grandi zone minime di ossigeno.

    È ovvio per tutti che gli esseri umani non possono respirare sott'acqua senza aiuti. Tuttavia, è meno noto che la respirazione può anche diventare un problema per la vita marina: in alcune regioni, l'ossigeno è naturalmente presente in concentrazioni molto piccole nel mare e ciò ha un impatto significativo sulle condizioni di vita in queste regioni. Non si tratta di piccoli angoli nascosti degli oceani, ma di aree considerevoli dell'oceano mondiale: le cosiddette zone di minimo di ossigeno si estendono su vaste aree dei mari tropicali.


    "Anche se il riscaldamento globale dovesse invertirsi, consentendo alle concentrazioni di ossigeno disciolto di aumentare, appare difficile pensare che possa ritornare ai livelli preindustriali", affermano gli scienziati; ed è importante sottolineare che i nuovi risultati evidenziano l'urgente necessità di politiche efficaci di mitigazione del clima.

    L'aumento della temperatura degli oceani accelera inoltre il metabolismo degli organismi e innalza la loro richiesta di ossigeno. "L'umanità sta attualmente cambiando lo stato metabolico del più grande ecosistema del pianeta, con conseguenze davvero sconosciute per gli ecosistemi marini. Ciò può manifestarsi in impatti significativi sulla capacità dell'oceano di sostenere importanti attività di pesca", sottolinea Matthew Long, oceanografo del "National Center for Atmospheric Research" che non è stato coinvolto nella ricerca".

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    Edited by Filippo Foti - 11/2/2022, 09:11
  15. .

    L'intensità con cui i super pescherecci pescano in tutti i mari ed oceani non è compatibile con la sicurezza alimentare e il benessere umano.


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    Sofocle, antico drammaturgo greco.


    Lo sterminio di circa 100.000 pesci al largo delle coste francesi, accende l'indignazione in tutto il mondo per i super pescherecci di alcune aziende leader nella pesca e nella lavorazione delle risorse ittiche che, in barba al rispetto dell'ecosistema marino, fanno proclami di gestire in modo sostenibile il loro pescato. Queste fabbriche ittiche galleggianti possono elaborare ogni giorno pesci della stessa specie e dimensione equivalenti a centinaia di tonnellate, esercitando un'enorme pressione sulle popolazioni ittiche che riducono la capacità di potersi riprendere. Non solo, con un impatto micidiale sui predatori del mare, come i delfini e squali, i cosiddetti dis - umani, non smettendo mai di sorprendere, fondamentalmente li stanno portando alla fame. Il flagello degli oceani, ovvero l'Annelies Ilena ex Atlantic Dawn, di proprietà olandese, è solo una delle tante navi di questo tipo che devastano gli oceani del mondo. Ma c'è di più, il 26 luglio del '21, l'Atlantic Dawn Group con sede a Killybegs, un centro portuale molto importante del Donegal in Irlanda, ha accolto nella flotta peschereccia locale il suo nuovo peschereccio pelagico/coregone di 27 metri, ELLA G.233 sotto nella foto.

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    Lo skipper del super peschereccio Annelies Ilena, sopra in piccolo nella foto, avvicinato da una pattuglia congiunta del servizio navale e dell'Agenzia per la protezione della pesca marittima il 22 novembre 2013, è stato poi condannato per violazione delle norme di pesca dell'UE dal tribunale irlandese del Donegal.

    Secondo "Food and Agriculture Organization - (FAO)" - (l'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura) del Bollettino delle statistiche della flotta peschereccia delle Nazioni Unite, nel mondo, ci sono circa 38.400 pescherecci da traino con un dislocamento di 100 tonnellate o superiore che usano reti lunghe oltre un chilometro che si trascinano sui fondali. Sebbene l'Atlantic Dawn sia un grande peschereccio, non è il più grande che cattura pesci in modo smodato, è la nave officina Lafayette registrata in Russia, che "gode" questo primato. Questa nave ha il compito di aiutare i pescherecci, preda dell'ingordigia umana, a lavorare le loro merci catturate nell'Oceano Pacifico meridionale. Nota come ex fornitore per la specie del "pollock dell'Alaska", il pescato viene utilizzato negli hamburger del McDonalds.

    Il gruppo ambientalista francese Sea Shepherd ha filmato con riprese aeree, giovedì scorso 3 febbraio, il pesce che ha coperto una superficie di circa tremila metri quadrati. Nell'immediatezza del deprecabile evento, il ministro della pesca Anna Girardin ha dichiarato che sta indagando su ciò che è successo al largo di La Rochelle, nella Francia occidentale e che hanno sconvolto il commissario europeo per l'ambiente oceani e pesca Virginijus Sinkevičius.

    Il Golfo di Biscaglia ricoperto da carcasse di melù, una sottospecie di merluzzo, nel video diffuso dal gruppo ambientalista Sea Shepherd.


    Sebbene il gruppo industriale che rappresenta l'armatore della nave lo ha segnalato come un "incidente di pesca" - a loro dire sarebbe stato causato dalla una rottura delle reti - gli ambientalisti hanno affermato che sembrava che il pesce fosse stato scaricato nel tentativo degli operatori della nave di nascondere un tipo di cattura che non voleva elaborare, una pratica vietata dalle norme dell'UE. Il ministro della Marina francese Annick Girardin e il commissario europeo Virginijus Sinkevičius, hanno chiesto un'indagine esaustiva.

    Gli attivisti di Sea Shepherd France, tuttavia, hanno contestato ciò che la "Pelagic Freezer-Trawler Association" (l'Associazione Europea dei pescherecci da traino congelatori), si è limitata a definire un "evento molto raro" e che sono stati "rilasciati involontariamente in mare" a causa di uno strappo nella rete del peschereccio. "Un incidente del genere, ha affermato l'associazione, è un evento raro e, in questo caso, è stato causato dalle dimensioni inaspettatamente grandi del pesce catturato ed ha adattato le sue operazioni per affrontare le quantità eccezionali del pesce che attualmente insiste nella zona interessata".
    "Sea Shepherd, tuttavia, si è chiesto se si è veramente trattato di un incidente o invece di una discarica intenzionale di pesci indesiderati. Il gruppo chiede una maggiore sorveglianza dei mari e, in particolare, dei grandi pescherecci da traino industriali, per proteggere la vita marina e gli oceani. Sotto, sulla mappa, la zona evidenziata in blu, dove prevalentemente si pesca il merluzzetto.

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    Il presidente Lamya Essemlali di origine marocchina, di Sea Shepherd France coordinatrice della campagna per Sea Shepherd Global, ha dichiarato: "La tentazione è grande per queste navi in ​​mare senza alcun controllo del loro operato, di buttare fuori bordo tutte le catture accessorie - pesci che non intendono catturare - rimanere nella zona e intrattenersi sulla pesca più redditizia. C'è una totale impunità in mare. Non ci sono multe. Ci sono molti soldi da fare e dobbiamo migliorare i controlli in mare, dobbiamo fare installare telecamere a bordo di tutti i pescherecci".
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    UNION ALLIANCE & SEA SHEPHERD

    Una generosa donazione a Sea Shepherd da parte di Age of Union Alliance, un'iniziativa ambientale orientata all'azione che sta lavorando sul campo per proteggere le specie e gli ecosistemi minacciati del pianeta, consolida gli sforzi di per proteggere la biodiversità marina di tutto il mondo. Guidata dal leader della tecnologia ed attivista ambientale Dax Dasilva, ha garantito 4,5 milioni di dollari per sostenere gli sforzi di Sea Shepherd per combattere in tutto il mondo la pesca illegale, non regolamentata e non segnalata. Questa donazione rivoluzionaria finanzierà tre anni di costi operativi per una delle navi più iconiche di Sea Shepherd: la nave da ricerca e rilevamento da 55 metri precedentemente nominata Sam Simon intraprenderà le sue prossime missioni con un nuovo nome: Age of Union.

    Sea Shepherd è orgogliosa di ricevere il supporto della Age of Union. Grazie alla loro passione e al loro supporto, espanderanno le loro operazioni, salveranno più vite marine, proteggeranno gli habitat marini compromessi che sono cruciali per la sopravvivenza di flora e fauna marina. ""Fianco a fianco, rimarremo saldi nella nostra lotta contro i bracconieri, nell’ottica più ampia di salvare il nostro meraviglioso mondo marino. Per onorare la collaborazione con Age of Union, porteremo con orgoglio il loro nome su una delle nostre navi ammiraglie” ha dichiarato Alex Cornelissen, amministratore delegato di Sea Shepherd.

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