Profumo di mare: Terra, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità, transizione ecologica

Posts written by Filippo Foti

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    L'Emilia-Romagna, devastata dalle inondazioni. I residenti ricorderanno a lungo la notte del 16 maggio. Messo in discussione l'uso del suolo.


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    Dopo le prime notizie catastrofiche che hanno registrato oltre 36.600 persone che hanno dovuto lasciare la propria casa in seguito all’alluvione in Emilia Romagna, al momento, scendono a 23.081 le persone evacuate, mentre sono 2.663 che sono ospitate nelle strutture d’accoglienza come il centro messo a disposizione dalla Diocesi e Caritas, sotto nella foto, a Senigallia.

    Secondo un comunicato emesso oggi 23 maggio dall’Agenzia per la sicurezza territoriale e la protezione civile della regione Emilia-Romagna, è prevista “allerta rossa mercoledì 24 maggio per criticità idraulica (piene dei fiumi), allerta arancione per frane e piene dei corsi minori e allerta gialla per temporali, più probabili dal pomeriggio”.

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    Il comunicato prosegue “Dal pomeriggio di mercoledì 24 maggio, sono previste condizioni favorevoli allo sviluppo di temporali anche forti, più probabili sulle zone di pianura, con possibili effetti e danni associati, che potrebbero generare modesti innalzamenti dei livelli idrometrici nei tratti montani dei corsi d'acqua, critici per le zone ancora interessate da dissesti idraulici causati dalle piene precedenti. Permarranno condizioni di criticità idraulica Rossa nella pianura bolognese, ravennate e forlivese, per la difficoltà di smaltimento delle acque esondate dai corsi d'acqua, che gravano sul reticolo secondario e di bonifica".

    E, mentre attivisti per il cambiamento climatico hanno sporcato di nero la Fontana di Trevi e quant’altro, per protestare contro il sostegno del governo ai combustibili fossili, che secondo loro sono "la causa" delle inondazioni, "mamma rai" lunedì scorso in “La Vita in Diretta” ha proposto ai telespettatori, un disabile di nome Simone Baldini a Forlì, spalare fango per consentire agli abitanti di rientrare in casa. L’atleta di 42 anni, della Triathlon Duathlon S.G. Rimini originario di Roma, da ventitré vive a San Marino, è uno dei tanti “angeli del fango”.

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    Simone Baldini.


    Una cosa è certa: l'Italia non fermerà la distruzione causata da tali alluvioni con auto elettriche, parchi eolici e pompe di calore. Né, nel breve e medio termine, e forse mai, queste cose da sole impediranno il cambiamento climatico. Ciò di cui l'Italia ha bisogno sono adeguate difese contro le inondazioni.

    Molte delle zone costiere della Romagna, in particolare nel ravennate, sono delta fluviali e barene bonificate. La città fu l'ultima capitale dell'Impero Romano d'Occidente e i resti del porto, che un tempo ospitava la flotta romana, si trovano in un luogo che oggi dista sei miglia dal mare. La pioggia torrenziale – come dire sei mesi di precipitazioni in 36 ore, caduti fino a 500 mm di pioggia – ha stravolto gli argini di 21 fiumi della regione, quasi tutti romagnoli. Ha trasformato le strade in fiumi e ha lasciato città, paesi e villaggi sotto fino a due metri d'acqua.

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    Roberto Saviano, abbastanza criticato su Twitter, il 18 maggio scorso ha dichiarato, tra l’altro: “Negare il cambiamento climatico come fa questo governo, e abbassare il dibattito televisivo a chi è pro e chi è contro è un atto gravissimo di cui oggi migliaia di cittadini italiani, da Ischia all’Emilia - Romagna stanno pagando care le conseguenze. Ovviamente gli emiliani non sono sott'acqua perché il governo negherebbe il cambiamento climatico. In effetti, siccità prevalente e bombe d’acqua anomale sono state registrate anche a Senigallia e ad Ischia, Infatti è da circa 500 anni che vengono registrati questi eventi, quando non esistevano fabbriche o automobili”.

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    Gli scienziati hanno pubblicato più di 400 studi peer-reviewed che esaminano le condizioni meteorologiche estreme in tutto il mondo, dagli incendi negli Stati Uniti e le ondate di caldo in India e Pakistan ai tifoni in Asia e le precipitazioni da record nel Regno Unito. Il risultato è una prova crescente che l'attività umana sta aumentando il rischio di alcuni tipi di condizioni meteorologiche estreme, in particolare quelle legate al caldo.

    Per tenere traccia di come si stanno accumulando le prove su questo argomento in rapida evoluzione, Carbon Brief ha mappato, al meglio delle nostre conoscenze, ogni studio sull'attribuzione di condizioni meteorologiche estreme pubblicato fino ad oggi.

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    Screenshot Carbon Brief.


    Il 4 agosto 2022 Carbon Brief ha mappato: in che modo il cambiamento climatico influisce sulle condizioni meteorologiche estreme in tutto il mondo. Sopra la mappa relativa all’Europa.



    Gli scienziati hanno scoperto che il cambiamento climatico causati dall'uomo ha alterato la probabilità o la gravità di un evento meteorologico estremo nell'80% dei casi studiati (il 71% reso più grave o probabile e il 9% meno). E, uno studio del 2022 ha rilevato che la fioritura "estremamente precoce" del ciliegio a Kyoto nel marzo 2021 è stata resa "15 volte più probabile" dal cambiamento climatico che ha aumentato le probabilità almeno di tre volte dal 1950.

    I cambiamenti nell'uso/copertura del suolo, che sono comunemente associati all'urbanizzazione, possono essere causa di una cattiva gestione della notevole quantità di precipitazioni di un'area a rischio nel nord Italia, come la Pianura Padana. Le attività antropiche hanno causato un notevole effetto sulle portate dei fiumi e sulle loro morfologie poiché hanno un impatto sull'evapotraspirazione della vegetazione, delle superfici idriche e del suolo. Un aspetto importante del bilancio idrico di un bacino è il clima, andamento della temperatura e delle precipitazioni.

    Al momento, migliaia di volontari lavorano nel fango che si secca con qualche parvenza di sole e che potrebbe rappresentare un ulteriore ostacolo.

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    Nelle isole Kerkennah, un arcipelago sulla costa orientale della Tunisia, i 15.500 abitanti quasi tutti pescatori non rompono il fragile equilibrio tra uomo e natura praticando la charfia, un tipo di pesca sostenibile.


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    I tradizionali pescatori di charfia (o “charfiya”), una sorta di labirinto fisso costruito sul fondo del mare tradotto letteralmente come “stanza della morte” - costruito allineando migliaia di foglie di palma nel fondale piatto e sabbioso con profondità compresa tra 5 e 15 metri di profondità, a volte meno, nelle isole Kerkennah - stanno lottando per guadagnarsi da vivere poiché la pesca a strascico da parte di pescherecci illegali distrugge habitat marini vitali. Mercoledì 16 settembre 2020, la pesca con la charfia in queste isole - una tecnica di pesca tradizionale e sostenibile che sfrutta passivamente le condizioni idrografiche, il rilievo marino e le risorse naturali in mare e sulla terraferma - è stata classificata iscritta dall'Unesco, nella lista del patrimonio immateriale dell'umanità.

    La charfia circoscrive, grazie a pareti di palme incastrate, un campo triangolare. I pesci, spinti dalla bassa marea, si precipitano nelle camere di cattura e poi nelle reti o nelle trappole. Non possono più uscire a differenza di quelli catturati con reti a strascico che raschiano il fondale, i pesci rimangono vivi e a stomaco vuoto nelle trappole fino a quando non vengono sollevati. Secondo gli usi locali, la charfia viene installata e utilizzata tra l'equinozio d'autunno e il mese di giugno per permettere alla fauna marina di rigenerarsi. Ogni anno, la ricostruzione di questo dispositivo è associata a pratiche sociali, come condividere un pasto o pregare. È quindi un fattore di unità per gli abitanti dell'arcipelago. Questa pesca richiede un'ottima conoscenza della topografia sottomarina e delle correnti marine.

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    La maggior parte dei residenti di Kerkennah impara a pescare fin dalla tenera età dai 7-8 anni. È anche comune che un padre trasmetta questo tipo di pesca al figlio maggiore in modo che la famiglia ne mantenga la proprietà. I centri di formazione professionale forniscono anche l'apprendimento indiretto.

    La particolarità dell'isola di Kerkennah, è quella di essere l'unica eccezione al mondo che dia il diritto di possedere un pezzo del mare. Gli abitanti sono desiderosi di non perdere la loro proprietà marittima vendendo o dividendo l'eredità in modo che rimanga proprietà collettiva della famiglia e non si disintegri, indipendentemente dal numero di proprietari, e i marinai ritengono che preservare le trame marine delimitate dalle fronde di palma consente alla famiglia di ottenere maggiori ritorni finanziari dalla pesca.

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    L’IMPORTANZA DELLE PRATERIE DI POSIDONEA

    La Posidonia Oceanica è una specie di fanerogama marina (tra le piante più evolute del nostro pianeta – note anche come angiosperme marine, anche se spesso sono chiamate erroneamente “alghe”), endemica del Mar Mediterraneo. I suoi semi sono liberamente dispersi e sono conosciuti in Italia come “l'oliva di mare”. È una specie con una presenza particolarmente estesa nel Mediterraneo in generale e sulle coste greche in particolare.

    A Kerkennah le isole sono circondate da una delle praterie di posidonia più estese al mondo che offre un terreno fertile ideale per pesci, polpi e crostacei. La popolazione, 15.500 abitanti, è impiegata nell'industria della pesca, ha imparato a trarre vantaggio dalle risorse del mare, ma questo equilibrio è fragile data la minaccia per l'arcipelago causata dal cambiamento climatico e l'innalzamento delle acque un giorno potrebbero inghiottire queste isole basse.

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    Le praterie di posidonia si trovano intorno a queste isole situate al largo della costa sud-orientale della Tunisia nel Golfo di Gabès – uno dei più importanti vivai di vita marina nel Mar Mediterraneo – sono però sotto assedio dalla pesca illegale. Questa pratica non è solo distruttiva per la natura ma anche per le comunità costiere. Provocando l'erosione costiera, abbassando la qualità dell'acqua e derubando i pescatori di mezzi di sussistenza insostituibili, mina la capacità di comunità già altamente vulnerabile di adattarsi al cambiamento climatico. Il Mar Mediterraneo, che è già pesantemente colpito dalla pesca eccessiva, dal degrado degli habitat, dall'inquinamento, dalle specie aliene invasive, non è immune dagli impatti della pesca a strascico.

    LA PESCA A STRASCICO "KISS" NEL MEDITERRANEO ENTRA IN EUROPA

    Nonostante i progressi compiuti nella creazione di aree protette e altri tipi di chiusure territoriali in cui non dovrebbe essere praticata la pesca a strascico, questa pratica estremamente distruttiva continua anche dove è considerata illegale. L'Atlante online della Med Sea Alliance, che mappa le infrazioni presunte e confermate della pesca a strascico nelle aree in cui è permanentemente vietata per proteggere gli habitat sensibili e gli stock ittici impoveriti lanciato di recente nel 2020, ha registrato prove di casi potenziali e confermati di pesca a strascico nelle aree vietate in tutto il Mediterraneo. Questa pratica conosciuta localmente come “kiss”, in arabo significa “sacco”, che è proliferata nell'ultimo decennio, sta causando la distruzione degli ecosistemi marini e la perdita di mezzi di sussistenza per i pescatori locali.

    Un solo passaggio di questa pesca sul fondo del mare distrugge tutto. Si stima che ci vogliano dai 7,5 ai 15 anni per riprendere lo stato naturale. Il danno a questa vasta zona di riproduzione di alghe non ha solo un impatto sulla vita marina locale, ma ha implicazioni globali. L'erba marina cattura il carbonio fino a 35 volte più velocemente delle foreste pluviali tropicali e, anche se copre solo lo 0,2% del fondale marino, assorbe ogni anno il dieci percento del carbonio dell'oceano, rendendolo uno strumento incredibile nella lotta contro il cambiamento climatico. Le praterie tunisine sono tra le più grandi conosciute e coprono più di 10.000 chilometri quadrati. È stato valutato che circa il 40% della pesca tunisina venga praticata in zone di fanerogame, sempre più spesso con reti a strascico illegali.

    Secondo diverse fonti, la Guardia Costiera Nazionale tunisina è ben consapevole del problema, ma la corruzione è diffusa e, in alcuni casi, gli agenti della Guardia Costiera sarebbero direttamente coinvolti nel commercio illegale di pesce. Le autorità della pesca, che fanno parte del locale Ministero dell'Ambiente, spesso non dispongono delle attrezzature e del personale per far rispettare la legge. La Guardia Costiera deve affrontare altre questioni, come la migrazione verso l'Italia attraverso il Mediterraneo.

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    Poiché la maggior parte del pesce pescato in Tunisia viene esportato, dovrebbe spettare a quei paesi aiutare a regolamentare questo commercio. Circa l'80% si dirige verso l'UE, ma non sono in pochi ad avere atteggiamenti diversi nei confronti dell'applicazione delle norme esistenti. Nel novembre scorso, la EU IUU Coalition, un gruppo di ONG ambientali che comprende la Environmental Justice Foundation , Oceana , la Nature Conservancy, i Pew Charitable Trusts e il WWF, ha pubblicato un rapporto intitolato “Water-tight?”, in cui si rende noto che ciò consente importazioni illegali entrare nell'UE a causa dell'applicazione lassista in alcuni paesi. Sono poche le frontiere rimaste sul nostro pianeta. Forse i più selvaggi e meno compresi sono gli oceani del mondo. Troppo grandi e senza una chiara autorità internazionale, queste immense regioni di acqua purtroppo ospitano criminalità e sfruttamento dilaganti.

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    Ad esempio, l'Italia, uno dei maggiori importatori dell'UE in termini di volume, avrebbe ricevuto più di 96.000 certificati di cattura per importare prodotti ittici da paesi terzi, tra cui la Tunisia, durante il periodo di riferimento 2018-19. Tuttavia, non è stata contestata una sola spedizione. In confronto, nello stesso periodo, il Regno Unito avrebbe ricevuto 54.278 certificati di cattura da paesi extra UE e ha inviato 43 richieste di verifica su documentazione sospetta.

    Nel Regno Unito occorre dimostrare che il pescato è legale e sicuro per il consumo quando si importa pesce. Ma come, quando e perché è necessario un certificato di cattura INN? Un certificato di cattura è un documento che viene fornito alle autorità sanitarie per confermare che la spedizione è legale e sicura da importare. Nel Regno Unito, durante l'importazione, deve essere presentato al “Department for Environment, Food, and Rural Affairs - (DEFRA)" (Dipartimento per l'ambiente, l'alimentazione e gli affari rurali).

    Il motivo per cui l'industria è strettamente regolamentata è perché la pesca illegale ha un effetto devastante sulle comunità, le economie e l'ambiente. Le comunità di pescatori fanno affidamento sul commercio per il reddito e la popolazione ittica deve essere controllata per sostenere i propri mezzi di sussistenza e la fonte di cibo. I certificati di cattura INN sono forniti dall'autorità che controlla l'area o la nave, garantendo che le quote non siano esaurite e che le navi dichiarino i valori corretti per le catture. Essi devono includere il nome della nave, bandiera e numero di licenza, data di cattura, il nome dell'autorità di convalida, descrizione della cattura: specie, codice merceologico, peso netto stimato, e tipo di lavorazione del pesce consentita a bordo.

    LA LOTTA ALLA PESCA (INN) ILLEGALE, NON DICHIARATA E NON REGOLAMENTATA, SI PUÒ E SI DEVE FARE!

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    Comunque, i pescherecci devono essere dotati di dispositivi elettronici, o "scatole blu", che fanno parte del sistema di monitoraggio dei pescherecci via satellite (VMS), uno strumento fondamentale per aiutare i gestori della pesca a conformarsi alle disposizioni di gestione, in particolare quando l'attività di pesca dev’essere limitata in determinate aree o zone. La scatola blu invia regolarmente dati sulla posizione della nave al “Fisheries Monitoring Centre (FMC)” (Centro di monitoraggio della pesca) che indica l'autorità o l'agenzia governativa di uno Stato di bandiera responsabile della gestione del VMS per i suoi pescherecci. Le navi sono inoltre dotate di trasmettitori GPS che tracciano la velocità e la posizione della nave. Il regolamento (CE) n. 1005/2008 e il regolamento sul controllo 1224, adottato nel 2009, hanno lo scopo di garantire che solo i prodotti ittici catturati legalmente da stock sani e gestiti in modo sostenibile raggiungano il mercato unico. Il trasbordo è tipico della pesca INN. I paesi extra UE che non fanno abbastanza per prevenire e scoraggiare la pesca illegale possono essere spinti a fare miglioramenti emettendo loro un ammonimento formale con decisione e introducendo rapidamente misure efficaci. Purtroppo sono pochissimi i paesi che possono permettersi strutture di controllo della pesca efficaci.

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    La pesca INN si verifica ovunque, dalle acque costiere o interne poco profonde fino ai tratti più remoti dell'oceano. Colpisce in particolare le nazioni del sud del mondo dove la gestione della pesca può essere poco sviluppata o dove ci sono risorse limitate per sorvegliare le loro acque o far rispettare le normative. Si stima che l'Africa occidentale e il Pacifico centro-occidentale abbiano i più alti tassi di pesca illegale, seguiti dal Mare di Bering e dall'Atlantico sud-occidentale. Anche nel Mediterraneo, nel Mar Nero e – (se cambia il colore … ) - il Mar Rosso) - non c’è pace ovunque per i pesci e pescatori!

    ACCORDO SUI SUSSIDI ALLA PESCA: PROBLEMI E POSSIBILI SOLUZIONI

    I sussidi dannosi che i governi versano agli operatori della pesca commerciale sono uno dei fattori chiave della pesca eccessiva e, sebbene l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) ha adottato al culmine di oltre 20 anni di negoziati, un tanto atteso accordo sui sussidi alla pesca il 17 giugno del 2022 al termine della sua 12a Conferenza ministeriale (MC12), l'accordo, che deve ancora essere accettato formalmente dai due terzi dei membri dell'OMC prima che possa entrare in vigore. Questi devono depositare i propri “strumenti di accettazione” presso l'OMC. I membri hanno inoltre concordato alla 12a Conferenza ministeriale a Ginevra il 17 giugno di proseguire i negoziati sulle questioni in sospeso, al fine di formulare raccomandazioni da parte della 13a conferenza ministeriale dell'organizzazione (MC13) la settimana del 26 febbraio 2024 a Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti ad Abu Dhabi per elaborare ulteriori disposizioni che rafforzerebbero ulteriormente le discipline dell'accordo e che rappresenterebbe una grande vittoria per tutti coloro i cui i mezzi di sussistenza dipendono dalla pesca.

    Questi dannosi sussidi finanziano, ad esempio, la costruzione di nuovi pescherecci o riducono il costo del carburante. Aumentano la capacità di pesca riducendo i costi, il che aumenta il rischio di pesca eccessiva, praticamente limitano la capacità di una gestione sostenibile delle attività. Molti di questi pescherecci provengono da paesi ricchi ma pescano nelle acque dei paesi più poveri, trasferendo il rischio di pesca eccessiva su quelli che meno se lo possono permettere. Da studi recenti si stima che un terzo delle sovvenzioni fornite dalle più grandi nazioni di pesca sia destinato alla pesca nelle acque di altri paesi.

    GLI SDG DELLE NAZIONI UNITE

    Gli SDG delle Nazioni Unite, sottoscritti il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, sono stati istituiti per affrontare molti di questi problemi globali e raggiungere un futuro più sostenibile. Ma, alcuni studi precisano che i sussidi alla pesca renderebbero difficile, se non impossibile, raggiungere gli SDG sulla sostenibilità degli oceani, la povertà e la fame. Obiettivi probabilmente troppo ambiziosi già dalla pubblicazione. Questi gli obiettivi in sintesi:

    - Obiettivo 14: Vita sott’acqua. Conservare e utilizzare in modo sostenibile e durevole gli oceani, i mari e le risorse marine. Entro il 2025, prevenire e ridurre in modo significativo l’inquinamento marino di tutti i tipi. Entro il 2030, aumentare i benefici economici derivanti dall’uso sostenibile delle risorse marine per i piccoli Stati insulari e i paesi meno sviluppati;

    - Obiettivo 1: Porre fine a qualunque povertà nel mondo. Entro il 2030 ridurre almeno della metà la percentuale di uomini, donne e bambini di ogni età che vivono in povertà in tutte le sue forme in base alle definizioni nazionali. Costruire la resilienza dei poveri e di quelli in situazioni vulnerabili e ridurre la loro esposizione e vulnerabilità ad eventi estremi legati al clima e ad altri shock e disastri economici, sociali e ambientali;

    - Obiettivo 2: Porre fine alla fame, migliorare la nutrizione, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare l'alimentazione e promuovere l'agricoltura sostenibile. Entro il 2030 eliminare la fame e assicurare a tutte le persone, in particolare i poveri e le persone in situazioni vulnerabili, tra cui i bambini, l’accesso a un’alimentazione sicura, nutriente e sufficiente per tutto l’anno. Eliminare tutte le forme di malnutrizione, incluso il raggiungimento, entro il 2025, degli obiettivi concordati a livello internazionale sull’arresto della crescita e il deperimento dei bambini sotto i 5 anni di età. Raddoppiare la produttività agricola e il reddito dei produttori di alimenti su piccola scala, in particolare le donne, le popolazioni indigene, le famiglie di agricoltori, pastori e pescatori, anche attraverso l’accesso sicuro e giusto alla terra, ad altre risorse e stimoli produttivi. Garantire sistemi di produzione alimentare sostenibili e applicare pratiche agricole resilienti che aumentino la produttività e la produzione, che aiutino a conservare gli ecosistemi, che rafforzino la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, alle condizioni meteorologiche estreme, alla siccità, alle inondazioni e agli altri disastri, e che migliorino progressivamente il terreno e la qualità del suolo.

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    LE SOVVENZIONI DANNOSE ALLA PESCA PORTANO ALLA PESCA ECCESSIVA E A PRATICHE ILLEGALI

    I sussidi dannosi alla pesca danneggiano gli stock ittici, minano la sostenibilità economica dei piccoli produttori e mettono a repentaglio i mezzi di sussistenza e la sicurezza alimentare delle comunità costiere. Comunque c’è da sottolineare che alcuni sussidi incentrati sulla conservazione possono ancora essere vantaggiosi. Ad esempio, le sovvenzioni possono essere utilizzate per ripristinare gli stock impoveriti rilasciando pesci di allevamento o per finanziare l'adozione di metodi di pesca più favorevoli. Pertanto è fondamentale che i negoziati dell'OMC abbiano successo.

    Secondo uno studio dell'Università della British Columbia, i sussidi dannosi alla pesca stanno inducendo un numero maggiore di pescherecci a cacciare meno pesce, con conseguenti impatti negativi sull'ambiente e sulla società. Lo studio ha quantificato il numero di sussidi che sostengono la pesca in alto mare, acque interne ed estere e ha scoperto che tra il 20% e il 37% dei sussidi ha finanziato la pesca in acque al di fuori delle giurisdizioni della loro nazione d'origine.

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    "I sussidi dannosi spesso portano una flotta peschereccia a poter uscire a pescare anche se [la pesca] non è redditizia", afferma Anna Schuhbauer, autrice dello studio e ricercatrice post-dottorato presso l’Università della Columbia Britannica, Istituto per gli Oceani e la Pesca. “E queste navi possono andare dove vogliono – possono andare in altri paesi, in altre zone economiche. E quindi, eravamo davvero interessati all'impatto di questi sussidi sui paesi in cui queste barche effettivamente pescano", precisa Schuhbauer.

    Secondo lo studio, i sussidi provengono principalmente dalle nazioni sviluppate, ma danneggiano in modo sproporzionato le acque dei paesi in via di sviluppo. Le sovvenzioni possono incoraggiare altresì le capacità di pesca insostenibili, aumentando il rischio di sfruttamento denunciano gli scienziati. Sussidi dannosi possono incoraggiare capacità di pesca insostenibili, aumentando il rischio di sfruttamento,

    L'INTERVENTO DELL'OMC

    L'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) lo scorso anno ha parzialmente vietato le sovvenzioni alla pesca, ma solo per la pesca illegale e per la pesca di stock sovra sfruttati. I membri dell'OMC si incontreranno nuovamente nel febbraio 2025 per negoziare le parti dell'accordo che non sono state incluse, compreso il divieto di tutte le sovvenzioni dannose. Secondo i dati dell'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO), gli stock ittici rischiano di crollare in molte parti del mondo a causa dell'eccessivo sfruttamento. Si stima che, al momento, il 34% delle riserve mondiali sia sovra sfruttato rispetto al 10% nel 1974.

    RIFLESSIONE DI: DAVIDE MANCINI, SARA MANISERA E ARIANNA POLETTI
    Chi conosce il mare, come loro, (riferito ai pescatori di Kerkennah ndr) sa che il fragile equilibrio tra uomo e natura si è rotto: Ed è anche per questo, perché non c’è futuro su queste isole, che i nostri giovani partono”. Tratto da (IrpiMedia testata giornalistica non-profit online) “La zona grigia dello strascico: il pesce illegale del Mediterraneo nei supermercati europei”. Entrambi gli autori scrivono su “Journalism Fund Europe", una organizzazione senza scopo di lucro che si dedica alla promozione del giornalismo investigativo e indipendente in tutta Europa con sede a Bruxelles.

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    A volte le cose più importanti sono proprio davanti a noi. I soldi non comprano la felicità. Una grande lezione di vita da un pescatore delle Barbados.


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    I protagonisti della storia


    In un paesino delle Barbados, un'isola dei Caraibi orientali, un marinaio viveva con sua moglie e due figli, lo chiameremo con un nome di fantasia “Tommy”, che ogni mattina andava con la sua piccola barca a pescare catturando numerosi pesci riuscendo così a sfamare la sua famiglia.

    Lungo la strada di ritorno, aveva l’abitudine di bere un sorso di rum con gli amici nella vicina taverna ritrovo di cacciatori e marinai poco distante dal mare per poi tornare direttamente dai suoi cari. Questo era il suo rito quotidiano. Tommy, anche se non ricco, era contento e dava sostegno di tutto ciò che moglie e figli avevano bisogno per vivere.

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    Un giorno mentre l'uomo stava pescando, vide avvicinarsi un signore, lo chiameremo "Benny", che lo osservava. L'uomo gli disse: “Buon giorno signore possiedo una delle più grandi attività di pesca del paese. L’ho osservata tutto il pomeriggio e vorrei offrirle un lavoro”.

    Tommy scosse la testa, sorrise, e gli rispose: “Signore non mi interessa la sua offerta, non ho bisogno di niente di più di quello che ho adesso. Sono felice e contento come sono”.

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    Il potenziale benefattore Benny non credette alle sue orecchie e continuò ad incalzarlo dicendogli: “Ti lascerò la tua barca, così potrai pescare ancora più pesce, e io comprerò tutto il pesce da te”! Tommy si limitò a scuotere la testa e rifiutò di nuovo l'offerta. Rimase ancora più irritato Benny, in quanto pensò che nessuno avrebbe mai rifiutato un'offerta come questa. “Sei un idiota, gli disse, potresti diventare un uomo ricco senza lottare così come fai ora”!

    Tommy si voltò e rispose: “Ma signore, io non lotto. Ogni giorno riesco a passare del tempo con i miei figli. Giochiamo al tennis fuori sulla strada mentre mia moglie ci prepara la cena. Trascorro del tempo con i miei amici alla taverna, e la mia vita è fantastica”.

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    Ma puoi diventare qualcosa di più, gli rispose Benny sempre più irritato. Puoi andartene da questo stupido paese e, un giorno, forse potresti possedere la tua attività di pesca sempre più importante, e poi, quando sarai più grande, potrai abbandonare questo patetico luogo e bere lo stesso rum con i tuoi amici e giocare con i tuoi nipoti”.

    Tommy si voltò e gli rispose: “Signore, perché devo aspettare a quando sarò vecchio e grigio? Trascorro già del tempo con i miei figli e con i miei amici. Perché devo lavorare per lei a qualcosa che già ho? L’idiota sei tu signore, a volte le cose più importanti sono proprio vicine a noi. La felicità è ciò che viene dentro di noi e non dai beni che possono essere acquistati”.

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    Pausa musicale


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    Edited by Filippo Foti - 8/5/2023, 22:47
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    A pochi chilometri da Marsiglia, un impatto naturalistico e paesaggistico per la presenza di calette circondate da rocce nel Mar Mediterraneo con mare poco profondo e con la suggestiva presenza della balenottera comune.


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    Il Mar Mediterraneo è famoso per le sue acque temperate e cristalline e per la sua ricca biodiversità, con una fauna estremamente diversificata e piuttosto specifica per l'aspetto “chiuso” di questo mare e per le specie endemiche che vi si possono quindi osservare. Alcune delle specie più iconiche della regione includono cernie scure, barracuda, polpi, seppie, ma anche specie di grandi dimensioni come il delfino, la balenottera comune o il capodoglio e le tartarughe marine che si osservano frequentemente in alta stagione.

    Una delle peculiarità di questo mare, che possiamo definirlo come un grande lago salato, è rappresentato dalla profondità dell'acqua che si differenzia tra la costa e il mare aperto. La costa è spesso bassa e rocciosa, offrendo molti habitat per la fauna e la flora marina, i famosi "pesci di scoglio" ma anche praterie di Posidonia, l'oro verde del Mediterraneo. Infatti la si trova vicino alla costa e fino a circa 40 metri di profondità e funge da luogo di vita, fonte di cibo, riparo e vivaio per molti pesci.

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    LA BALENOTTERA COMUNE

    Nome scientifico Balaenoptera physalus della famiglia Balaenopteridae. Vive bene nel Mediterraneo occidentale, con la scoperta di quasi 3.000 individui, oggetto spesso di diversi censimenti. La balenottera comune è l'unica specie di balenottere frequenti nel Mediterraneo ed è il secondo animale del pianeta per dimensioni, dopo la balenottera azzurra.

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    La sua silhouette è sottile e allungata e può raggiungere gli 80 anni. Più di un migliaio di individui frequentano le acque profonde oltre 1000 metri nel Santuario Pelagos, soprattutto in estate quando abbondano i krill. Ogni anno si osservano piccoli parti, vicino alle coste della Provenza o della Corsica. In generale, le balene partoriscono dopo 11-12 mesi di gestazione. Il vitello appena nato misura una taglia rispettabile, circa un terzo della lunghezza della madre: così un cucciolo di balenottera comune è lungo circa 6 metri mentre la madre supera facilmente i 20 metri. A causa del rapporto che lega i volumi alle dimensioni, il vitello pesa solo 200-1500 kg alla nascita.

    La balenottera comune è uno degli anelli essenziali per garantire una biodiversità sana e sostenibile a tutta la fauna e la flora delle nostre coste. Questi grandi animali marini, che si trovano in cima alla catena alimentare, hanno bisogno di una scorta giornaliera di krill (Meganyctiphanes norvegica - piccoli gamberetti) che si aggira intorno a 2 tonnellate di cibo! Pertanto, la presenza di un predatore di queste dimensioni, che necessita di un tale approvvigionamento alimentare, dimostra una ricchezza e una bella produzione di biodiversità nel Mediterraneo. Secondo il WWF Italia oggi si stimano meno di 5.000 esemplari ed è considerata in pericolo di estinzione in quanto minacciata da sempre più crescenti attività antropiche.

    UN EVENTO RARO, MA NON TROPPO

    Il 20 aprile scorso, con una certa enfasi, dal sito ufficiale del Parco Nazionale delle Calanques è stato pubblicato un articolo sull’avvistamento di una balenottera cosiddetta “comune”. Ovviamente i responsabili di questa area paradisiaca non si sono fatta sfuggire l’occasione di fare pubblicità a così tanta incredibile bellezza.

    Durante una pattuglia in mare alla fine di marzo, si legge nell’annuncio, gli agenti del Parco Nazionale hanno osservato una balenottera comune che si muoveva molto vicino all'insenatura di En-Vau! L'osservazione di questo gigante dei mari, secondo mammifero più grande del mondo, così vicino alla costa è abbastanza rara. La balenottera comune è il secondo mammifero più grande del mondo, subito dopo la balenottera azzurra e possono raggiungere i 20 metri di lunghezza”.

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    Il mare, con poco traffico il 20 aprile scorso, prosegue l’articolo, ha permesso di osservare l'animale per quasi 90 minuti. La balenottera non sembrava stressata o disorientata, ed i suoi spostamenti in prossimità di diverse zone di divieto e del canyon sottomarino di Cassidaigne, al largo di Cassis e Port-Miou, nel cuore del Parco Nazionale delle Calanques, erano sicuramente legati alla ricerca di cibo. Quest'area protetta, ricca di risorse alimentari, ha sicuramente catturato l'interesse dell’animale”.

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    La balena fotografata si è trovata nella zona situata tra le insenature di Port Miou e Port Pin, una vecchia cava utilizzata per costruire edifici in particolare a Marsiglia; un materiale popolare da costruzione prima dell'arrivo del cemento. L'attività estrattiva di questa preziosa roccia iniziò nell'antichità, ma fu solo intorno al 1720 che assunse una dimensione industriale. Nella zona è possibile visitare una faglia nella roccia a livello dell'acqua con un diametro di circa 3 centimetri la “Trou du Souffleur” etichettata come “la Narice di Nettuno”. Le onde comprimono l'aria che fuoriesce dal foro a circa 20 metri dalla superficie producendo un rumore piuttosto insolito periodicamente circa ogni 30 secondi. L'origine di questo “schiaffo sonoro” che, sotto l'effetto di un forte moto ondoso, si può udire a 100 metri di distanza. Nel caso in cui si ha la possibilità di osservare i cetacei in mare, è bene tenere presente che gli avvicinamenti entro i 100 metri sono vietati per non disturbarli. Le norme di buona condotta per l'avvicinamento ai cetacei sono descritte sul sito del Santuario Pelagos.

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    Riassunto del soffio in gif.


    Lo "schiaffo sonoro".


    PARCO NAZIONALE DELLE CALANQUES: PROTEZIONE DEI MAMMIFERI MARINI

    Il Parco Nazionale delle Calanques, istituito nel 2012, è un'area marina protetta riconosciuta a livello mondiale, che copre terra e mare con più, per la parte in mare, di 141.200 ettari - di cui il 30% in zone di protezione rafforzata corrispondenti ai "cuori del parco" nazionale. Da quando il Parco Nazionale delle Calanques è stato istituito è salito alle stelle in popolarità. Al momento accoglie oltre 2 milioni di visitatori all'anno. Se combinato con l'aumento dell'inquinamento e del rischio di incendi, ciò rende l'incredibile biodiversità del parco più fragile che mai. È caratterizzato da paesaggi spettacolari ereditati da una storia geologica e plasmati da antiche attività umane, ospita una diversità di ecosistemi marini, un ricco patrimonio culturale e immateriale e vi si svolgono molti usi professionali e ricreativi. Questo territorio, contiguo a Marsiglia, una delle più grandi metropoli francesi, sta anche subendo pressioni antropiche e rischi ambientali in evoluzione.

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    I Calanchi sono una serie di scogliere rocciose e baie, o un tipo di insenature. Il terreno sale verso la costa per poi scendere dritto in acque turchesi. È proprio qui che gli avvistamenti di cetacei sono regolarmente segnalati durante tutto l'anno grazie all'area Pelagos, che inizia qui per la sua punta occidentale e che forma un triangolo a est, in Italia a Fosso Chiarone, per il tratto all'estremo sud della Corsica/Nord Sardegna. Questa zona di protezione e conservazione dei cetacei del Mediterraneo permette di tenere d'occhio e studiare gli stili di vita del delfino comune, della stenella striata o tursiope, del globicefalo ma anche del capodoglio o anche, ovviamente, della balenottera comune.

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    LA PROTEZIONE DEI GRANDI CETACEI NEL MEDITERRANEO

    Una delle soluzioni per mantenere la protezione dei grandi cetacei si basa sul perimetro del Santuario Pelagos, nelle immediate vicinanze del Parco Nazionale delle Calanques, un vasto spazio marittimo dedicato alla protezione dei mammiferi marini. Questa area marina protetta consente a questi animali migratori di beneficiare di una zona di protezione internazionale molto ampia (francese, italiana e anche per il Principato di Monaco), che comprende parti della costa ma anche e soprattutto parti dell'alto mare. In questa zona la balenottera comune può migrare a suo agio dai lembi continentali alla punta meridionale della Corsica e della Sardegna settentrionale. È sempre bene tenere presente che questi cetacei sono tanto più fragili nel Mediterraneo, essendo il mare quasi chiuso su sé stesso e dove i disturbi sugli ecosistemi possono assumere proporzioni amplificate rispetto agli altri mari e oceani del pianeta.

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    Purtroppo succede anche questo: Balena uccisa da nave a Portsmouth sulla costa inglese meridionale affacciata sulla Manica.


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    In atto, nell’oceano globale ci sono più di 500 'zone morte' che coprono circa 250.000 km quadrati in cui nessun organismo vivente può vivere. Secondo One Ocean Foundation e la biologa marina francese Francoise Gall, queste zone continueranno a proliferare se non si fa nulla per frenare il cambiamento climatico e limitare il riscaldamento globale ad un massimo di 1,5 o 2 gradi Celsius.


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    Le prime discese di Françoise Gaill nell'oceano profondo furono a bordo del sottomarino americano Alvin.



    Dall'aria che respiriamo, al cibo che mangiamo, ai vestiti che indossiamo, ogni giorno l'umanità fa affidamento sugli oceani coinvolti in ogni fase del percorso. Fornisce un sostentamento per i pescatori, un tragitto naturale per il nostro commercio ed un habitat per migliaia di specie preziose.

    Negli ultimi decenni, sono stati ingenti gli apporti antropogenici di nutrienti in eccesso - eutrofizzazione - in particolare composti dell’azoto e/o del fosforo, veicolati a mare dai fiumi o dagli insediamenti costieri e negli strati più bassi di acqua oceanica, dalle attività agricole e dalle acque reflue. Tutto ciò ha aumentato drasticamente la produzione della biomassa algale, con conseguente ipossia (carenza di ossigeno)/anossia (grave carenza di ossigeno) e inevitabili stati di sofferenza delle comunità bentoniche, morie di pesci e problemi sull’uso sostenibile di beni e servizi.

    In tutto il mondo ci sono ora più di 500 'zone morte' che coprono circa 250.000 km quadrati in cui nessun organismo vivente può vivere, e potrebbero esserci molte più zone morte che non sono ancora state scoperte. Una delle “zone morte” più significative si forma ogni anno nel Golfo del Messico. Minacciano gli animali vertebrati, con oltre un terzo dei mammiferi marini colpiti. Il fenomeno è in atto dagli anni '80 e sta proliferando, mentre la ricerca sull'argomento è in ritardo.

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    L’eutrofizzazione è uno degli 11 Descrittori della Strategia Marina dell’UE (Direttiva 2008/56/CE), per la quale l’Italia ha condotto una valutazione iniziale nel 2012 ai sensi dell’art. 8 (Strategie per L’ambiente Marino), della Direttiva stessa, aggiornato con Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 15 febbraio 2019. Si tratta esattamente del Descrittore 5 che riguarda “la riduzione al minimo dell’eutrofizzazione di origine umana, in particolare i suoi effetti negativi, come perdite di biodiversità, degrado dell’ecosistema, fioriture algali nocive e carenza di ossigeno nelle acque di fondo”.

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    In un ecosistema equilibrato (a sinistra) alcuni nutrienti alimentano la crescita di alghe microscopiche, che sono alla base della catena alimentare acquatica. In un ecosistema sbilanciato, com'è visibile nell'immagine sotto, (a destra), i nutrienti in eccesso causano la crescita di troppe alghe. Le alghe in eccesso muoiono, affondano sul fondo e vengono decomposte dai batteri, che consumano l'ossigeno presente nell'acqua.

    Secondo “One Ocean Foundation“ - un'iniziativa italiana di rilevanza internazionale - con l’obiettivo di accelerare la ricerca di soluzioni ai problemi dell’oceano ispirando leader internazionali, istituzioni, aziende e persone, promuovendo un'economia blu sostenibile e migliorando la conoscenza dell’oceano attraverso “Ocean Literacy” (l'alfabetizzazione oceanica) dell’Unesco - in un articolo apparso il 6 gennaio 2023, le "zone morte" degli oceani proliferano a causa del riscaldamento globale. Da ciò deriva appunto una diminuzione del livello di ossigeno che può essere molto pericolosa per i vertebrati marini che hanno bisogno di respirare, mettendoli a rischio di morte. Gli animali sedentari e lenti sono i più a rischio, poiché non possono migrare abbastanza velocemente verso aree con livelli di ossigeno più elevati.

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    La Terra è, e sarà, l'unico pianeta per l'umanità, proteggetela/proteggiamolo per le future generazioni!


    Il riscaldamento globale è pertanto una delle cause principali delle zone morte, poiché provoca l'aumento della temperatura dell'acqua e l'ossigeno non si scioglie correttamente nelle acque calde. L'aumento delle temperature causa anche l'arresto delle correnti marine, impedendo il rimescolamento e la riossigenazione di queste aree. Secondo “One Ocean Foundation“, limitando il riscaldamento globale a un massimo di 1,5 o 2 °C e riducendo le emissioni di gas serra si potrebbe arrestare l'aumento delle zone morte di queste aree per riportare la vita nei bacini costieri e marini anossici che si trovano tipicamente tra 100 e 1.000 m di profondità.

    "Limitare il riscaldamento globale ad un massimo di 1,5 o 2 °C", riducendo le emissioni di gas serra si potrebbe arrestare l'aumento delle zone morte", lo sostiene anche Francoise Gall, biologa marina francese e vicepresidente della Ocean & Climate Platform, che è anche consulente scientifico presso il "Centro Nazionale Francese per la Ricerca Scientifica" (CNRS).

    Françoise Gaill, definita dal (CNRS) "la voce degli oceani", in una recente intervista rilasciata l’8/12/2022 a ‘FRANCE 24’ un'emittente televisiva d'informazione francese con interviste e reportage in forma cartacea, ha così risposto a proposito del grave problema in cui si trovano i nostri oceani: le "zone morte".

    FRANCE 24: COS'È UNA ZONA MORTA?

    FRANCOISE GAILL: “Le zone morte sono aree ipossiche nell'oceano, dove la concentrazione di ossigeno è inferiore alla norma. Ciò può significare una diminuzione fino al 20 percento, che è già piuttosto significativa, ma può raggiungere anche un calo del 50 percento dei livelli di ossigeno. La mancanza di ossigeno si verifica nelle aree superficiali dell'oceano, tra i 50 ed i 400 metri di profondità. Le acque più basse sono generalmente meno colpite poiché hanno più contatto con l'aria e quindi beneficiano dell'ossigenazione, che è meno disponibile in acque profonde. Le zone morte si trovano principalmente al largo delle coste delle Americhe, dalla California al Cile. Anche l'Africa occidentale ne risente, così come la parte occidentale dell'Indonesia nell'Oceano Indiano. Anche se per lo più abbracciano le coste, stiamo iniziando a vedere alcune zone morte estendersi dalle Americhe al centro del Pacifico, lontano dalla costa”.

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    Zone morte nei mari europei.



    FRANCE 24: QUALI CONSEGUENZE HANNO QUESTE ZONE SULLA BIODIVERSITÀ DEL PIANETA?

    FRANÇOISE GAILL: “La mancanza di ossigeno nell'acqua provoca un cambiamento nell'ambiente, che naturalmente avrà un impatto sulla biodiversità marina. Quando i livelli di ossigeno si riducono, i pesci, che ne hanno bisogno per respirare, possono soffrire di ipossia e sono a rischio di morte. Se sopravvivono, migreranno verso aree con livelli di ossigeno più elevati, il che influisce sull'ecosistema in generale e mette a dura prova la biodiversità locale. Animali come granchi e molluschi, che non riescono a fuggire da queste aree così rapidamente, possono morire soffocati. Alcune zone morte sono state addirittura identificate dopo che sono stati trovati cumuli di carcasse morte sparse per le spiagge. Dunque, tutti gli animali hanno bisogno di ossigeno per vivere, e quindi tutti gli animali ne sono colpiti. Le piante lo sono meno, poiché dipendono meno dall'ossigeno”.



    FRANCE 24: COSA CAUSA LE ZONE MORTE?

    FRANÇOISE GAILL: “Le zone morte sono un fenomeno naturale, alcune zone sono meno ossigenate di altre a causa delle correnti oceaniche, ma normalmente è piuttosto raro imbattersi. Inizialmente abbiamo pensato che la proliferazione di queste zone fosse causata dall'attività umana in un processo chiamato eutrofizzazione, quando materia organica come prodotti agricoli o fertilizzanti entra in un corpo idrico, portando ad un aumento degli organismi planctonici. Gli organismi si moltiplicano fino ad esaurire l'ossigeno disponibile nell'ambiente. Ma negli ultimi 10 anni ci siamo resi conto che l'attività umana non è l'unica causa del calo dei livelli di ossigeno. Anche il riscaldamento globale ha un ruolo; c'è una correlazione. L'aumento del numero e dell'ampiezza delle zone morte va di pari passo con il cambiamento climatico. Sebbene le zone morte siano per lo più costiere, alcune ora si estendono in acque aperte, il che indica che il calo dei livelli di ossigeno non è dovuto solo al dilavamento agricolo. Il riscaldamento globale fa aumentare la temperatura dell'acqua e l'ossigeno non si dissolve altrettanto bene nell'acqua calda”.

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    FRANCE 24: LE "ZONE MORTE" RIMARRANNO MORTE PER SEMPRE?

    FRANÇOISE GAILL: “No, per niente. È un fenomeno dinamico. I livelli di ossigeno possono essere ripristinati dalle correnti sottomarine o da eventi meteorologici intensi come le tempeste.
    Le zone morte non sono quindi permanenti, ma c'è la probabilità che si formino nuovamente nello stesso punto a causa delle correnti locali. È anche possibile limitare l'impatto dell'attività umana riducendo la quantità di scarichi agricoli scaricati nelle acque. Ma la correlazione con il cambiamento climatico cambia le cose. Una conseguenza dell'innalzamento della temperatura dell'acqua di mare è che le correnti marine potrebbero essere bloccate, rendendo queste zone “stagne” e impedendo loro di mescolarsi e quindi riossigenarsi. Quindi le zone morte devono essere monitorate per il bene della biodiversità, dell'industria della pesca e persino dei turisti. Mentre è relativamente semplice ridurre la quantità di scarichi che vanno nei nostri oceani, ad esempio limitando i rifiuti agricoli, il riscaldamento globale non è così reversibile. Queste zone morte continueranno a proliferare se non si fa nulla per frenare il cambiamento climatico, che richiede di ridurre le emissioni di gas serra e limitare il riscaldamento globale a un massimo di 1,5 o 2 gradi Celsius
    ”. (Ciò è come sostiene sopra, “One Ocean Foundation“ ndr).

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    Circa 2,7 trilioni di pesci selvatici ogni anno vengono pescati in tutti i mari del mondo. Perché dovremmo preoccuparci di più del consumo quadruplicato negli ultimi 50 anni? Una grande quantità di dati scientifici dimostrano che i pesci sono capaci di provare dolore, stress e ansia.


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    I pesci sono gli animali marini più espressivi, eppure, sono visti poco più che cibo o animali domestici decorativi. Basti pensare al linguaggio che usiamo: i pesci sono comunemente descritti come “stock da raccogliere” e vendere a tonnellate.

    Oggi la maggior parte delle persone è orgogliosa di sostenere, ad esempio, la protezione di balene, delfini, pinguini e tartarughe. Anche gli squali stanno finalmente iniziando ad ottenere il rispetto e la protezione che meritano come importanti predatori apicali dopo secoli di demonizzazione e massacro a milioni. Ma la maggior parte dei pesci - e altre specie di fauna marina che chiamiamo collettivamente "frutti di mare" - finiscono ancora nei nostri piatti senza la minima considerazione di come sono arrivati lì o se consumarli del tutto.

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    "Ovviamente, questo è un linguaggio scelto con cura in modo che i potenziali consumatori non mettano in dubbio il modo in cui catturiamo i pesci e altre creature dai nostri oceani", ha scritto il CEO di “Sea Shepherd GlobalAlex Cornelissen in un suo commento sulla pesca sostenibile.

    Forse il motivo per cui raramente consideriamo il destino dei circa 2,7 trilioni di pesci selvatici che ogni anno vengono pescati è che semplicemente non sappiamo o non capiamo molto di loro e ciò che pensiamo di sapere è spesso obsoleto e/o non corretto. Ma questo modo di ragionare può cambiare man mano che le persone diventano più consapevoli di quanto i pesci siano realmente complessi e affascinanti e dell'importante ruolo che svolgono nel mantenere l'ecosistema dell'oceano.

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    Raccapricciante, è dire poco, l'uso di farina e olio di pesci catturati in natura per i mangimi dell'acquacoltura. Ciò contribuisce alla pesca eccessiva delle popolazioni selvatiche ed ha implicazioni sul loro benessere; soffrono immensamente dopo essere stati pescati. Una percentuale significativa morirà, schiacciata nelle reti sotto il peso di altri pesci, mentre quelli che sopravvivranno alla cattura e allo sbarco vengono lasciati morire tra mille sofferenze per asfissia o con l’immersione in delle vasche piene di ghiaccio. Ovvero vengono considerati come fossero già morti e – credo che lo avranno constatato in molti – mentre sono ancora vivi e agonizzanti, vengono legati per la coda con un filo fatto passare attraverso le branchie. Tutti comportamenti che sarebbero considerati inaccettabili se si trattasse di altri animali.

    Negli esseri umani e in quelli senzienti al “servizio” dell’uomo, il benessere e il dolore sono avvertiti in modi diversi. Ad esempio i cani possono abbaiare, avere una insolita aggressività, irrequietezza e tendenza a stare in disparte e possiamo sapere con una certa sicurezza se vogliono fare una passeggiata, chiedere cibo o sentirsi spaventati. I segnali sociali dei pesci sono molto più sottili, quindi non esiste un modo semplice per discernere come si sentono, ma possiamo imparare ad ascoltare i modi in cui fanno conoscere le loro emozioni.

    Valutare il benessere dei pesci è un compito difficile. Non sorridono, hanno "facce da poker" ovvero quella espressione facciale usata in genere dai professionisti di questo gioco per mascherare le proprie emozioni. Ciò rende difficile la nostra connessione emotiva con i pesci e aumenta il nostro scetticismo sulle loro reali capacità (e sulla loro reale sofferenza).

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    Inizialmente considerati animali semplicistici, rudimentali e primitivi, incapaci di qualsiasi sentimento, i pesci rappresentavano solo una sana fonte di proteine, sinonimo di cibo. Sono stati apportati cambiamenti nel settore per migliorare la loro crescita ma i più ignorano le condizioni in cui si è verificata questa crescita, incluso lo scarso benessere!

    Negli ultimi due decenni, di fronte a nuove prove, gli scienziati hanno riconosciuto che i pesci possono provare conoscenze sia positive che negative e che l'equilibrio tra le due è importante per il cosiddetto "fitness darwiniano", ovvero la capacità dell’individuo di essere adatto all’ambiente in cui vive e di potersi pertanto riprodurre con successo, nel trasmettere i suoi geni e, quindi, per il loro benessere. Il punto di vista del pesce è ora compreso, per la prima volta, dopo l'affermazione di Charles Darwin secondo il quale le differenze tra le specie sono di grado e non di genere, comprese le emozioni. È ragionevole pertanto aspettarci di incontrare tratti che immaginavamo essere esclusivamente umani anche negli altri animali.

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    IL FITNESS DARWINIANO

    Darwin ha introdotto l'idea che gli animali provano emozioni analoghe alla paura umana a vari livelli. Gli stati emotivi sono spesso associati alla psicologia umana, e pur se le emozioni nei pesci forse non sono così complesse e consapevoli come negli umani, Charles Darwin, quando nel 1872 pubblicò "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali", suggerì che la valutazione del comportamento degli animali è l'interpretazione dei loro stati emotivi riguardo a un evento o condizione specifica. Conclusione questa che sembrò in un primo momento sorprendente.

    Dal punto di vista fisiologico, e anche cognitivo-comportamentale, i pesci sono notevolmente simili ad altri vertebrati. Pertanto, lo studio delle emozioni nei pesci fornisce informazioni sull'evoluzione della sensibilità per un animale vertebrato "più semplice", è che evolutivamente è distante dagli umani. Questo è un punto di svolta critico per il benessere dei pesci e potrebbe e dovrebbe contribuire all'estensione delle considerazioni sul benessere che attualmente concediamo agli altri vertebrati.

    Ogni giorno, la ricerca svela il mistero riguardante le vere capacità dei pesci e la loro sfida agli stereotipi acquatici. Ad esempio, si è a conoscenza che i pesci possono "sentire" attraverso rocce o su altri pesci e ostacoli semplicemente nuotando?
    Ad esempio, i pesci ciechi delle caverne messicane (Pesce caverna cieco o Tetra messicana (Astyanax fasciatus), habitat Texas messicano e America centrale, un piccolo pesce d'acqua dolce appartenente alla famiglia Characidae. Percepiscono la presenza di oggetti vicini in base ai cambiamenti nel flusso d'acqua attorno al loro corpo.

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    La maggior parte dei pesci cartilaginei e oltre 300 pesci ossei sono dotati di elettrorecettori, spesso usati per catturare le prede, che rilevano i campi elettrici generati dalla preda quando rilevano prede e predatori. Ciò consente loro, come accennato, non solo di individuare un muro, ma anche di percepire cosa c'è dietro. I pesci hanno un'abilità ai raggi X che gli umani possono solo sognare. Quindi, alla domanda: i pesci hanno sentimenti coscienti di cui sono consapevoli? La sua risposta è fondamentale per il benessere in un modo che influenzerebbe il nostro legame emotivo con loro, e il lavoro per la regolamentazione del benessere dei pesci può essere esteso in modo significativo attraverso prove scientifiche quotidiane.

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    Ma vediamo alcuni esempi: molti studi hanno dimostrato che i pesci hanno un'esperienza qualitativa del mondo, possono imparare e ricordare, possono prevedere eventi in arrivo, hanno il senso del tempo, possono "disegnare" mappe mentali del loro ambiente e associare tempo e luogo. Possono interagire e riconoscere i membri del loro gruppo e imparare da loro. Come i primati, rimodernano l'uso dei loro strumenti sensoriali che possiamo considerarli come il “tatto” per gli esseri umani, ma di gran lunga più sensibili. Questi risultati rivelano che la capacità del pesce va ben oltre i semplici riflessi, indicando invece cambiamenti nello stato mentale.

    Ma possiamo dire che le emozioni stanno operando questi comportamenti? L'idea che i pesci manchino di sentimenti coscienti si basa in gran parte sul fatto che gli mancano le strutture neurali che controllano i sentimenti nei mammiferi. Ma non sarebbe come concludere che i pesci non possono respirare perché non hanno polmoni? Il cervello del pesce contiene delle strutture che gettano le basi per le impalcature più elaborate di altri vertebrati (come l'ippocampo, l'amigdala e le aree della corteccia), e sono anche notevolmente simili nell'organizzazione. Quindi, ancora una volta, possiamo affermare con sicurezza che le emozioni stanno operando questi comportamenti? La scienza dice di sì! I pesci non possono riportare l'esperienza soggettiva dei sentimenti, ma possono piuttosto riflettere gli stati emotivi.

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    Per molti scienziati che concordano con un approccio basato sui sentimenti, il mistero non è più se i pesci provano dolore, paura o pessimismo, ma indagano invece sulla questione di quali punti in comune sono condivisi dai pesci, comprese le emozioni, e su come utilizzare dette informazioni per migliorare la loro vita. Tuttavia, è prevalente confondere o oltrepassare la reale capacità cognitiva dei pesci (come facciamo per uccelli e rettili). È stato suggerito che i requisiti "computazionali" emotivi dei pesci siano più semplici di quanto precedentemente suggerito, come lo era per uccelli e rettili. Per i nostri occhi umani e la nostra mente complessa, questa semplicità può ingannare il nostro giudizio sulla reale condizione del pesce, sia essa fisica o psicologica.

    Secondo uno studio di ricercatori pubblicato su "Nature Scientific Reportes" il 13 ottobre 2017, la valutazione cognitiva degli stimoli ambientali induce stati emotivi nei pesci. Stigmatizzando che il verificarsi di emozioni negli animali non umani è stato al centro del dibattito nel corso degli anni, è emerso che i pesci hanno stati emotivi causati dal modo in cui percepiscono gli stimoli esterni. Lo studio rafforza risultati simili riguardanti la vita emotiva di altri animali e che le emozioni nei pesci teleostei, come l'anguilla, il grongo e la murena è particolarmente interessante. Infatti, poiché essi rappresentano una radiazione evolutiva divergente - ovvero il processo di variazione di un carattere, originariamente comune a diversi gruppi di organismi, un fenomeno di rapida diversificazione di nuove specie in più direzioni da quella dei tetrapodi - quindi forniscono una visione dell'evoluzione dei meccanismi biologici delle emozioni.

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    Come esseri umani, tendiamo a "umanizzare" tutto ciò che è connesso con le nostre capacità, come le emozioni, che gli esseri umani sperimentano come sentimenti. I pesci non possono riportare l'esperienza soggettiva dei sentimenti, ma possono invece riflettere stati emotivi. La valutazione degli stati emotivi nei pesci deve fare affidamento sul verificarsi di comportamenti specifici, codificati dai loro stati cerebrali e innescati dalla percezione di stimoli specifici e dal loro valore per l'individuo in quel momento. I pesci, come i mammiferi, cercano esperienze piacevoli e evitano quelle dolorose, distinguono tra stimoli positivi e negativi e, quando ne avranno l'opportunità, eviteranno esperienze dolorose e ne cercheranno di piacevoli.

    I PESCI POSSONO PROVARE DOLORE: GIÀ SCRITTO QUI.

    Se questa lettura è stata di tuo gradimento continua a seguirci qui troverai elencati tutti i miei post. Tra gli argomenti: il nostro pianeta, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità e tanto altro. Come si evince dalle nostre "Statistiche", con oltre 6.000 articoli e commenti!
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    Copyright © All Right Reserve. Questo articolo è protetto da Copyright © e non può essere riprodotto e diffuso tramite nessun mezzo elettronico o cartaceo senza esplicita autorizzazione da parte dell'Amministratore di profumodimare.forumfree.it

    Edited by Filippo Foti - 12/4/2023, 18:09
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    Ricercatori della Chalmers University of Technology, in Svezia, hanno sviluppato un metodo di ottimizzazione del design dell'elica che apre la strada ad un design aerodinamico per le eliche dei futuri aerei elettrici per la mitigazione del rumore e funzionante.


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    Airbus ha annunciato l’intenzione di testare un motore a reazione alimentato a idrogeno entro la metà del decennio.
    Il più grande produttore di aerei del mondo punta a rispettare la scadenza del 2035 per la consegna.


    Con la continua crescita del traffico aereo che vediamo al giorno d'oggi, si rende necessario un aumento dei requisiti necessari da soddisfare per certificare un aeromobile per l'esercizio. Queste normative più severe influiscono su aspetti come le emissioni di CO2, l'inquinamento acustico e così via, spingendo i produttori a puntare su design più leggeri, funzionanti e robusti. Questi miglioramenti potrebbero essere raggiunti in due modi diversi; migliorando/ottimizzando la tecnologia esistente o sviluppando nuovi concetti tecnologici.

    Si ritiene che l'elettrificazione abbia un ruolo importante da svolgere nell'aviazione senza combustibili fossili di domani. Ma l'aviazione elettrica sta combattendo con un dilemma: più un aereo elettrico è efficiente dal punto di vista energetico, più diventa rumoroso. Ora, i ricercatori della Chalmers University of Technology, in Svezia, hanno sviluppato un metodo di ottimizzazione del design dell'elica che apre la strada a un'aviazione elettrica silenziosa ed efficiente.

    Negli ultimi anni, l'elettrificazione è stata descritta come avente un ruolo importante nella riduzione delle emissioni del futuro trasporto aereo. A causa delle sfide poste dalle lunghe distanze, l'interesse si concentra principalmente sugli aerei ad elica elettrica che coprono distanze più brevi. Le eliche collegate ai motori elettrici sono considerate il sistema di propulsione più efficiente per i voli regionali e nazionali. Da sottolineare che i governi di varie nazioni stanno tentando di ridurre le conseguenze delle emissioni di gas effetto serra - circa un terzo del quale è appunto attribuibile ai trasporti - proprio con l’elettrificazione degli aeromobili.

    Il traffico regionale svanirà dai nostri cieli se non riusciremo ad abbassare i livelli di anidride carbonica. E non possiamo assolutamente abbassare l'anidride carbonica, mantenendo gli aerei nel cielo, senza propulsione elettrica. Il mio obiettivo è consegnare la propulsione elettrica alla prossima generazione per far continuare a sostenere l'aviazione su questo pianeta”, afferma il dott. Frank Anton, fondatore e capo di Siemens eAircraft, dal suo ufficio nel campus Siemens di Erlangen, in Germania. Questa è una prospettiva impegnativa per ha amato da sempre tutto ciò che ha le ali. Ma il Dr. Anton è ottimista riguardo al futuro del volo poiché lui e il suo team hanno già progettato, costruito e pilotato un sistema di propulsione ibrido-elettrico completamente funzionante.

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    Sun Flyer 2 primo volo con motore di propulsione elettrico Siemens.


    Infatti Anton ha volato nel 2015, senza fare molto clamore, pilotando un aereo acrobatico che è decollato da un aeroporto nel centro-nord della Germania alimentato, per la prima volta nella storia dell'aviazione, da un sistema di propulsione elettrica in questa classe di potenza e, da quel volo da record l'Electric Aircraft Team ha raggiunto un'altra pietra miliare: alimentare un aereo biposto più grande con lo stesso sistema.

    Quando il dottor Anton e i colleghi di Airbus hanno avviato il progetto, il mondo intero credeva ancora che il volo elettrico non avesse senso. “Entrambi, e tutti gli specialisti, abbiamo pensato che fosse impossibile". Ma quando il nuovo team di esperti di aviazione e ingegneri elettrici si è riunito per lavorare sul problema, hanno iniziato a credere, a poco a poco, che forse era più di un semplice sogno.

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    Dr. Frank Anton


    Oggi il volo decarbonizzato è più vicino alla realtà che mai, ed anche Airbus, la società costruttrice di aeromobili con sede a Blagnac in Francia, si impegna a sviluppare, costruire e testare sistemi di propulsione alternativi - alimentati da soluzioni elettriche, a idrogeno, solari e ibride che collegano più di una di queste fonti energetiche - per consentire all'industria aeronautica di ridurre le emissioni di CO2 degli aerei commerciali, elicotteri e futuri veicoli per la mobilità aerea urbana.

    DOVETAIL ELECTRIC AVIATION COMPLETA I PRIMI TEST A TERRA

    Dovetail Electric Aviation, una società con sede in Australia che converte gli aerei esistenti in veicoli elettrici a zero emissioni, ha annunciato il completamento con successo dei test iniziali a terra per un sistema di propulsione elettrica su piccola scala. La propulsione elettrica e ibrida-elettrica sta rapidamente rivoluzionando le tecnologie di mobilità in tutti i settori, da quello automobilistico a quello marittimo.
    I prossimi passi di Dovetail includeranno test a livello di sistema di vari sistemi di accumulo di energia e componenti di sistema puntando al primo volo di un aereo a batteria tra circa un anno, lavorando con la Sydney Seaplanes, un vettore di linea e charter a Sydney e dintorni ed è il più grande operatore di idrovolanti in Australia. Dovetail, che sta sviluppando trasmissioni per l’ammodernamento su velivoli leggeri e mirando all'aviazione regionale, ha fatto l'annuncio martedì 28 febbraio all'Avalon Air Show 2023 - la più grande esposizione internazionale dell'aviazione e dell'industria aerospaziale in Australia - al pubblico dal 3 al 5 marzo ’23, dove ha mostrato i primi risultati del suo sistema di propulsione elettrica su piccola scala. Dovetail sta preparando il suo primo propulsore completamente elettrico e prevede di far volare un Cessna Caravan, fornito appunto da Sydney Seaplanes, trasformato il prossimo anno, puntando alla certificazione 2025.

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    UN PROBLEMA DI COMPROMESSO

    Ma mentre gli aeroplani diventano elettrici, le eliche provocano un altro tipo di emissione: il rumore. Il fracasso delle pale dell'elica non disturberebbe solo i passeggeri aerei. I futuri aerei elettrici dovranno volare ad altitudini relativamente basse, con disturbi del rumore che raggiungono le aree residenziali e la vita animale. È qui che la comunità di ricerca si trova di fronte a un dilemma. L'ambizione di sviluppare velivoli elettrici silenziosi ed efficienti dal punto di vista energetico è in qualche modo vanificata da quello che abbiamo definito “un problema di compromesso”.

    "Possiamo vedere che più pale ha un'elica, minori sono le emissioni sonore. Ma con meno pale, la propulsione diventa più efficiente e l'aereo elettrico può volare più a lungo. In tal senso, c'è un compromesso tra efficienza energetica e rumore. Questo è un ostacolo per i velivoli elettrici che devono essere sia silenziosi che efficienti", spiega HuaDong Yao, professore associato e ricercatore di dinamica dei fluidi e tecnologia marina presso la Chalmers University of Technology. Uno dei suoi attuali interessi di ricerca si concentra appunto sul rumore degli aerei (dispositivi di sollevamento, carrello di atterraggio e il rumore dell'elica).

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    L'illustrazione sopra definisce alcuni termini utilizzati per descrivere la forma di un'elica. Il raggio (r) è la distanza dal centro alla punta. La lunghezza della corda (c) è la linea retta dell'elica a una data distanza lungo il raggio. A seconda del design dell'elica, la lunghezza della corda può essere costante lungo l'intero raggio oppure può variare lungo il raggio dell'elica. Un'altra variabile è l'angolo di torsione (β), che può variare anche lungo il raggio dell'elica.

    Ma ora, Hua-Dong Yao e i suoi colleghi potrebbero essere un passo avanti verso una soluzione del problema. Sono riusciti a isolare ed esplorare il rumore che si verifica sulla punta delle pale dell'elica. Nell'isolarlo, i ricercatori sono stati in grado di comprendere appieno il suo ruolo in relazione ad altre fonti di rumore generate dalle pale. Regolando una gamma di parametri dell'elica, come l'angolo di beccheggio, ovvero il movimento oscillatorio del velivolo intorno al proprio asse trasversale, (la lunghezza della corda in linea retta dell'elica ad una data distanza lungo il raggio) e il numero di pale, il team ha trovato un modo per ottimizzare il design dell'elica e uniformare l'effetto di compromesso tra efficienza e rumore.

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    Il metodo descritto nello studio, pubblicato sulla rivista sottoposta a revisione paritaria Aerospace ad accesso aperto di aeronautica e astronautica,
    può ora essere utilizzato nel processo di progettazione di eliche più silenziose per i futuri velivoli elettrici.


    "Le moderne eliche dei velivoli di solito hanno da due a quattro pale, ma abbiamo scoperto che utilizzando sei pale progettate utilizzando il nostro framework di ottimizzazione, è possibile sviluppare un'elica relativamente efficiente e silenziosa. L'elica raggiunge una riduzione del rumore fino a 5- 8 dBA con solo una penalità di spinta del 3,5 %, rispetto a un'elica con tre pale. È paragonabile alla riduzione del rumore di qualcuno che passa dal parlare con una normale voce di conversazione al suono che percepiresti in una stanza silenziosa", afferma Hua-Dong Yao.

    I decibel ponderati A (dBA, o dBa, o dB(a)) sono un tipo di scala di decibel utilizzata per misurare i livelli di pressione sonora. La differenza tra dBA e dBa è che il dBA, un'espressione del volume relativo dei suoni percepiti dall'orecchio umano è un livello di pressione sonora misurato in decibel sulla scala ponderata A, mentre il dBa è la stessa misura, ma in decibel ponderati A per metro quadro. La ponderazione A è lo standard per determinare i danni all'udito e l'inquinamento acustico.

    LE CRESCENTI PREOCCUPAZIONI AMBIENTALI ALIMENTANO ANCHE L'ESPANSIONE DEL MERCATO DEGLI AEREI ELETTRICI

    Carburante e benzina sono necessari in quantità significative per l'aeromobile. Ciò aumenta il costo di produzione di aeroplani per il settore dell'aviazione. Questo elemento sta spingendo l'adozione diffusa e l'accettazione dei velivoli elettrici. Inoltre, questo mercato è in espansione a causa della preferenza dei consumatori per i beni tecnologicamente avanzati e le crescenti preoccupazioni ambientali. Infatti, l'uso di aerei elettrici contribuisce a ridurre l'inquinamento, ciò porta a una riduzione degli impatti nocivi del riscaldamento globale ed appunto sono considerati opzioni di trasporto rispettose dell'ambiente. I progressi tecnologici nel settore dell'aviazione sono un altro elemento che stimola la crescita del mercato globale degli aerei elettrici e numerose tecnologie sono utilizzate nella produzione. Inoltre, alcuni velivoli elettrici sono utilizzati anche nell'industria della difesa e militare di tutto il mondo.

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    Nonostante continui ed interessati ritrovamenti, le profondità dell'oceano rimangono per lo più inesplorate.
    Nuove tecniche indispensabili per approfondire le conoscenze di “città sottomarine perdute” come Pavlopetri nel mar Mediterraneo e di relitti.


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    Lo studio dell'oceanografia riunisce diversi campi della scienza per indagare sugli oceani. Tuttavia, l'aumento della ricerca e dei progressi tecnologici, le profondità dell'oceano rimangono per lo più inesplorate. L'archeologia è lo studio della storia umana utilizzando i resti di reperti che aiutano a rivelare la cultura di un particolare popolo, comprese le loro economie, politiche, religioni, tecnologie e strutture sociali. L’archeologia subacquea, in particolare, studia manufatti e siti sommersi in laghi, fiumi e oceani e, mentre molti reperti archeologici terrestri sono già stati studiati, le profondità oceaniche contengono innumerevoli aree ancora da scoprire.

    Quando i popoli antichi iniziarono a sviluppare civiltà, o insediamenti urbani con modi di vita complessi, si formarono estese rotte commerciali soprattutto in tutto il Mediterraneo orientale e dell'Egeo che costituirono un importante crocevia di commerci e viaggi nel mondo antico. I Fenici, considerando la loro posizione furono tra i più attivi protagonisti. Fenicia era l’antica regione lungo la costa orientale del Mediterraneo che corrisponde al moderno Libano, con parti adiacenti della moderna Siria e Israele.

    Nell'Odissea di Omero, ad esempio, i Fenici sono descritti "abili marinai e commercianti intelligenti, ma anche, allo stesso tempo, potenzialmente ingannevoli", ha dichiarato Jonathan Prag, storico e condirettore dell'Oxford Centre for Phoenician and Punic Studies (Centro di studi fenicio-punico di Oxford).

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    Esplorando i relitti reperiti in queste regioni, i ricercatori apprendono di più sulle persone che vivevano lì nel corso della storia, fin dal 1000 a.C. quando cresceva la civiltà greca. In passato, ci sono stati pochissimi mezzi per aiutare l'umanità a raggiungere il fondo del mare a causa di varie difficoltà tecnologiche. Un modo per determinare il periodo storico da cui proveniva il naufragio è identificare gli artefatti chiave, ovvero l’osservazione per mezzo di veicoli subacquei senza equipaggio come i sottomarini autonomi, sonar e i veicoli telecomandati (ROV).

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    Un robot sottomarino esplora il sito di Yarabu al largo della costa occidentale dell'isola di Ishigaki a Okinawa.


    Nel mondo antico della regione mediterranea, uno di questi manufatti chiave è l'anfora, un vaso di argilla utilizzato per trasportare merci come olio d'oliva, grano, vino e altri prodotti come fichi, olive, pesce e carne. Visualizzando le riprese video catturate dai ROV, esperti archeologi osservano la loro forma e lo stile delle anfore per determinare approssimativamente dove e quando sono state utilizzate. La forma della base di un'anfora può variare da ben arrotondata a forma di botte conica. Il collo può apparire separato dalla base o come un pezzo continuo. I manici possono cadere verticalmente o essere più arrotondati. I timbri, i disegni, come le nervature, usati indicano diverse regioni e periodi di tempo da cui provengono i reperti e ciò che contenevano.

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    PAVLOPETRI, LA PIÙ ANTICA "CITTÀ PERDUTA" SOTTOMARINA NEL MAR MEDITERRANEO E UNA DELLE PIÙ ANTICHE DEL MONDO

    A partire dal gennaio 2021 ha avuto inizio la “Decade of Ocean Science for Sustainable Development (2021-2030” (il Decennio Oceanico delle Nazioni Unite) allo scopo di garantire che la scienza oceanica aiuti i paesi a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Brian Helmuth, professore di scienze marine e ambientali presso la Northeastern University, ha affermato che l'attenzione alla minaccia dell'innalzamento del livello del mare rende Pavlopetri (in greco: Παυλοπέτρι ) più rilevante oggi che mai. “È un fantastico esempio che indica che dobbiamo investire nell'esplorazione degli oceani. È un'incredibile finestra sul passato dell'umanità, quando oltre l'80 percento dell'oceano rimane un mistero per l'occhio umano e meno del 5 percento del fondo oceanico è stato mappato. Sarei scioccato se non ci fossero altri siti come Pavlopetri che restano da scoprire", ha affermato Helmuth.

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    Brian Helmuth e Sahana Simonetti, neolaureata in biologia marina, conducono ricerche sulle rive del campus di Nahant, Massachusetts (StatiUniti).


    La spinta a preservare siti come Pavlopetri, il nome dell'isoletta che sorge nei pressi della scoperta, evidenzia anche la natura effimera delle culture, dei modi di vivere e del valore di scoprire il passato per comprendere meglio il presente. Il suo nome, che letteralmente si tradurrebbe in "Pietra di Paolo", è direttamente correlato a San Pietro e San Paolo, i due più grandi apostoli e martiri cristiani, che viaggiarono in lungo e in largo diffondendo il cristianesimo durante il I° secolo d.C.

    La lunga storia di Pavlopetri, tuttavia, risale nell'antichità a quasi cinquemila anni fa, poiché si sapeva che la regione più ampia era stata abitata durante i primi anni della storia greca. Scoperta nel 1967 dall’archeologo marino Nicholas Flemming, questa antica città greca è oggi la più antica "città perduta" sottomarina nel Mar Mediterraneo e probabilmente del mondo. Il dottor Flemming ha mappato inoltre la città sottomarina di Apollonia in Libia in cui sono stati rinvenuti importanti resti archeologici che ci raccontano l'antica marineria e la ricchezza dell'antico commercio marittimo.

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    Dall'ottobre 2009 in poi, a Pavlopetri, si sono svolte alcune indagini in collaborazione con le istituzioni greche, ma anche con università e scienziati internazionali. Queste indagini includevano scavi e uno dei loro risultati fu dimostrare che la città era il centro di una fiorente industria tessile. Inoltre, nella zona sono state trovate molte grandi giare provenienti da Creta, il che dimostra che la città era anche un grande porto commerciale. A parere di molti studiosi si pensa che la città possa essere stata affondata da un terremoto avvenuto intorno al 1000 a.C. o tuttalpiù al 375 dopo Cristo.

    I NAUFRAGI, UNO SGUARDO MERAVIGLIOSO SULLE ANTICHE VESTIGIA DELL’UMANITÀ

    Secondo la Convenzione dell'UNESCO del 2001, il patrimonio subacqueo è definito come “tutte le tracce dell'esistenza umana di natura culturale, storica o archeologica che, per almeno 100 anni, sono state parzialmente o totalmente immerse, periodicamente o permanentemente, sotto gli oceani, laghi e fiumi”. Nel corso dei secoli sono stati scoperti in tutto il mondo una miriade di siti, grazie appunto ai miglioramenti tecnologici che, nel tempo, hanno ampliato le possibilità di ricerca.

    Decine di migliaia di relitti giacciono perduti e dimenticati sul fondo del mare, ma gli sforzi per individuarli ed esplorarli hanno visto grandi progressi. Secondo la worldatlas.com, un sito web di geografia educativa online dal 1996, uno studio stima che, probabilmente, sul fondo degli oceani giacciono almeno tre milioni di relitti. La cifra risale da quando gli umani iniziarono ad attraversare mari e laghi. I relitti più antichi includono piccoli barchini di 10.000 anni fa, mentre i più recenti sono relitti del 21° secolo. Una piccola frazione delle navi è nota e una parte ancora più piccola è stata esplorata. La battaglia dell'Atlantico, dal 1939 al 1945, durante la seconda guerra mondiale, bloccò circa 3.500 navi mercantili, 783 sottomarini e 175 navi da guerra. I naufragi sono davvero una grande perdita di beni materiali e di vite umane.

    Si pensava che la maggior parte delle navi affondate prima del XVIII e dell'inizio del XX secolo contenessero un carico prezioso. I galeoni spagnoli erano noti per trasportare gioielli e merci attraverso gli oceani, mentre il naufragio di Uluburun nella costa meridionale della Turchia, risalente a 3000 anni fa, ha rivelato una complessa rete commerciale antica durante la tarda età del bronzo. Conteneva gemme, oro, argento, spade e molti altri strumenti preziosi. Un tesoro internazionale di archeologia marina superbamente conservato.


    ALLA SCOPERTA DEI RELITTI DELL'OCEANO

    La National Oceanic and Atmospheric Administration, l'agenzia scientifica statunitense, (Amministrazione nazionale oceanica e atmosferica), afferma di riconoscere 4.300 naufragi nei suoi National Marine Sanctuaries. L'organizzazione mappa i relitti per evitare collisioni con altre navi o sottomarini. Si stima che tesori del valore di 60 miliardi di dollari giacciano sul fondo del mare in attesa di essere scoperti. Tuttavia, le operazioni di immersione sono costose, estenuanti e richiedono tempo. Alcune delle navi esplorate contenevano poco o nulla d’importante, mentre altre da cui si aspettava non contenessero nulla sono risultate contenenti molti tesori.

    Lo studio dei naufragi può aiutarci a comprendere il passato, collegarci al nostro patrimonio culturale e insegnarci lezioni su come l'ambiente e l'errore umano possono avere un impatto reciproco. I numerosi naufragi hanno fornito agli studiosi preziose informazioni sui dettagli delle guerre navali, delle tecniche di costruzione e della vita quotidiana, come ad esempio ciò che si svolgeva nella Svezia dell'inizio del XVII secolo. Citiamo il naufragio avvenuto nel Mar Baltico della nave da guerra svedese Vasa, che affondò nel 1628 poco dopo il suo viaggio inaugurale. Recuperata nel 1961, la nave rimane una delle attrazioni turistiche più popolari del Paese. Tra i tanti oggetti trovati c'erano vestiti, armi, cannoni, utensili, monete, posate, cibo, bevande e sei delle dieci vele.

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    Nave da guerra svedese Vasa.


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    Daniele Visioni ricercatore post-dottorato in fisica climatica, Cornell University, USA, intervistato venerdì 3 marzo 2023 a Radio 1 da Giancarlo Loquenzi giornalista e conduttore della trasmissione radiofonica “Zapping”.


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    In linea con i titoli del giorno dei telegiornali mandati in onda da “Mamma Rai”, da lunedì a venerdì dalle 19.30 alle 21.00, Giancarlo Loquenzi, noto conduttore di Radio 1 commenta, con illustri ospiti, i fatti del giorno. Il 3 marzo scorso Loquenzi e i suoi ospiti hanno affrontato diversi argomenti come la mancanza delle piogge, con la conseguente siccità che da febbraio si protrarrà probabilmente fino a marzo. Tra gli altri ospiti abbiamo avuto modo di ascoltare Daniele Visioni - ricercatore in climatologia presso la "Cornell University a National Centre for atmospheric Research"- commenti sul cambiamento climatico, mitigazione e geoingegneria climatica. Infatti la sua principale area di competenza è il comportamento degli aerosol stratosferici e come interagiscono con la chimica atmosferica e con il clima superficiale.

    Ecco una sintesi dell’intervista


    Giancarlo Loquenzi:

    “Le Nazioni Unite hanno in qualche modo incoraggiato la comunità scientifica internazionale a mettere l'attenzione su queste procedure cosiddette di geoingegneria per cercare di trovare una soluzione al riscaldamento globale e all’aumento delle temperature sul pianeta. Di che cosa stiamo parlando, cos'è la geoingegneria e che cosa vuol dire rimandare al mittente l'energia solare”.


    Daniele Visioni:

    “Sì, come hanno dichiarato le Nazioni Unite, si tratta di guardare al problema sotto molti punti di vista. La cosa fondamentale, la prima cosa che bisogna fare, è ridurre le emissioni e portarle a zero, perché più CO2 c'è nell'atmosfera più la Terra si riscalda".

    Ci sono molti ricercatori che guardano a tecniche per rimuovere l'anidride carbonica dall'atmosfera, ma sono tecnologie molto al di là da venire. Per esempio ci sono molti dubbi su quanto siano energivore. Ciò fa parte di una visione più completa e ci si chiede se c'è qualcosa che possiamo fare, sul breve periodo, per ridurre la temperatura mentre riduciamo le missioni e mentre troviamo più tecnologie per ridurre la temperatura e usare dei metodi simili a cose che già troviamo in natura. Ciò, potrebbe essere una parte di queste soluzioni.

    Quindi, per esempio, abbiamo osservato in passato che ci sono forti eruzioni vulcaniche come Pinatubo nelle Filippine nel 1991 che hanno rilasciato nell'alta atmosfera, nella stratosfera, tonnellate di anidride solforosa che poi nella stratosfera forma delle particelle di aerosol che riflettono una piccola porzione della radiazione solare. E, quindi, l'idea che già ebbe tra i primi Paul Crutzen - Premio Nobel per la chimica per la scoperta del buco nell'ozono - fu di chiedersi se potevamo replicare questo effetto naturale in modo artificiale portando dell'anidride solforosa in stratosfera dove non arriva, se non tramite i vulcani, per riflettere una piccola porzione di questa radiazione solare e quindi raffreddare il pianeta velocemente, mentre pensiamo a metodi già disponibili”.


    Giancarlo Loquenzi:

    “Quindi una tecnologia già disponibile, volendo, già si può fare"?


    Daniele Visioni:

    “No. Perché, innanzitutto, non ci sono così tanti aerei perché arrivino fino a quelle quote portando anche un carico abbastanza importante. Insomma, perché l'anidride solforosa viene prodotta in superficie tramite tantissimi processi sia naturali che artificiali e solo che vicino alla superficie reagisce subito, forma altre particelle e quindi viene rimossa dalle nubi tramite la pioggia. In stratosfera non c'è pioggia non ci sono nuvole e quindi queste particelle tendono a stare un anno o più ed è solo la gravità che in fondo le porta giù. Quindi il problema e portarle fino in su in modo che stiano un anno, insomma, oppure un certo periodo di tempo più grande di quello che avrebbero in superficie e poi semmai riportarcele.

    Ovviamente è una cosa che andrebbe fatta continuamente e che non si potrebbe fare solamente per un anno oppure per un giorno, andrebbe fatta giorno per giorno. Si usano vari termini per definirla, il termine geoingegneria o intervento climatico indica proprio il fatto che si tratta di un intervento ingegneristico su scala globale. Ma i problemi non sono solamente tecnologici, in fondo il problema tecnologico è il minore. I problemi possono essere di altro tipo, innanzitutto il fatto che per adesso l'unico modo che abbiamo per cercare di capire che effetto questo avrebbe tramite l'utilizzo di modelli climatici stessi. Questi vengono utilizzati per capire il rischio del cambiamento climatico e quindi c'è bisogno di capire come funzionerebbero con i rischi associati, magari ad effetti secondari che non conosciamo e non comprendiamo bene".


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    Giancarlo Loquenzi:

    “Non li conosciamo ma li possiamo immaginare. Quali potrebbero essere gli effetti secondari"?


    Daniele Visioni:

    “Li possiamo immaginare sempre, perché abbiamo osservato cosa è successo durante l'eruzione del Pinatubo e comprendiamo la chimica stratosferica abbastanza bene. Intanto queste particelle non rifletterebbero solo la radiazione solare ma ne assorbirebbero anche una piccola parte e andrebbero ad influenzare la chimica che si presenta nella stratosfera. Quindi le Nazioni Unite, e il protocollo di Montreal in particolare, che si occupano dell'ozono stratosferico già dagli anni '80, hanno proprio recentemente con un report, di cui sono stato uno degli autori, richiesto quale sarebbe stato sullo strato dell'ozono stratosferico che ci protegge dagli eccessivi raggi ultravioletti".


    Giancarlo Loquenzi:

    “Quindi potrebbe essere, paradossalmente, un effetto contrario a quello che ci aspettiamo?


    Daniele Visioni:

    “No, no perché la radiazione ultravioletta non scalda, non è parte della radiazione che riscalda, è una radiazione che è molto dannosa per gli esseri umani per quanto riguarda i tumori alla pelle. Questa è, per adesso, una delle simulazioni climatiche che abbiamo disponibili e di nostra conoscenza che ci dice che avrebbe un effetto minore; ma questo non significa che abbiamo abbastanza conoscenze per andare e decidere adesso se farlo o meno. Le Nazioni Unite hanno chiesto appunto di cominciare un programma di ricerca serio che ci permetta di agire nei prossimi 10-15 anni, proprio quando questo target di 1,5°C. sopra il periodo preindustriale dovrebbe essere raggiunto."


    Giancarlo Loquenzi:

    “Ma, vedo però che la comunità scientifica è abbastanza divisa e che ci sono stati due appelli contrastanti: un gruppo di scienziati diceva no per carità non mettiamo mano a questi meccanismi perché rischiano il “Vaso di Pandora” (Il vaso di Pandora è un simbolo mitologico che identifica il contenitore di tutti i mali che l’uomo può compiere o subire in vita n.d.r.) rischiano cioè di produrre effetti che non controlliamo e ancora non conosciamo. C’è stato poi un altro gruppo di moltissimi scienziati, tra cui te, che invece dicono: sì, è giusto studiare è giusto approfondire cercare di capire quali possono essere gli effetti collaterali e poi prendere delle decisioni informate


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    Daniele Visioni:

    “Esatto ci sono state queste due lettere contrapposte. La prima è stata chiamata “Agreement not to use” (Accordo di non usare) in cui praticamente si chiedeva di fermare tutta la ricerca su questo argomento se non prima ci fosse un forte meccanismo di regolazione a livello internazionale. E, dall'altra parte noi, io sono stato uno dei sottoscrittori di questa lettera, in cui d’altro canto non dichiariamo assolutamente né che dobbiamo farlo adesso né che conosciamo tutto, ma che è importante fare questa ricerca prima di parlare di eventuali decisioni di farlo non farlo.

    La prima lettera ha dei meriti, ha molti punti diciamo validi o di cui comunque bisogna preoccuparsi. Uno dei punti che più preoccupa gli estensori della prima lettera è il fatto che se presentiamo alle popolazioni, alla politica una soluzione troppo facile al problema del cambiamento climatico, questo distrarrebbe dalla riduzione delle emissioni. Quello che d'altro canto noi diciamo non è che questa cosa è qualcosa che va riconosciuta. Ma noi non siamo i decisori e che da un certo punto di vista e paternalistico non dobbiamo dire troppo che questa cosa è una soluzione facile, ma dobbiamo chiaramente dire che in un futuro potrebbe anche essere parte di una politica di combattimento contro il cambiamento climatico che cerchi davvero di mitigare i rischi".


    Giancarlo Loquenzi:

    “Ne abbiamo parlato prima con Boccaletti (Giulio Boccaletti, ricercatore della Smith School of Enterprise and the Environment, Università di Oxford, esperto di sicurezza ambientale e risorse naturali n.d.r.). All'interno di queste pratiche chiamate di geoingegneria c'è anche quello del Cloud Seeding cioè di inseminare (inseminazione delle nuvole n.d.r.) in atmosfera delle particelle di determinate sostanze in modo che queste siano, in qualche modo, da stimolo a far piovere. È una prospettiva interessante e incoraggiante, può funzionare"?


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    Daniele Visioni:

    “Il Cloud Seeding, normalmente, non viene considerato come una forma di geoingegneria perché è un intervento molto locale, e quello che può fare è semplicemente far sì che del vapore d'acqua che è presente nello stato in cui si formano le nubi effettivamente formi nubi e quindi precipiti giù; ma non può portare acqua dove non c'è, quindi può favorire pioggia in modo molto locale magari a discapito di un'altra località leggermente spostata ma non può muovere grandi masse d'acqua quindi è un intervento molto molto molto specifico. E, nonostante siano passati quasi 70 anni da quando è stato proposto per la prima volta, in realtà non ci sono chiare prove del fatto che davvero funzioni come è stato veramente sperimentato molte volte. In realtà in America è anche comune che esistono varie aziende che promettono di fare i Cloud Seeding ma è ancora un effetto talmente piccolo o comunque tu puoi sempre chiederti se esattamente avrebbe piovuto lo stesso.


    Giancarlo Loquenzi:

    “Quindi tutto sommato pensi che sia utile approfondire diciamo lo studio di questo tipo di procedure"?


    Daniele Visioni:

    “Io penso che sia assolutamente utile per il semplice fatto che più conoscenza, è sempre meglio di meno conoscenza. Davvero non stiamo dichiarando che possiamo cominciare adesso e gli ascoltatori potrebbero pensarlo. Ci sono vari modi di dimostrare che non si sta facendo adesso per il semplice fatto che quasi tutte le nazioni hanno dei satelliti meteorologici.

    Non stiamo assolutamente dicendo di farlo ora, ma se fra 10 anni e ho 15 anni decidiamo, e quando parlo al plurale intendo davvero tutta la popolazione o le Nazioni Unite o chiunque deciderà se i rischi del cambiamento climatico stanno diventando troppo grandi e cosa c'è più bisogno di fare qualcosa, è meglio che a quel punto arriviamo preparati con già la conoscenza robusta. E quindi se qualcuno chiederà lo facciamo non lo facciamo potrebbe essere qualcuno ben intenzionato o male intenzionato. Più conoscenza abbiamo e più siamo in grado di dire no questa cosa è troppo pericolosa oppure questa cosa sembra poter funzionare e i rischi sono moderati rispetto a quello a cui andremo incontro senza".

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    Edited by Filippo Foti - 6/3/2023, 21:29
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    Si tratta solamente di una colpevole furberia dei negazionisti climatici farci pensare che, con le nostre abitudini quotidiane, possiamo contribuire all’aumento del riscaldamento globale.


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    Sentirsi responsabili, seppure non completamente, della catastrofe climatica, derivante dalla nostra incapacità o riluttanza a proteggere efficacemente l'ambiente, sta diventando una causa crescente di stress soprattutto per le ultime nuove generazioni. La maggior parte delle persone, o rinuncia completamente a cercare di essere rispettosa dell'ambiente, oppure si preoccupa per ogni viaggio, pasto consumato o acquisto.

    Sentirsi in colpa ogni volta che non possiamo essere dei perfetti ambientalisti non è sopportabile. Il percorso verso un clima più sicuro non dev’essere cercato dai cittadini nel fare bene ogni propria azione, ma cercare di comprendere nelle opportunità quotidiane l’importanza all'interno di una crisi più grande. C'è chi pensa che, con il proprio stile di vita, fa poco per contribuire al contenimento del cambiamento climatico, a meno che: non porti una tazza riutilizzabile ogni volta che consuma un caffè, compri solo vestiti di seconda mano, riutilizzi ogni avanzo di cibo, vada ovunque in bicicletta e spinga altri individui a fare la medesima cosa.

    A negare l’evidenza del cambiamento climatico, l’industria petrolifera mondiale ci marcia bene almeno dal 1977 quando James Black (1919-1988), uno scienziato dell’allora Exxon, ebbe una crisi di coscienza. Questa era una società petrolifera statunitense fusasi con la Mobil nel 1999 per formare la ExxonMobil, uno dei più grandi colossi dell'industria petrolifera mondiale.

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    Black, nel luglio 1977, avvertì: “In primo luogo, c'è un accordo scientifico generale sul fatto che il motivo più probabile con cui l'umanità sta influenzando il clima globale è attraverso rilascio di anidride carbonica prodotto dalla combustione dei combustibili fossili”. Per molte persone, questa è la prova inappellabile che Exxon era a conoscenza del disastro che stava causando all’umanità. Potrebbe sembrare un'idea ridicola, ma come non considerare che negli anni '70 le persone erano state bombardate da messaggi tipo: il mondo si sta raffreddando mentre la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera sono di 330 parti per milione? Nel 2022 siamo arrivati ad una concentrazione media di CO2 nell'atmosfera di 417 ppm, 2,1 ppm in più rispetto all'anno precedente, e con questo si è detto tutto.

    Nel 1970, il Washington Post pubblicò "Colder Winters Herald Dawn of New Ice Age" (Gli inverni più freddi annunciano l'alba della nuova era glaciale). Nel 1974, Time pubblicò “Another Ice Age?” (Un'altra era glaciale?) e nel 1975 il settimanale statunitense Newsweek pubblicò "The Cooling World" (Il raffreddamento del mondo). Sempre nel corso degli anni '70 ci sono stati numerosi altri articoli e documenti scientifici che sostenevano che il mondo si stava raffreddando, non riscaldando.

    Comunque, tornando alla ExxonMobil, fonti bene informate riferiscono che dal 1998 al 2019, ha donato quasi 37 milioni di dollari per finanziare testate giornalistiche e organizzazioni varie allo scopo di diffondere bugie contro il cambiamento climatico. C’è da aggiungere che Charles e David Koch della Koch Industries Inc., i magnati della petrolchimica, hanno investito tra il 1997 e il 2018 oltre 145 milioni di dollari a gruppi di esperti per screditare la scienza del cambiamento climatico.

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    L'opposizione al carbone e al cherosene in passato o ai combustibili fossili oggi non è "fondamentalmente ingiusta" quando ci sono alternative migliori e più pulite. E si scopre che le alternative - solare ed eolica, in particolare - sono ora le fonti di elettricità più economiche e avrebbero potuto essere più ampiamente disponibili anni fa se le società di combustibili fossili non si fossero frapposte.

    Per quanto concerne l'industria eolica è giusto sottolineare che affrontando una certa opposizione a causa di chi sostiene che sia la principale minaccia che rappresenta per le aquile e altri uccelli. In effetti, altre minacce causate dall'uomo per gli uccelli sono il cambiamento climatico, le linee elettriche, i pesticidi applicati in modo errato e smodato, le fosse di rifiuti fluidi dell'industria petrolifera e del gas. Concentrarsi in modo sproporzionato ed esclusivo sull'energia eolica distorce la percezione pubblica in un momento in cui abbiamo un disperato bisogno di ridurre le emissioni di gas serra.


    L’OPERAZIONE DI OCCULTAMENTO ORCHESTRATA DAI NEGAZIONISTI DELL’EMERGENZA CLIMATICA

    Quando alcuni scienziati hanno cominciato a dare l’allarme, le industrie di combustibili fossili non potevano permettere che i loro affari fossero compromessi. Erano gli anni ’70 e, da allora, le lobby negazioniste – non solo le industrie fossili, ma politici, gruppi di esperti e di pressione, piattaforme mediatiche, gruppi di facciata e falsi esperti – hanno messo in atto la più grande operazione di insabbiamento della storia più recente. Il negazionismo non si limita a rimuovere la realtà, ma ne costruisce una alternativa al cui centro c’è un elemento su tutti: l’inganno. La disinformazione diventa la nuova realtà. E il negazionismo diventa vitale per la sopravvivenza di quella stessa realtà, strategico, attivo, e pubblico.

    La prima grande bugia che si può raccontare sull’emergenza climatica è che la colpa sia dell’essere umano. La seconda è che tutti gli esseri umani ne sono responsabili in egual misura. Se invece oggi non esiste una politica climatica globale efficace, se le temperature continuano ad aumentare, se gli ecosistemi sono al collasso, la ragione va cercata appunto nella macchina organizzata del negazionismo climatico: ingenti finanziamenti, tecniche di propaganda ed efficaci manovre di ingegneria comunicativa che hanno lo scopo di far sembrare il cambiamento climatico solo una teoria, un’opinione, non una realtà scientificamente fondata.

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    Le compagnie petrolifere, si accennava, lavorano attraverso la pubblicità, per convincere i consumatori che devono sentirsi in colpa, diffondendo dubbi sull'affidabilità della scienza del clima. Alla fine degli anni '90, mentre cresceva la consapevolezza pubblica del cambiamento climatico, l'industria petrolifera stava pianificando come minare la comprensione del problema da parte del pubblico al fine di mantenere al sicuro i propri affari. Una nota del 1998 dell'American Petroleum Institute, la principale organizzazione professionale statunitense nel campo dell'ingegneria petrolchimica e chimica che distribuisce annualmente oltre 200.000 pubblicazioni, affermava che: "la vittoria sarà raggiunta quando l’essere umano riconoscerà le incertezze della scienza del clima". Questa strategia di seminare il dubbio è stata efficace per molto tempo. Ma c'era ancora chi credeva alla scienza, quindi l'industria dei combustibili fossili ha usato il suo potere pubblicitario per incolpare i consumatori.

    British Petroleum, protagonista dell'esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, avvenuta il 20 aprile 2010 nel Golfo del Messico, nei primi anni 2000 ingaggiò la Ogilvy & Mather, una tra le più importanti agenzie pubblicitarie del mondo, appositamente per promuovere notizie secondo cui il cambiamento climatico era colpa dell'individuo. Fu così che fu coniato e reso popolare il termine "impronta di carbonio" progettando persino una calcolatrice dell'impronta di carbonio. In tal modo le persone potevano vedere il loro impatto nel pianeta enfatizzando così la responsabilità personale tanto da ricavarne dei sensi di colpa. Le compagnie petrolifere sostengono l'argomento della responsabilità personale ma stanno solo servendo un mercato; saranno poi i singoli consumatori a gestirne i consumi.


    Questa argomentazione, tuttavia, cade a pezzi se si considerano gli anni in cui hanno fuorviato attivamente il pubblico sulla verità dell'impatto delle loro industrie sul clima. Se avessero portato alla luce queste informazioni invece di nasconderle attivamente, ci sarebbe stato più tempo per una transizione dai combustibili fossili. Noi consumatori ci torchiamo le mani davanti all'uso di una cannuccia di plastica, di una luce accesa durante la notte o di un viaggio in aereo, nel frattempo, loro continuano a guadagnare moneta sonante.

    L'azione individuale non ci ha portato nello stato in cui ci si trova da più decenni a causa del riscaldamento globale, e l'azione individuale da sola non può tirarci fuori, ma ci sono azioni che si possono intraprendere per limitare i danni. Li possiamo denunciare di ipocrisia e inganno ed eleggere leader che non pongono il cambiamento climatico esclusivamente sulle spalle dell'individuo.

    Ora i messaggi sul clima delle aziende di combustibili fossili potrebbero essere modificati per adattarsi alla ormai scontata presa di coscienza dell’opinione pubblica di tutto il mondo sul cambiamento climatico. Sta di fatto, però, che al momento l'obiettivo che l'industria ha avuto per decenni rimane quasi lo stesso, ovvero ritardare l'azione di una onesta presa di coscienza del riscaldamento globale e proteggere i profitti il più a lungo possibile. Anche di fronte a un'emergenza climatica sempre più evidente, questo negazionismo risuona ancora in molte persone, forse perché le più grandi società di social media aiutano ancora ad amplificarlo.

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    Gli agricoltori di tutto il mondo stanno abbandonando le loro terre perché il mare si sta alzando; la siccità sta già creando milioni di profughi. Nello spettro dei cambiamenti che la crisi climatica richiederà, i banchieri, gli investitori e gli assicuratori hanno vita facile. Una piccola parte gestibile della loro attività deve scomparire, per essere sostituita da ciò che verrà dopo. Nessuno dovrebbe effettivamente essere un padrone dell'universo. Ma, per il momento, i colossi finanziari sono i padroni del nostro pianeta.

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    Energia pulita, innovazione delle infrastrutture, città sostenibili, lotta al cambiamento climatico, protezione della vita sulla terra e sott'acqua, sono i concetti innovativi e fondamentali della transizione ecologica.


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    Il primo a teorizzare il concetto di "transizione ecologica" è stato nel 2005 l'insegnante britannico Rob Hopkins. Sulla base di esperimenti che perseguono l'autonomia e la resilienza locale, Rob Hopkins sviluppò una serie di principi e pratiche che ha esposto nel suo libro "The Transition Handbook: From Oil Dependency to Local Resilience" (Il manuale sulla transizione: dalla dipendenza dal petrolio alla resilienza locale), pubblicato nel 2008.

    Dalla pubblicazione di questo manuale, la rappresentazione di Hophins, ha sempre più interessato opinione pubblica e politica nella vita di tutti i giorni e che costituisce soprattutto un pilastro fondamentale degli Obiettivi dell'Organizzazione delle Nazioni Unite 2030. Detto fondamento, è appunto la “transizione ecologica”.

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    Come molti sanno, l'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile del 25 settembre 1985 ed entrata in vigore dal 2016 con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Suistainable Development Goals, SDGs), è un piano d'azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Sottoscritto dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, racchiudono 169 traguardi da raggiungere entro il 2030.

    La transizione ecologica è un concetto che compare in molti degli obiettivi fissati nel piano, ad esempio quelli incentrati sull'accesso all'energia pulita, l'innovazione delle infrastrutture, le città sostenibili, lotta al cambiamento climatico e la protezione della vita sulla terraferma e sott'acqua. Diamo quindi un'occhiata a cosa significa transizione ecologica e quale ruolo può avere in questo processo.

    Partendo dai Paesi disposti ad affrontare il cambiamento climatico e il picco del petrolio, il concetto di transizione ecologica si è progressivamente esteso a diversi ambiti economici e sociali. Essa si riferisce anche alla transizione energetica (efficienza energetica, preferenza per le energie rinnovabili), alla transizione industriale (produzione locale di beni riciclabili in una prospettiva di economia circolare) e alla transizione agroalimentare, ovvero alla sostituzione dell'agricoltura industriale con una biologica.

    ZERO EMISSIONI ENTRO IL 2040

    Per garantire il raggiungimento di zero emissioni nette entro il 2040, gli Stati membri dell'Unione Europea devono eliminare gradualmente i combustibili fossili ed impegnarsi ad una forte riduzione del consumo energetico basato su fonti di energia rinnovabile al 100%.

    I principali problemi della crisi climatica in Europa come siccità, incendi boschivi, innalzamento del livello del mare, perdita di biodiversità e inquinamento da plastica, devono essere risolti favorendo l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili. Queste sono, al momento, il paradigma della produzione energetica più sostenibile che, applicato alla transizione energetica, privilegia l'impiego delle fonti rinnovabili rispetto a quelle fossili e pertanto volto a produrre meno sostanze inquinanti.

    In atto, l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, rappresenta circa l'85% dell'energia utilizzata a livello globale e deriva da materiali che vengono bruciati per produrre calore o energia. Ciò significa l’azzeramento delle attuali fonti di combustibili fossili come petrolio e suoi derivati, il cui impatto ambientale non è più accettabile. E, per questo, l'Italia si è impegnata con il suo (Piano Integrato Nazionale Energia e Clima 2030 – PNIEC) per contribuire al raggiungimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs).

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    IL PNIEC, IL PIANO PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA E IL PATTO VERDE EUROPEO

    Il PNIEC viene definito come il piano che recepisce le novità contenute nel "Decreto Legge sul Clima", nonché quelle sugli investimenti per il Green New Deal – GND (Nuovo accordo verde) – chiamato anche European Green Deal (EGD) (Nuovo Patto verde europeo). Questo piano è stato previsto dalla Legge di Bilancio 2020, presentata nel nostro Paese, alla Camera, il 18 novembre 2020 e approvato dal Senato, in via definitiva, il 30 dicembre 2020, riconoscendo la necessità di assicurare una transizione verde efficiente in termini di costi, socialmente equilibrata ed equa. Il nuovo obiettivo rappresenta un importante passo avanti rispetto al precedente traguardo concordato nel 2014 che prevedeva di ridurre le emissioni del 40% entro il 2030.

    Per quanto concerne il contributo dell'Unione Europea al cambiamento climatico, i paesi dell'UE devono ridurre, entro il 2030, le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990, il cui obiettivo è renderla climaticamente neutra entro il 2050. Per il raggiungimento di questo scopo, i paesi dovranno ridurre radicalmente la (CO2), tra i gas ad effetto serra che maggiormente contribuiscono al riscaldamento del pianeta, e trovare modalità per compensare le emissioni rimanenti e inevitabili in modo da raggiungere un saldo netto di emissioni pari a zero.

    GND (NUOVO ACCORDO VERDE)

    Il GND è l'impegno della Commissione Europea ad affrontare i problemi legati al clima e all'ambiente, una strategia di crescita che mira a trasformare l'UE in una società dotata di un'economia moderna, efficiente e competitiva sotto il profilo dell'uso delle risorse e che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas ad effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall'uso delle risorse. L’insieme delle proposte contiene iniziative che interessano diversi settori: clima, ambiente, energia, trasporti, industria, agricoltura e finanza sostenibile, tutti fortemente interconnessi.

    Il GND prevede azioni concrete: investire in tecnologie rispettose dell'ambiente, sostenere l'industria nell'innovazione, introdurre forme di trasporto privato e pubblico più puliti, più economici e più sani, decarbonizzazione del settore energetico, garantire una maggiore efficienza energetica degli edifici, stabilendo una strategia per fare dell'Europa il primo continente climaticamente neutro entro il 2050, rilanciando l'economia, migliorando la salute e la qualità della vita e proteggendo la natura.

    I SETTE PILASTRI DEL GREEN DEAL EUROPEO ANCHE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

    Il piano per il raggiungimento del Green Deal Europeo si compone di sette linee di azione, con tempistiche atte a varare misure legislative che supportino il cambiamento e gli obiettivi da raggiungere. L'UE indica che, per raggiungere gli obiettivi prefissati, sarà necessario agire in tutti i settori dell'economia, sostenendo l'industria affinché possa rinnovarsi. Per raggiungere questi obiettivi, occorre investire in sistemi di trasporto pubblici e privati più puliti, garantendo che gli edifici siano più efficienti anche collaborando con partner internazionali.

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    RIASSUMIAMO LE 7 LINEE DEL “GREEN NEW DEAL” (GND) EUROPEO

    Energia pulita: poiché i combustibili fossili devono essere ridotti ed eventualmente eliminati, occorre raggiungere un accordo per porre fine alle trivellazioni petrolifere a livello internazionale, con investimenti diretti in impianti di produzione di energia verde. Offrire opportunità a fonti energetiche alternative e rinnovabili più pulite dei combustibili fossili;

    Industria sostenibile: l’economia circolare è un aspetto fondamentale della transizione ecologica, che abbraccia tutti i settori. L'obiettivo è una drastica riduzione dei rifiuti, puntando al riutilizzo, al recupero e al riciclo. Una nuova politica industriale basata sull'economia circolare e all'attuazione di un mercato dell'energia completamente integrato, interconnesso e digitalizzato;

    Costruire e rinnovare: il raggiungimento dell’obiettivo dell’EGD includerà una forte spinta verso il miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici. La Commissione europea riunirà il settore delle costruzioni, gli architetti e gli ingegneri per sviluppare possibilità di finanziamento innovative e promuovere gli investimenti nell'efficienza energetica degli edifici. Il 13 Febbraio 2023 stato lanciato il nuovo "Fondo Paneuropeo" a sostegno dei virtuosi della tecnologia nell’ambito dell’ETCI-European Tech Champions (Campioni Tecnologici Europei), iniziativa promossa dal Gruppo Bei (BEI-Banca Europea per gli Investimenti e FEI-Fondo Europeo per gli Investimenti) in collaborazione con Italia, Germania, Francia, Spagna e Belgio;

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    Mobilità sostenibile: è noto che il trasporto è uno dei settori più inquinanti. In questo ambito, la transizione ecologica si traduce nel disinvestimento dai veicoli alimentati a combustibili fossili, sostituendoli con veicoli alimentati a energia elettrica, o eventualmente con tecnologie alternative come l'idrogeno. Dal 2016 il 90% degli abitanti delle città respira aria che non rispetta gli standard di sicurezza stabiliti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che conseguentemente ha causato 4,2 milioni di morti a causa dell'inquinamento atmosferico. Inoltre, i trasporti rappresentano un quarto delle emissioni di gas a effetto serra e queste emissioni continuano ad aumentare costantemente. Come accennato, il GND cerca di ridurre queste emissioni del 90% da qui al 2050. Tra le altre misure, affronterà le emissioni e le congestioni urbane e migliorerà il trasporto pubblico;

    Biodiversità: il cambiamento climatico, causato dall'inquinamento da attività umane, ha già alterato in modo significativo l'ambiente, mettendo a rischio la biodiversità marina e terrestre. È importante adottare misure concrete per proteggere l'ambiente. Questa leva è una parte fondamentale del GND promosso dopo la pandemia per raggiungere la ripresa ecologica. La strategia dell'UE sulla biodiversità per il 2030 è un piano di vasta portata, ambizioso ed a lungo termine per proteggere la natura e invertire i danni agli ecosistemi. L'obiettivo è che la biodiversità europea entri nel percorso di recupero da qui al 2030 attraverso misure e impegni concreti. Nelle aree urbane, le proposte cercano di rendere le città europee più sostenibili ed ecologiche e di promuovere la biodiversità al loro interno;

    Dall’azienda agricola, alla tavola (“Farm to Table”): l'agricoltura del futuro deve essere libera da sostanze inquinanti e in grado di garantire cibo sufficiente per la crescente popolazione mondiale. Ciò significa l'eliminazione di sostanze come i pesticidi e l'adozione di soluzioni più efficienti. Nel maggio 2020 l'UE ha presentato questa strategia “Dall’azienda agricola, alla tavola”. L'obiettivo di questa manovra è fare in modo che gli alimenti europei siano prodotti con un impatto minimo sulla natura, pur continuando a essere di quantità e qualità dei nutrienti. Si prevede inoltre di ridurre l'inquinamento del suolo e dell'acqua dovuto all'eccesso dei fertilizzanti agricoli agricoli, come nitrati, fosfati, calcio e potassio;

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    Eliminare l'inquinamento: questa linea d'azione ribadisce misure già espresse in precedenza ed è protesa altresì a proteggere i cittadini e gli ecosistemi europei, lottando contro la contaminazione per prevenire l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo. Ci sono anche obiettivi per la qualità dell'aria, come l'inquinamento industriale e la contaminazione da prodotti chimici pericolosi. In linea con quest'ultimo pilastro, nell'ultima settimana dell’ottobre 2022, la Commissione ha proposto standard più severi sui contaminanti dell'aria, delle acque superficiali e sotterranee e sul trattamento delle acque reflue urbane. Nell'atmosfera e nell'acqua, tutti i nuovi standard forniscono un chiaro ritorno sull'investimento grazie a benefici in termini di salute, risparmio energetico, produzione alimentare, industria e biodiversità. La Commissione ha proposto sia di inasprire i livelli consentiti di inquinanti sia di migliorarne l'applicazione, in modo che gli obiettivi di riduzione dell'inquinamento possano essere raggiunti più spesso nella pratica.

    Il GND ALL'ATTO PRATICO

    Economia circolare, riduzione delle emissioni nette di gas ad effetto serra, rafforzamento degli obiettivi climatici, decarbonizzazione, veicoli ad emissioni zero ed altro, per spianare la strada alla revisione della direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili votata dal Parlamento europeo mercoledì 14 settembre ’22. Detta direttiva rappresenta un elemento chiave del pacchetto “Fit for 55” (Pacchetto Pronti per il 55%). Successivamente, entro il 2050, l’Europa dovrebbe metteeà sul piatto congrui contributi che saranno destinati a tecnologie energetiche pulite.

    IL PACCHETTO PRONTI PER IL 55%

    Il “Pacchetto Pronti per il 55%” del 19 dicembre ’22, fulcro del Green Deal Europeo, è un insieme di proposte volte a rivedere e aggiornare le normative dell'UE e ad attuare nuove iniziative al fine di garantire che le politiche dell'UE siano in linea con gli obiettivi climatici concordati dal Consiglio e dal Parlamento europeo. Contiene una serie di proposte legislative e modifiche alla legislazione dell'UE in vigore che aiuteranno l'Unione a ridurre le sue emissioni nette di gas a effetto serra del 55% entro il 2030, rafforzare la sicurezza energetica e per il raggiungimento della neutralità climatica, ovvero l'equilibrio tra le emissioni nocive di origine antropica e l'assorbimento delle stesse. Questo atto legislativo richiede in particolare, ai paesi dell'UE, di produrre, come già accennato, un piano nazionale per l'energia e il clima (PNIEC) decennale e una strategia di decarbonizzazione a lungo termine (trentennale).

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    IL RUOLO DELL'INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI NEL PROCESSO DI TRANSIZIONE ECOLOGICA

    In Europa, gli edifici sono attualmente responsabili di circa il 40% del consumo energetico, nonché del 36% delle emissioni di gas serra. Nell'impostare il suo programma “Renovation Wave” (Ondata di rinnovamento), la Commissione Europea ha stimato che per ottenere, entro il 2030, una riduzione del 60% delle emissioni di anidride carbonica nel parco edilizio esistente, sarebbe necessario riqualificare 35 milioni di edifici nell'Unione Europea. Sarebbe un raddoppio del tasso medio annuo di riqualificazione. Questo è il contesto in cui considerare gli incentivi recentemente messi a disposizione dei cittadini.

    Considerando solo l'Italia, troviamo che oltre il 30% degli edifici esistenti appartiene attualmente alla classe di efficienza energetica G, mentre solo il 6% raggiunge la classe A. L'investimento richiesto è enorme, ma va anche sottolineato che i vantaggi possono essere anche molto grandi, anche economicamente. Secondo il rapporto del network Deloitte Italy - una società presente in oltre 150 Paesi “Italy's Turning Point- Accelerating New Growth On The Path To Net Zero” (La svolta dell'Italia: una nuova crescita accelerata verso il Net Zero) - un rapido processo di decarbonizzazione in Italia potrebbe portare a un ulteriore 3,3% del PIL nel 2070, oltre alla creazione di 470.000 nuovi posti di lavoro. C’è da osservare, comunque, che in Italia questa società è soggetta a critiche.

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    PERCORSI DI EMISSIONI DI CARBONIO

    Prolungando al 2050 le dinamiche virtuose energetico-ambientali previste dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC], l'impronta carbonica delle emissioni di GHG italiane, ovvero la misura che esprime in CO2 equivalente il totale delle emissioni di gas ad effetto serra, possono essere ridotte di circa il 60% rispetto ai livelli del 1990.

    La neutralità climatica nel 2050 sarà una sfida ardua per l'Italia: ci saranno emissioni residue incomprimibili derivanti per lo più da processi industriali, dall'uso di solventi e gas fluorurati, dai rifiuti e dal settore agricolo e zootecnico che non si possono abbattere, il cosiddetto “Hard to abate”, ovvero (abbattere laddove è più difficile). Le emissioni residue possono essere compensate con il sequestro e l'assorbimento di pozzi naturali di CO2 come la vegetazione, il suolo e gli oceani. Questi ultimi sono in grado di assorbire fino a un terzo di tutte le emissioni presenti nell’atmosfera e dove oltre tre miliardi di persone dipendono dalle loro risorse come mezzo di sussistenza fornendo anche, cosa di non poco conto, una grande frazione dell'ossigeno che respiriamo.

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    La capacità di assorbimento dei pozzi naturali è fortemente condizionata dal comportamento degli esseri umani, che può ridurla (l’aumento delle temperature sta alterando in misura negativa le capacità di assorbimento degli oceani) o aumentarla (azioni di rimboschimento). Tuttavia, politiche di lotta agli incendi e gestione sostenibile del suolo dovrebbero essere implementati per mantenere e incrementare la capacità di assorbimento di questi pozzi naturali. L'analisi svolta, a supporto strategia a lungo termine, mostra che la neutralità climatica entro il 2050 è possibile solo con un cambiamento del paradigma energetico. Dagli scenari realizzati emerge che ciascun settore dovrà contribuire alla riduzione delle emissioni secondo le proprie peculiarità.

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    Ecco come nel 2022 il "Daily Wire" dell'editorialista Ben Shapiro, per attirare nuovi lettori, ha pagato Google per fare pubblicità con alcune frasi di ricerca come: "il cambiamento climatico è una bufala" ed altre.


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    Nonostante la natura è continuamente oltraggiata, diventando sempre più nera e tossica e il nostro pianeta, a detta di scienziati autorevoli, sia in pericolo, la disinformazione sul cambiamento climatico semina scetticismo. I negazionisti del clima, sfruttando il potere delle piattaforme dei social media, diffondono notizie prive di fondamento che non hanno nulla di scientifico.

    Geoff Dembicki, giornalista investigativo sul clima del The Guardian, autore tra l’altro, del libro “The petroleum papers” (Le carte petrolifere) nominato come il miglior libro del 2022 dal Washington Post, lo scorso 27 gennaio 2023 ha pubblicato un articolo dal titolo: “Google let Daily Wire advertise on climate change is a hoax searches”, ovvero (Google ha permesso a Daily Wire, di fare pubblicità su ricerche legate al cambiamento climatico). I dati sono stati condivisi dal “Center for Countering Digital Hate” (CCDH), un'organizzazione senza scopo di lucro che contrasta la diffusione dell'odio e della disinformazione online.

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    Il “Daily Wire”, (letteralmente “Il Filo Quotidiano”) di Ben Shapiro, i cui ricavi annuali all'inizio del 2022 hanno superato per la prima volta i 100 milioni di dollari e che, secondo il suo CEO e co-fondatore Jeremy Boreing, conta 150 dipendenti, ha acquistato nel 2022 annunci su frasi di ricerca come: "il cambiamento climatico è una bufala" e "perché il cambiamento climatico è falso", il che significa che quando le persone hanno cercato su Google queste frasi, hanno scoperto le storie fuorvianti di Shapiro come alcuni dei primi risultati che sono apparsi in alto nella pagina di questa azienda informatica statunitense, nonostante la promessa rilasciata nell'ottobre 2021 di non trarre profitto dagli annunci che promuovevano la negazione del cambiamento climatico.

    Nel novembre 2021, sempre il (CCDH) ha nominato il Daily Wire in un rapporto come uno dei primi dieci diffusori di disinformazione climatica su Facebook, insieme ad altri organi. Sundar Pichai - indiano naturalizzato statunitense, amministratore delegato di Google Inc., nato il 10 giugno 1972 a Madurai nello Stato federato del Tamil Nadu conosciuta come "Thoonga Nagaram", che significa la città che non dorme mai - all'epoca dichiarò pubblicamente che: "quando le persone accedono a ricerche Google con domande sui cambiamenti climatici, mostreremo informazioni autorevoli provenienti da fonti come le Nazioni Unite".

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    "L'equivocità di Google non conosce limiti, ha affermato Emran Ahmed, fondatore e amministratore delegato del (CCDH) con sede negli Stati Uniti e nel Regno Unito, che ha fornito la sua ricerca esclusivamente al Guardian. In realtà, ha precisato Ahmed, stanno vendendo il diritto ai negazionisti del clima di diffondere disinformazione".

    Un portavoce di Google, che non ha voluto commentare la stima di spesa acquisita dal Daily Wire, ha chiarito che: "quando troviamo contenuti che oltrepassano il confine tra un dibattito politico o una discussione di iniziative ecologiche per promuovere la totale negazione del cambiamento climatico, rimuoviamo quegli annunci".

    Ahmed ha anche affermato che gli acquisti pubblicitari del Daily Wire sembrano essere una contraddizione diretta con le stesse promesse di Google di promuovere informazioni affidabili sulla crisi climatica: "Google, ha precisato Ahmed, ha delle regole contro l'utilizzo dei loro annunci di ricerca per diffondere disinformazione, ma dovrebbero applicarle, anche con “benefattori” che danno loro un sacco di soldi”.

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    Gli annunci sul clima del Daily Wire sono particolarmente eclatanti, secondo il (CCDH), perché Google si presenta pubblicamente come uno dei piani di sostenibilità più aggressivi di qualsiasi grande motore di ricerca. Ed ancora, in un rapporto dell'anno scorso sempre il (CCDH) ha rilevato che i principali inquinatori climatici come BP, ExxonMobil, Chevron e Shell stavano acquistando annunci su ricerche Google come "net-zero" (obiettivo di azzeramento totale della quantità di gas serra prodotto dall'attività umana), ed "eco-friendly (tutto ciò che abbia come obiettivo il rispetto e la cura dell'ambiente, sia inteso come natura che come mondo animale)", dando l'impressione che queste aziende stavano aiutando a risolvere la crisi climatica invece di esserne i principali contributori. Infatti, le lobby di petrolio e gas a COP27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022, ha ospitato indecentemente più delegati dei paesi maggiormente colpiti dal cambiamento climatico. Questo vi dice qualcosa?

    Ma su Google non è necessario essere effettivamente precisi per plasmare le opinioni delle persone, ha sottolineato il gruppo di disinformazione (CCDH). "Il 99% dei clic di Google va ai risultati sulla prima pagina, ha detto Ahmed. "Se puoi essere il primo risultato su una ricerca su Google, essenzialmente puoi essere portato a considerarla la verità."

    Quando nell'aprile 2022 le persone hanno cercato su Google la frase " Climate change debunk ", (Smascheramento del cambiamento climatico), uno dei migliori risultati che hanno mostrato è stato appunto un articolo scritto da Shapiro in Daily Wire intitolato "Debunking Climate Change Hysteria", ovvero (Sfatare l'isteria del cambiamento climatico). “Avete sentito dire che il cambiamento climatico metterà fine a tutta la vita sulla Terra; che mette la civiltà in pericolo esistenziale ", ha affermato Shapiro nell'articolo. "Queste sono bugie."

    ALTRE AFFERMAZIONI DI GOOGLE

    "In conformità con la nostra politica contro i contenuti che negano il cambiamento climatico, gli annunci Google non vengono pubblicati nelle nostre pagine, né vengono promosse nei nostri annunci", ha affermato Google in relazione a questo specifico argomento. Però, le politiche di Google, consentono un certo margine di manovra. "Continueremo inoltre a consentire pubblicità e monetizzazione su altri argomenti legati al clima, inclusi dibattiti pubblici sulla politica climatica, i vari impatti dei cambiamenti climatici, nuove ricerche e altro", afferma la loro politica.

    Lo scorso luglio '22, il Daily Wire ha pagato Google per promuovere un’altra sua storia: "Wind Turbines Not Only Shred Birds But Are Acculing Up In Landfills" (Le turbine eoliche non solo fanno a pezzi gli uccelli, ma si stanno accumulando nelle discariche), ogni volta che qualcuno cercava “The real truth about wind turbines”, ovvero (La vera verità sulle turbine eoliche). Beh, in questo caso ci esentiamo dal commentare!

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    ESTRATTO DAL “CENTER FOR COUNTERING DIGITAL HATE”

    Pubblicato da Google il 27 gennaio 2023:

    Frasi chiave: (Gobal warming hoax, / Is global warming a scam / The climate change scam / Why is climate change fake. Entrambi riassumono lo stesso titolo, questo, ovvero (La bufala del riscaldamento globale);
    Oppure: Titolo annuncio Google: (9 Things You Need T Know About The Climate Change Hoax) - (9 cose che devi sapere sulla bufala del cambiamento climatico);

    (CCDH) ha proposto anche un titolo di Ben Shapiro: Parola chiave: (Climate change debunk); Titolo annuncio Google: SHAPIRO: “Debunking Climate Change Hysteria”, ovvero (Sfatare l'isteria del cambiamento climatico - | The Daily Wire)”.

    BEN SHAPIRO VS CAMBIAMENTO CLIMATICO

    Ben Aaron Shapiro, editorialista, autore e redattore emerito dal 2020 del Daily Wire - John Bickley è il nuovo capo redattore dopo aver prestato servizio come redattore e scrittore sin dall'inizio del sito - è nato il 15 gennaio 1984 a Los Angeles in California (Stati Uniti). Sin dai suoi primi albori, da quando era un semplice commentatore del Daily Wire, Ben ha negato il cambiamento climatico. Successivamente ha corretto il tiro e dal 2007 ha, in qualche modo, moderato le sue opinioni, ammettendo che il cambiamento climatico è reale, negando però di essere un negazionista, ma insistendo sul fatto che la questione è stata esagerata con titoli catastrofici. La sua posizione ora sembra essere non di ridurre le emissioni, bensì lasciare che il mercato cerchi nuove soluzioni.

    Per Shapiro il 2015 è l’anno fortunato. Infatti Farris Wilk il miliardario del fracking del Texas Farris Wilks ha fornito 4,77 milioni di dollari in finanziamenti iniziali per far decollare il Daily Wire, consentendo all’aspirante influencer conservatore ad avere un seguito personale su Facebook di oltre 8,6 milioni di follower."Facebook e altre società di social media fanno soldi quando mandano gli utenti nelle ‘tane dei conigli' del negazionismo climatico", ha affermato il senatore statunitense Sheldon Whitehouse.

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    Facebook (maggio '21) contro le fake news: ha dichiarato che avrebbe nascosto chi le condivide spesso e, nel giugno '22 ha annunciato un giro di vite sulle recensioni false. Gli ambientalisti sono stati estremamente approfonditi nel delineare come combattere il cambiamento climatico . A febbraio '22 pure Amazon ha annunciato un ulteriore giro di vite sul fenomeno delle recensioni false, dopo i casi Aukey e RAVPower: in quel caso l'azienda di Bezos decise di passare alle vie legali contro chi "orchestra la compravendita di recensioni dei prodotti in cambio di soldi o prodotti gratis. Questo è un modello di business molto pericoloso per il futuro del pianeta.

    FACEBOOK CONTESTA LA METODOLOGIA

    IL CCDH ha utilizzato NewsWhip per stilare la classifica: è uno strumento di analisi dei social media che ha permesso di esaminare 6.983 articoli che negavano la crisi climatica condivisi su Facebook nel corso dell'ultimo anno. Articoli che tendevano a minimizzare i rischi del cambiamento climatico e invitavano i lettori a non preoccuparsi troppo delle emissioni di CO2. Notizie che hanno viaggiato velocemente nel social, come testimonia il dato delle oltre 709.000 interazioni complessivamente registrate da questi post.

    Facebook però nega l'attendibilità dei risultati. Un suo portavoce ha sottolineato che l'analisi del CCDH utilizza una metodologia imperfetta messa a punto per fuorviare le persone sulla portata della disinformazione climatica su Facebook. Inoltre le oltre 700.000 interazioni menzionate dal rapporto rappresentano solo lo 0,3% degli oltre 200 milioni di interazioni che i contenuti in lingua inglese sul cambiamento climatico hanno registrato nello stesso periodo. Continuiamo, spiega Facebook, a combattere la disinformazione sul clima riducendo la distribuzione di qualsiasi cosa giudicata falsa o fuorviante da uno dei nostri partner per il fact-checking (controllo dei fatti), rifiutando qualsiasi pubblicità che sia stata smentita.

    Un impegno non ancora sufficiente secondo il CCDH che chiede a Facebook di rifiutare qualsiasi pagamento per la pubblicazione dei contenuti negazionisti sulla crisi climatica e di usare più efficacemente lo strumento che etichetta determinati post come falsi / fuorvianti. Appello esteso anche a Google per quanto riguarda la rimozione di 8 delle 10 pubblicazioni sopraccitate dal circuito di "Google Ads", un software che permette di inserire spazi pubblicitari all'interno delle pagine di ricerca di Google.

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    Shapiro, abbastanza controverso nelle sue recenti dichiarazioni, ha riconosciuto in qualche occasione che il cambiamento climatico si sta verificando, ma ha messo in dubbio quale percentuale del riscaldamento globale è attribuibile all'attività umana. È stato accusato di essere un negazionista del cambiamento climatico anche dal Scientific American per un articolo di opinione sugli incendi in California del 2020.

    Comunque, non risulta ai più che Shapiro abbia conseguito un dottorato in scienze del clima e cosa ha pubblicato su riviste di scienze del clima sottoposte a revisione paritaria sul cambiamento climatico come fanno i più importanti scienziati sul clima. Pertanto, fino a prova contraria, perché qualcuno dovrebbe prestare attenzione quando Shapiro argomenta su cose di cui non sa nulla?

    Ci piacerebbe vedere Shapiro provare a discutere con un vero scienziato del clima. Potrebbe iniziare con James Hansen astrofisico e climatologo statunitense, oppure con Michael E. Mann sul grafico del bastone da hockey. Il motivo sarebbe quello di vederlo discutere con un vero scienziato del clima per sapere quanto avrebbe da ribadire.

    BEN SHAPIRO SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO: REALTÀ CONTRO FINZIONE

    Secondo Austin Tannenbaum, attivista ambientale di Montclair - una cittadina nella contea di Essex, nello stato americano del New Jersey (New York) - Ben Shapiro, vuole che i suoi lettori credano che lui sia a conoscenza del cambiamento climatico non avendone però la più pallida idea. Di seguito riportiamo alcune citazioni negazioniste di Shapiro tratte da video e podcast - che non abbiamo potuto verificare - che Tannenbaum avrebbe estrapolato da alcune delle sue “lezioni”. L'attivista ambientale definisce le citazioni come “sfacciatamente, egregiamente e infine esilaranti mistificazioni della realtà”. Comunque le prendiamo per buone, non foss’altro per i riferimenti di siti affidabili che ha citato per alcuni commenti sotto riportati sulla realtà dei fatti.

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    MISTIFICAZIONI DELLA REALTÀ DI SHAPIRO PER ALIMENTARE LA DISINFORMAZIONE

    Shapiro: "L'idea che il ghiaccio artico stia scomparendo non ha senso".
    Realtà: Il ghiaccio marino artico attraversa cicli annuali a causa delle differenze nella quantità di radiazione solare che raggiunge la Terra in diversi periodi dell'anno. Ogni settembre, l'Artico si scioglie raggiungendo la sua superficie minima annuale di ghiaccio. Secondo i dati satellitari raccolti da NSDIC e NASA, il ghiaccio marino artico di settembre scorso è diminuito a un tasso medio del 13,3% per decennio ;

    Shapiro: "Il grafico della mazza da hockey di Michael Mann che mostra che nell'ultimo secolo e mezzo, che il clima insieme alle emissioni di carbonio sono andate così - agita la mano verso l'alto - sono dati falsificati".
    Realtà: Michael Mann, autore del grafico della mazza da hockey che descrive una tendenza al riscaldamento nell'emisfero settentrionale negli ultimi 1.000 (non 150) anni, è stato scagionato da tutte le accuse di falsificazione dei dati da un'indagine dell'Università della Pennsylvania nel 2010, e ancora da un Indagine della National Science Foundation nel 2011 ;

    Shapiro: "Nessuno... [può] dirti cosa dovremmo fare riguardo al cambiamento climatico".
    Realtà: Gli ambientalisti sono stati estremamente approfonditi nel delineare come combattere il cambiamento climatico ; Il National Renewable Energy Laboratory del Dipartimento dell'Energia ha rilevato che le tecnologie attualmente disponibili sono "più che adeguate" per fornire l'80% della produzione di elettricità negli Stati Uniti entro il 2050 ; . The Solutions Project.org ha creato un piano dettagliato per trasferire ogni stato del paese e la maggior parte dei paesi del mondo al 100% di energia rinnovabile ;

    Shapiro: "La terra, in pratica, non si è riscaldata negli ultimi 15 anni circa".
    Realtà: I dati sulla temperatura media globale raccolti dalla National Oceanic and Atmospheric Administration mostrano che i cinque anni più caldi mai registrati si sono verificati dal 2010 e il 2016 è stato l'anno più caldo registrato dall'inizio delle misurazioni della temperatura nel 1880. Comunque il 2022, a livello mondiale, si colloca tra il terzo e il quarto più caldo ;

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    Shapiro: "Se prendi questo problema seriamente, dovremo immergere le persone negli standard di vita del terzo mondo".
    Realtà: Il passaggio alle energie rinnovabili creerebbero oltre 4 milioni di posti di lavoro permanenti e si risparmierebbero oltre 600 miliardi di dollari in costi sanitari annuali. La Banca mondiale avverte che il mancato intervento sul cambiamento climatico metterà in pericolo 158 trilioni di dollari di beni e la vita di 1,3 miliardi di persone in tutto il mondo; L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) prevede che il cambiamento climatico causerà circa 250.000 morti in più all'anno in tutto il mondo tra il 2030 e il 2050 ; Secondo le stime, i costi diretti dei danni alla salute ammonteranno tra i 2 e i 4 miliardi di dollari all'anno entro il 2030 (WHO Press Release, 27.06.2018 ;

    Shapiro: "Ve lo assicuro, la Cina non smetterà di sviluppare le sue emissioni di carbonio".
    Realtà: La Cina, dove sembrerebbe che venga installata una turbina eolica ogni 30 minuti, sta investendo 361 miliardi di dollari nella produzione di energia rinnovabile, che si stima creerà 13 milioni di posti di lavoro nel settore entro il 2020. Beh, qui Shapiro ha ragione in quanto Austin Tannenbaum fa un’altra considerazione (n.d.r.) ;

    Shapiro: "L'ambientalismo è un lusso dei ricchi [...] Quando sei nel terzo mondo [...] non te ne frega niente".
    Realtà: ricerche voluminose, come un rapporto pubblicato sulla rivista Nature, mostrano che le regioni più povere soffriranno in modo sproporzionato degli effetti del cambiamento climatico, mentre i paesi ricchi sono i meno vulnerabili; Per questo motivo, l'attivismo ambientale si sta diffondendo in tutto il mondo, in particolare nelle aree a rischio. 350.org ha documentato campagne di azione per il clima in 188 in 188 paesi diversi ;

    Shapiro: "Se ci fossero cambiamenti climatici, l'intero cuore del paese diventerebbe tre volte più produttivo in termini di produttività delle colture".
    Realtà: Secondo uno studio pubblicato sulla rivista PNAS è ben noto che il cambiamento climatico causerà un calo complessivo della produttività agricola, del 17% entro il 2050. La carestia alimentata dal cambiamento climatico sta già diventando una realtà in tutto il mondo, in luoghi come in Madagascar e in Yemen ;

    Shapiro: "Il clima è sempre cambiato, motivo per cui [...] Pangea!"
    Realtà: Ah, Ah, Ah, … cosa centra la Pangea con il clima? Quei cicli si sono verificati a diverse intensità su scale temporali plurimillenarie. […] Ma, dalla Rivoluzione Industriale, la Terra si è riscaldata molto più rapidamente, […]. Inoltre, circa 300 milioni di anni fa, la Terra non aveva sette continenti, ma un enorme supercontinente chiamato Pangea, , era circondato da un unico oceano chiamato Panthalassa. La spiegazione della formazione di Pangea ha introdotto la moderna teoria della tettonica a placche, che ipotizza che il guscio esterno della Terra sia suddiviso in diverse placche che scivolano sul guscio roccioso della Terra, il mantello.

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    Placche che avrebbero e probabilmente danno ancora vita a terremoti, come è successo tra domenica 5 e lunedì 6 in Turchia e Siria. Il professore Carlo Doglioni, presidente dell’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), a recentemente rilasciato dichiarazioni del tipo: "È successo che quella che noi chiamiamo la placca araba si è mossa di circa 3 metri lungo una direzione Nordest-Sudovest rispetto alla Placca Anatolica; parliamo di una struttura nell’area di confine tra questo mondo, quello della Placca Araba, con quello della Placca Anatolica".

    Nota dell’amministratore del blog: Si ribadisce che le notizie fin qui pubblicate sono frutto di ricerche eseguite su numerose fonti attendibili per cui non è possibile citarle tutte.

    Se questa lettura è stata di tuo gradimento continua a seguirci qui troverai elencati tutti i miei post. Tra gli argomenti: il nostro pianeta, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità e tanto altro. Come si evince dalle nostre "Statistiche", <b>con oltre 6.000 articoli e commenti!
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    Di recente, un rapporto intitolato “Global glacier change in the 21st century” (Cambiamento globale dei ghiacciai nel 21° secolo) precisa che ogni aumento della temperatura è importante" e che metà dei ghiacciai della Terra potrebbe scomparire entro il 2100.


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    Entro la fine del 21° secolo, si prevede che dal 49 all'83% dei ghiacciai del mondo scomparirà, a seconda delle future emissioni di gas serra. Dato che la perdita di massa è direttamente correlata ai cambiamenti di temperatura, ogni pur piccolo aumento è importante, e poiché i ghiacciai rispondono al cambiamento climatico, le società devono adattarsi ai cambiamenti nella disponibilità di acqua e all’innalzamento del livello del mare.

    L’autore principale del rapporto, David R. Rounce glaciologo e docente di ingegneria alla Carnegie Mellon University, Pennsylvania, USA, ha utilizzato due decenni di dati satellitari per mappare i ghiacciai del pianeta con una precisione mai vista prima. Lo studio è stato pubblicato il 6 gennaio 2023 su Science, il “Global glacier change in the 21st century: Every increase in temperature matters”, (Cambiamento globale dei ghiacciai nel 21° secolo: ogni aumento della temperatura è importante) di cui più sotto vediamo un video esplicativo, sottolineando che ogni aumento della temperatura è importante. Anche il sesto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, pubblicato il 28 febbraio 2022, ha avvertito che il tempo per raggiungere l'obiettivo di 1,5°C sta per scadere."Non importa se perderemo, molti ghiacciai. Ma abbiamo la capacità di fare la differenza limitando il numero di ghiacciai che perdiamo", ha dichiarato Rounce.

    Science



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    Animazione della risposta dei ghiacciai a causa del cambiamento climatico.



    PER STUDIARE GLI IMPATTI DEL CAMBIAMENTO AMBIENTALE GLOBALE, I PARCHI NAZIONALI DEGLI STATI UNITI SONO I LUOGHI IDEALI

    Da ricerche effettuate su ResearchGate, un social networking per scienziati e ricercatori per condividere documenti, porre e rispondere a domande e trovare collaboratori, Myrna Hall - sopra raffigurata - dell’università statale di Scienze Ambientali e Forestali di New York sostiene che ormai è da decenni che è stato lanciato l’allarme sulla perdita dei ghiacciai nel mondo. Un esempio eclatante è rappresentato dal Glacier Park che, dalla sua fondazione nel 1910, ha perso gran parte del suo patrimonio. Più di due terzi dei 150 ghiacciai stimati esistenti nel 1850 erano scomparsi nel 1980; al momento ne sono rimasti appena 26. A livello globale è stato registrato un innalzamento del livello del mare da 10 a 25 centimetri pur se altri scienziati attribuiscono parte di questo innalzamento al ritiro mondiale dei ghiacciai alpini, per cui anche coloro che vivono lontano dalle montagne hanno sperimentato le conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai.


    C'è da dire, comunque, che il risultato di uno studio dello geoscienziato computazionale Julien Seguinot del Politecnico di Zurigo, pubblicato sulla sulla rivista The Cryosphere che ha giustapposto i ghiacciai alpini nello spazio temporale di 120.000 anni, ha concluso che nel tempo si sono estesi e ritirati molto più frequentemente di quanto si credesse finora. Lo studio, pubblicato il 03 agosto 2021 è stato eseguito basandosi su una simulazione al computer incentrato sui dati dell'ultima glaciazione avvenuta intorno a 115.000 anni fa.

    Tuttavia, l'aspetto più significativo dello scioglimento dei ghiacciai potrebbe essere una prova tangibile e intuitiva di cambiamenti ambientali più ampi che sono più difficili da misurare. I ghiacciai sono eccellenti barometri del cambiamento climatico, perché non rispondono alla variabilità di anno in anno. Piuttosto, cambiano le loro dimensioni e massa lentamente in risposta alle tendenze decennali del clima. Pertanto, il ritiro globale dei ghiacciai può essere attribuito al cambiamento climatico reale, non ad anomalie temporanee. Infatti, i parchi nazionali sono stati paragonati ai canarini in gabbia che tanto tempo fa venivano portati nelle miniere di carbone. Segnali di pericolo da parte degli uccelli segnalavano la presenza di livelli pericolosi di gas che non potevano essere facilmente rilevati in altro modo. Allo stesso modo, i parchi spesso forniscono la prima prova tangibile della risposta di un ecosistema attribuibile principalmente al cambiamento climatico.

    La temperatura media estiva locale è aumentata di 1,66°C tra il 1910 e il 1980. Questi eventi riflettono un modello mondiale di ritiro glaciale e cambiamento climatico regionale che, nel complesso, è stato considerato una prova del riscaldamento globale. Il ritiro globale dei ghiacciai di montagna potrebbe avere conseguenze dirette per l'umanità. Il cinquanta per cento dell'acqua dolce che gli esseri umani consumano ogni anno proviene dalle montagne. I ghiacciai che scompaiono, secondo Daniel B. Fagre scienziato emerito dello United States Geological Survey, hanno un impatto significativo sull'idrologia montana e rilasciano nuovo terreno.

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    Animazione del Parco Nazionale dei Ghiacciai - Montana - Stati Uniti d'America.


    I GHIACCIAI SCOMPARIRANNO AD UN RITMO SENZA PRECEDENTI

    I ghiacciai si stanno ritirando a ritmi senza precedenti a causa del cambiamento climatico con il conseguente aumento delle temperature. La quantità di ghiaccio perso dai ghiacciai tra il 1994 e il 2017 è stata di circa 30 trilioni di tonnellate e ora si stanno sciogliendo a un ritmo di 1,2 trilioni di tonnellate ogni anno. Quelli che si stanno sciogliendo a ritmi più rapidi si trovano nelle Alpi e in Islanda.

    Circa 115.000 anni fa iniziò l'ultimo periodo glaciale nella storia della terra. Fu un periodo movimentato, poiché i ghiacciai avanzarono dalle Alpi sull'altopiano svizzero, si ritirarono e poi avanzarono di nuovo. Nel processo, i potenti flussi di ghiaccio hanno scavato valli, come la Valle del Rodano, portando con sé detriti rocciosi - di dimensioni variabili da sedimenti fini a massi del peso di diverse tonnellate - attraverso il paesaggio.

    Julien Seguinot del Laboratorio di idraulica, idrologia e glaciologia, ETH Zürich, Zurigo, è un geoscienziato computazionale con la passione per i paesaggi glaciali che attualmente lavora presso il Dipartimento di Scienze Biologiche dell'Università di Bergen. Ha utilizzato la programmazione Python, il calcolo ad alte prestazioni (della dinamica dei ghiacciai) e lavora sul campo in ambienti remoti (della Cordigliera nordamericana e della Groenlandia) per cercare di comprendere i cambiamenti dei ghiacciai passati e presenti.

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    Parco nazionale degli Stati Uniti situato nel Montana, al confine con le province canadesi dell'Alberta e della Columbia Britannica.
    La zona protetta include due catene montuose, oltre 130 laghi, oltre 1.000 specie di piante e centinaia di diverse specie di animali.



    Il modello Python tiene conto della geometria del ghiacciaio, compresi i rami contributivi, e include un modulo esplicito sulla dinamica del ghiacciaio. Può simulare il bilancio di massa passato e futuro, il volume e la geometria di (quasi) qualsiasi ghiacciaio del mondo in un flusso di lavoro completamente automatizzato ed estensibile. Seguinot sviluppa software per le geoscienze e prepara animazioni di ghiacciai del passato. Per comprendere meglio tutto ciò, Julien Seguinot, insieme a diversi colleghi, ha simulato lo sviluppo dei ghiacciai nelle Alpi durante gli ultimi 120.000 anni sul supercomputer Piz Daint del Centro nazionale svizzero di supercalcolo (CSCS), dal nome del monte Piz Daint nelle Alpi svizzere.

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    La metà dei ghiacciai della Terra è destinata a scomparire entro il 2100, anche se dovessimo aderire all'obiettivo dell'accordo sul clima di Parigi di limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali e almeno il 50% della perdita si verificherà entro i prossimi 30 anni. Il 68% dei ghiacciai svanirà se il riscaldamento globale continuerà al ritmo attuale di 2,7°C, e se ciò accadesse, entro la fine del secolo successivo non rimarrebbero praticamente più ghiacciai nell'Europa centrale, nel Canada occidentale e negli Stati Uniti. I ricercatori hanno osservato che alcuni di questi ghiacciai, che detengono il 70% dell'acqua dolce della Terra e, comprendono attualmente circa il 10% della superficie terrestre del pianeta, possono essere salvati dall'estinzione riducendo drasticamente il riscaldamento globale.

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    AUMENTO DEL RISCHIO DI DISASTRO

    Lo scioglimento dei ghiacciai innalza drammaticamente il livello del mare, compromettendo l'accesso all'acqua fino a due miliardi di persone e aumentando il rischio di disastri naturali ed eventi meteorologici estremi come le inondazioni. C’è da sottolineare che il livello globale del mare è aumentato del 21% tra il 2000 e il 2019. Ciò è stato dovuto esclusivamente allo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte glaciali che si trovano attualmente in Groenlandia e in Antartide e il rapido aumento delle perdite di massa dei ghiacciai con l'aumento della temperatura globale oltre 1,5°C sottolinea l'urgenza di stabilire impegni climatici più urgenti di quanto fatto finora per preservare i ghiacciai in queste regioni montuose.

    Poco prima della COP27 del 2022, realizzato dall'International Cryosphere Climate Initiative (Iniziativa Internazionale per il Clima e la Criosfera), è stato pubblicato un nuovo Report denominato State of the Cryosphere (Stato della criosfera), supportato da oltre 60 importanti scienziati della criosfera. Il rapporto descrive in dettaglio come una combinazione di calotte polari in scioglimento, ghiacciai in via di estinzione e permafrost in disgelo avrà effetti rapidi, irreversibili e disastrosi sulla popolazione terrestre. Il rapporto 2022 aggiorna la precedente edizione e sottolinea che gli impatti globali di questi cambiamenti si stanno diffondendo e peggiorando. I rapporti sullo stato della criosfera prendono il polso della criosfera su base annuale. La criosfera è il nome dato alle regioni di neve e ghiaccio della Terra e va dalle calotte glaciali, ghiacciai e permafrost al ghiaccio marino e agli oceani polari, che si stanno acidificando molto rapidamente.

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    Questo ultimo rapporto ha delineato delle proiezioni basate su vari scenari futuri di riscaldamento sottolineando che le Alpi europee, in particolare, potrebbero conservare una parte significativa del proprio ghiaccio nel tempo se il riscaldamento diventasse limitato a 1,6-1,8° C, prima di diminuire ulteriormente entro il 2100. Tuttavia, il rapporto ha anche osservato che le perdite di ghiacciai "continueranno ad un ritmo elevato nei prossimi decenni proprio a causa dell'attuale riscaldamento globale.

    Le temperature nelle Alpi europee nel corso dell'ultimo secolo sono aumentate di circa 2°C, ovvero il doppio della media globale. La scorsa estate le ondate di caldo hanno portato a temperature da record a giugno in tutto il continente e, catalizzate dalla mancanza di neve e precipitazioni durante l'inverno e la primavera, hanno causato la scomparsa dei ghiacciai a un ritmo record e il numero di frane e crolli di seracco potenzialmente in letali aumenti. I crolli di seracco sono delle conformazioni di ghiaccio instabile e tendono cioè a collassare quando meno si può pensare. Ne citiamo uno che si è verificato nel mese di luglio 2022 nei pressi della cima Marmolada del gruppo montuoso delle Alpi orientali ad una velocitò di 300 chilometri l'ora con valori di temperatura straordinariamente elevati, molto al di sopra delle medie normali di giugno e luglio. Fatto di non poca importanza è che l'aumento delle temperature ha anche un impatto negativo sulla biodiversità in montagna.

    Un altro dato importante ci viene dato dalla glaciologa di fama mondiale e ambientalista Heidi Sevestre, laureata presso The University Center in Svalbard e l'Università di Oslo (Norvegia), che non fa parte della ricerca, ha recentemente ha dichiarato che 3,5 miliardi di persone dipendono dall'acqua dei ghiacciai per bere, servizi igienici, energia idroelettrica, irrigazione e trasporto fluviale e che tutti dobbiamo preoccuparci della loro perdita. Oggi gli scienziati si rendono conto che questa criosfera è un gigante dai piedi d'argilla: è molto più sensibile di quanto pensassimo. E salvarlo è una questione cruciale, per essere più concreti, ecco i due motivi principali per cui deve essere protetto.

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    Se tutto questo ghiaccio terrestre si sciogliesse, rappresenterebbe circa 65 metri di innalzamento del livello del mare, il che non è trascurabile. Ad esempio, 700 milioni di persone vivono “solo” tra 0 e 10 metri sul livello del mare e stiamo già assistendo allo spostamento di popolazioni o al recupero di acqua dai terreni agricoli. Che viviamo o meno vicino agli oceani, ne risentiremo inevitabilmente tutti poiché l'innalzamento delle acque sconvolge i nostri confini e le nostre attività economiche.

    In glaciologia il discorso è molto semplice: non dobbiamo superare 1,5 gradi di aumento di temperatura (anche se ci corriamo con slancio). Oltre a ciò, perdiamo totalmente il controllo di ciò che sta accadendo e attraverseremo un punto di non ritorno. Con le COP e le conferenze sul clima, i paesi dovrebbero non superare questo limite, o il meno possibile. Infine, quello che chiediamo loro è essere ambiziosi, il che significa semplicemente: che mantengano gli impegni presi! Le persone non sono stupide e chiedono loro più azioni. Devono avere il coraggio di dimostrare che il nostro futuro potrebbe essere diverso.

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    Un passo importante nell'affrontare la crisi climatica è aiutare a portare al potere i politici che si prendono cura del clima, ha dichiarato, dopo la COP27, la Sevestre al sito web ukclimbing.com (UKC) nel novembre 2022. "L'unica soluzione che raccomando sempre è votare per persone che rispettano il lavoro degli scienziati e che comprendono l'estrema urgenza in cui ci troviamo attualmente", ha affermato. "Ma anche usare la nostra voce per avviare un'azione collettiva".

    A meno di una settimana dall'inizio del 2023, i record della temperatura sono già stati battuti in tutta Europa, ed almeno otto paesi europei hanno registrato temperature record. La mancanza di neve ha causato la chiusura o il ritardo dell'apertura di alcune stazioni sciistiche e i vacanzieri hanno riferito di aver dovuto cambiare programma, mentre le stazioni sciistiche scozzesi stanno segnalando un boom di numeri dovuto alla copertura nevosa superiore rispetto ai punti caldi alpini.

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    Animazione di bellissime località del Parco Nazionale degli Stati Uniti.


    Incontrandosi alla COP27 a Sharm El-Sheikh, in Egitto, il 16 novembre 2022, un'ampia coalizione di 20 governi di paesi montani, polari e di pianura hanno firmato congiuntamente un impegno per salvare il pianeta. Il gruppo "Ambition on Melting Ice on Sea-level Rise and Mountain Water Resources" (Ambizione sullo scioglimento dei ghiacciai sull'innalzamento del livello del mare e sulle risorse idriche montane) mira a garantire che gli impatti della perdita di criosfera siano compresi dai leader politici e dal pubblico, non solo nelle regioni montuose e polari, ma in tutto il mondo.

    In ogni caso le cose stanno relativamente migliorando: circa quindici anni fa si andava direttamente verso i +3 o +4 gradi centigradi entro la fine del secolo. Oggi, sulla carta, siamo più intorno a +2, +2,5 gradi. Che è sempre troppo, ovviamente. Sevestre: Voglio che tutti si innamorino dei ghiacciai e capiscano che non c'è tempo da perdere per salvarli.

    António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, che spesso citiamo attraverso queste pagine, nel suo discorso di chiusura della COP27, ha usato questa metafora:
    "La COP27 si è svolta non lontano dal Monte Sinai, un luogo centrale per molte fedi e per la storia di Mosè. Il caos climatico è una crisi di proporzioni bibliche. A differenza delle storie della penisola del Sinai, non possiamo aspettare un miracolo dalla cima di una montagna. Ci vorrà ognuno di noi a combattere nelle trincee ogni giorno. Insieme, non cediamo nella lotta per la giustizia climatica e l'ambizione climatica. Possiamo e dobbiamo vincere questa battaglia per le nostre vite".

    Forni


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  14. .

    Con la crisi climatica che sta diventando un argomento caldo nei principali mass media, c'è molta confusione su cosa sia effettivamente il cambiamento climatico. Proviamo a chiarire i fatti reali e riflettere sulle contaminazioni delle “bufale”!


    Schwarzsee


    Il caldo record all'inizio del 2023 ha lasciato gli sciatori delle Alpi con pochissime opzioni se non quella di sciare sull'erba. Anche alcuni paesi in Europa stanno uscendo da un 2022 caldo da record.

    Mentre il Nord America combatte pioggia gelata e forti nevicate, in Europa il 2023 ha portato caldo da record, basti pensare che il nuovo anno ha visto Bilbao in Spagna raggiungere i 24,9 °C. In Bielorussia, Repubblica Ceca, Danimarca, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia e, dulcis in fundo, Italia le temperature hanno registrato in questi primi giorni di gennaio valori sempre più alti, lasciando gli sciatori delle Alpi "a secco".

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    Le temperature in molte località d’Italia, nei primi giorni di questo mese, hanno raggiunto valori primaverili: Catania 20 gradi, Napoli e Reggio Calabria 16, Milano e Roma 14. Il Met Office del Regno Unito ha avvertito che il 2023 sarà probabilmente uno degli anni più caldi della Terra mai registrati, con una temperatura media globale prevista compresa tra 1,08°C e 1,32°C al di sopra dei livelli preindustriali. In un comunicato stampa, Nick Dunstone del Met Office ha affermato che le previsioni sono state influenzate dalla fine prevista di un prolungato evento climatico La Niña, che ha avuto un effetto di raffreddamento sulle temperature medie globali negli ultimi tre anni.

    Catania


    A causa del fatto che l'Artico si sta riscaldando più velocemente di qualsiasi altra regione sulla Terra, è stato dimostrato che quelle temperature più elevate interrompono il comportamento dei vortici polari, indebolendoli in modo che vagano a sud sopra gli Stati Uniti continentali.

    LE TEMPESTE INVERNALI NEGLI STATI UNITI CONTINUERANNO MENTRE L'EUROPA REGISTRA TEMPERATURE RECORD

    Oltre a combattere temperature pericolosamente fredde e vento gelido, parti degli Stati Uniti settentrionali hanno visto forti nevicate e bufere di neve, e recentemente mentre un vortice polare è sceso in tutto il paese, la National Aeronautics and Space Administration (Amministrazione nazionale dell'aeronautica e dello spazio) si è salvaguardata di ricordare al paese stelle a strisce che l'esplosione del freddo artico non significa che il cambiamento climatico non si stia verificando.

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    In un tweet pubblicato recentemente, la NASA Climate, una divisione dell'agenzia spaziale, ha indicato le tendenze a lungo termine da quando l'umanità ha iniziato a riversare gas serra nell'atmosfera terrestre. Lo spiega bene sul suo sito web, sottolineando che, sebbene "il clima della Terra sia cambiato nel corso della storia", il tasso di cambiamento sperimentato dall'alba della rivoluzione industriale non ha precedenti, circa 10 volte più veloce del tasso medio di riscaldamento sperimentato dopo un'era glaciale. L'agenzia spaziale chiarisce il meccanismo causale del tasso di accelerazione del riscaldamento, l'effetto serra, è stato determinato alla metà del 1800. "È innegabile che le attività umane abbiano prodotto i gas atmosferici che hanno intrappolato più energia del Sole nel sistema Terra", afferma la NASA Climate sul suo sito web.

    Mentre l'impulso a negare il cambiamento climatico sulla base delle condizioni meteorologiche immediate fuori dalla propria finestra è allettante, vale anche la pena ricordare che il riscaldamento della Terra è un fenomeno globale e che mentre un'area può sperimentare temperature gelide, il pianeta nel suo insieme continua a riscaldarsi. Quelle scoperte apparentemente controintuitive hanno fatto ben poco per placare il negazionismo del cambiamento climatico che prolifera regolarmente sui social media nei mesi invernali, promuovendo versioni del tipo: "Se il riscaldamento globale sta realmente accadendo, come mai fuori fa così freddo"? Mentre il fatto è che insieme all'aumento della CO2 atmosferica, le temperature medie sono aumentate dalla fine del 1800 e il ghiaccio marino è diminuito, il pianeta continuerà a sperimentare inverni freddi per decenni a venire.

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    SE IL RISCALDAMENTO GLOBALE STA REALMENTE ACCADENDO, COME MAI FUORI FA COSÌ FREDDO!

    "La linea di fondo è che non solo gli eventi di freddo estremo non sono incoerenti con il 1°C di riscaldamento che abbiamo già avuto, ma possiamo aspettarci che continuino nel prossimo futuro", ha detto a Yahoo News nel 2021 Noah Diffenbaugh, scienziato del clima alla Stanford Università.

    Ciò può includere anche temperature record come quelle che hanno colpito gran parte del Canada la settimana scorsa. Ciò che è più significativo, tuttavia, è la tendenza a lungo termine in cui il numero di temperature massime giornaliere record continua a superare il numero di minime record con un rapporto di 2:1 e, secondo la National Center for Atmospheric Research, i modelli informatici suggeriscono che la disparità dovrebbe crescere fino ad un rapporto 20:1 entro il 2050 e 50:1 entro il 2100.

    Il meteorologo Scott Duncan ha dichiarato: “L'intensità e l'estensione del calore in Europa in questo momento è difficile da comprendere. Uno dei rischi di un caldo invernale insolito come questo è che può far sì che le piante inizino a crescere all'inizio dell'anno, rendendole vulnerabili alle gelate, come abbiamo visto quando gran parte della vendemmia francese è andata persa nel 2021".

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    Il famoso scienziato del clima Michael Mann, direttore del Penn Center for Science, Sustainability and the Media presso l'Università della Pennsylvania, ha osservato con sgomento l'aumento del negazionismo climatico questo inverno su Twitter. "Questo sito internet è stato il mezzo principale per la diffusione dei fatti che circondano la crisi climatica", ha detto Mann in un post a E&E News, una testata giornalistica americana che si occupa di energia, politica ambientale, cambiamenti climatici, mercati e scienza. "Contaminando con fack news il discorso online con massicci eserciti di troll e bot, diventa molto difficile comunicare questi fatti, che è esattamente ciò che vogliono gli inquinatori e i cattivi attori petroliferi come la Russia e l'Arabia Saudita", ha aggiunto Mann.

    Sebbene ci siano pochi dubbi sul fatto che i promotori del negazionismo climatico siano, per usare un eufemismo, poco informati, nei congressi affermano che il freddo dimostra che il cambiamento climatico non è reale. Gli scienziati del clima come Peter Gleick, il co-fondatore del Pacific Institute di Oakland, che sostiene da sempre che i negazionisti del cambiamento climatico, non hanno mai prodotto una teoria scientifica alternativa tali opinioni sono ormai fin troppo familiari.

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    Sebbene il caldo stia lentamente diminuendo in Europa mentre l'aria artica si insinua da nord-est, sono previste temperature superiori alla norma per gran parte della regione continentale almeno fino al 12 gennaio ‘23. Successivamente, la previsione è un po' meno chiara, ma potrebbe emergere un andamento più fresco entro la metà del mese.

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  15. .

    Si prevede che il riscaldamento delle acque oceaniche, a causa del cambiamento climatico, provocherà la migrazione delle specie ittiche a livello globale e soprattutto nelle piccole isole dell'Oceano Pacifico, creando complicate disuguaglianze nello sviluppo sociale ed economico nel settore della pesca.


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    Le catture nell'oceano Pacifico occidentale e centrale rappresentano oltre la metà di tutto il tonno rastrellato. Gran parte di questo pescato viene prelevato nelle acque di dieci piccoli territori in via di sviluppo, che per la sicurezza alimentare e lo sviluppo economico, dipendono in modo sproporzionato dagli stock di tonno disponibili. Sta di fatto che il cambiamento climatico sta colpendo duramente queste isole, dove il livello del mare sale quattro volte più velocemente rispetto alla media globale, e questo pesce è fondamentale per questi paesi.

    Le parti dell'accordo di Nauru - The Parties to the Nauru Agreement (PNA) sulla gestione della pesca che ha compreso inizialmente otto Stati è stato raggiunto l'11 febbraio 1982. Hanno fatto parte gli Stati Federati di Micronesia, la Repubblica di Kiribati, la Repubblica delle Isole Marshall, la Repubblica di Nauru, la Repubblica di Palau, lo Stato Indipendente di Papua Nuova Guinea, le Isole Salomone e Tuvalu. Nauru, tra i paesi più piccoli del pianeta, 12.511 abitanti nel 2021, ha spinto per un'azione a sostegno dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo di fronte alla crisi climatica. Le (PNA) controllano la più grande pesca sostenibile del tonno con reti a circuizione e hanno lo scopo che i Paesi cooperino per gestire e sviluppare in modo sostenibile questa risorsa chiave.

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    Nel Pacifico occidentale e centrale, oltre agli otto Stati su menzionati, ce ne sono altri due che dipendono soprattutto dalla loro pesca per lo sviluppo economico e la sicurezza alimentare, al punto da essere considerati “dipendenti dal tonno” e sono le Isole Cook e Tokelau.

    Il futuro per gli stati delle isole del Pacifico sembra più promettente in scenari di minori emissioni di gas serra, che porterebbero a minori perdite di pescato e di sostentamento. La riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, in linea con l'accordo di Parigi, fornirebbe un percorso verso la sostenibilità e per le economie delle isole che sono tonno-dipendenti. Anche le organizzazioni regionali di gestione della pesca possono svolgere un ruolo nell'aiutare questi paesi per negoziare accordi atti a massimizzare i benefici economici, anche se la futura distribuzione del pesce potrebbe cambiare come vedremo in seguito.

    "È molto significativo, principalmente in termini di entrate per le piccole isole dell'Oceano Pacifico", afferma la dottoressa Sangaalofa Clark, la prima donna amministratrice delegata dell'accordo di Nauru. Clark ha fatto parte di un team che ha stimato le potenziali perdite nelle entrate delle tasse di pesca per le dieci piccole economie insulari se l'inquinamento da carbonio continua ad aumentare fino al 2050. "Si prevede che i cambiamenti del clima provocheranno una perdita di entrate governative di circa 90 milioni di dollari all'anno", afferma Clark, che ha espresso soddisfazione per i risultati complessivi della 19a riunione della Commissione per la pesca nel Pacifico occidentale e centrale che si è tenuta a Da Nang, in Vietnam, dall'1 al 7 dicembre 2022.

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    C’è da dire che i proprietari di pescherecci di tutto il mondo pagano tasse di accesso per pescare nelle acque di queste nazioni ed i loro governi addebitano ristori alle nazioni lontane comprese tra 7,1 e 134 milioni di dollari, fornendo una media del 37% delle entrate pubbliche totali (che vanno dal 4 all'84%). E in molti dei paesi, quel denaro fornisce ogni anno oltre il 40% delle entrate del governo. Ma, con il riscaldamento degli oceani, si prevede che le popolazioni del tonno si sposteranno verso est e nord, ovvero in acque al di fuori della giurisdizione di queste nazioni a causa del cambiamento climatico. Quindi, sebbene questi paesi generino solo una piccola quantità di inquinamento da carbonio, pagheranno un prezzo elevato per il riscaldamento causato da altri.

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    Il ruolo che il pesce svolge nella sicurezza alimentare delle popolazioni delle isole del Pacifico, di fronte alla rapida crescita della popolazione e al cambiamento climatico, è stato oggetto di uno studio di Johann Bell, professore onorario presso l'Università di Wollongong Sydney (UOW), in Australia, direttore senior per la pesca del tonno nel Pacifico presso Centro internazionale per la conservazione degli oceani e docente presso Centro nazionale australiano per le risorse oceaniche e la sicurezza (ANCORS). Bell ha altresì effettuato ricerche a lungo sulla pesca e l'acquacoltura nei paesi in via di sviluppo dell'Asia-Pacifico con l’Istituto di ricerca internazionale WorldFish e la Pacific Community (Comunità del Pacifico).

    In uno scenario di emissioni di gas serra costantemente elevate, poiché più pesci si spostano in alto mare, l’insieme del tonnetto striato (Katsuwonus pelamis), pinna gialla (Thunnus albacares) e tonno obeso (Thunnus obesus), che costituiscono la biomassa nelle acque dei dieci Stati delle isole del Pacifico, potrebbe diminuire in media del 13% entro il 2050, ha affermato Bell. Negli ultimi anni, lo studioso si è concentrato sulla pianificazione strategica necessaria per mantenere l'importante ruolo che il pesce svolge nella sicurezza alimentare delle popolazioni delle suddette isole di fronte alla rapida crescita della popolazione. Ha condotto un'importante valutazione della vulnerabilità della pesca e dell'acquacoltura nel Pacifico tropicale al cambiamento climatico ed è stato coautore del “Capitolo 30 (The Ocean)” del quinto rapporto di valutazione del gruppo intergovernativo di esperti “5th Assessment Report (AR5)” pubblicato nel 2013, e il resto completato a Copenaghen il 2 novembre 2014.

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    Johann Bell


    Il suo attuale lavoro si concentra sull'assistenza ai paesi delle isole del Pacifico e alle loro agenzie regionali per la pesca nell'identificare e fornire risorse per gli adattamenti necessari per ridurre i rischi posti dal cambiamento climatico per gli importanti benefici socio-economici derivati dal tonno.

    Nel capitolo 30 (The Ocean) sono stati condotti numerosi studi e osservazioni su 857 specie ittiche, sulla natura e lo stato delle conoscenze per come rispondere al cambiamento climatico e la sfida nella gestione dei rischi. L'ambiente oceanico sta cambiando e sono state registrate le risposte degli organismi marini da tutti gli oceani. C'é un parere non unanime sul fatto se gli impatti sulle specie marine e sugli ecosistemi pongono un'incertezza significativa. Comunque, i rischi associati si potrebbero intensificare man mano che il riscaldamento e l'acidificazione degli oceani continuano, così come la variabilità climatica naturale.

    COMMENTI AL CAPITOLO 30 (THE OCEAN)

    Come parte preponderante della Terra, l'Oceano esercita una profonda influenza interagendo con l'atmosfera, criosfera, terra e biosfera. Inoltre influenza direttamente il benessere umano attraverso la fornitura e il trasporto di cibo e risorse, nonché fornendo benefici culturali ed economici. Contribuisce anche indirettamente al benessere umano attraverso la regolazione del contenuto di gas atmosferico e la distribuzione di calore e acqua in tutto il pianeta. Questo capitolo esamina la misura in cui i cambiamenti regionali nell'Oceano possono essere accuratamente rilevati e attribuiti al cambiamento climatico antropogenico e all'acidificazione degli oceani. In particolare, i cambiamenti di temperatura e l'aumento della variabilità possono causare cambiamenti nella distribuzione spaziale, portando a cambiamenti nei tassi fisiologici locali e al successo del "reclutamento" – tipo la migrazione del tonno verso est. Dato che il cambiamento climatico colpisce le sotto regioni costiere di più nazioni, nei capitoli pertinenti di questo rapporto si trova una discussione dettagliata dei potenziali rischi e delle conseguenze per queste regioni.

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    PARTI DELL'ACCORDO DI NAURU (MICRONESIA)

    La pesca del tonno genera 6 miliardi di dollari all'anno per la manciata di piccoli Stati insulari in via di sviluppo denominati, come abbiamo visto, “Parti dell'Accordo di Nauru”, sulla gestione della pesca del 1982. Secondo Johann Bell "si prevede che questa pesca si disperderà e scomparirà dalle acque dei paesi e territori membri dell'ANP in un futuro non troppo lontano: un'altra vittima della crisi climatica. L'innalzamento del livello del mare non riguarda solo una minaccia esistenziale per la nostra piccola e bassa isola. Il cambiamento climatico minaccia anche un 'Armageddon economico', ovvero una apocalisse, se la pesca del tonno scompare”.

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    IMPATTI REGIONALI E VULNERABILITÀ PREVISTI

    Gli organismi marini si stanno dunque spostando verso latitudini generalmente più elevate, coerentemente con le tendenze al riscaldamento e le barriere coralline potrebbero scomparire dalla maggior parte dei siti a livello globale entro il 2050, come anche la riduzione del potenziale massimo di cattura per la pesca, la ridistribuzione globale delle catture e la diminuzione dei rendimenti della pesca. Nei sistemi marini, le ridistribuzioni delle specie stanno avvenendo approssimativamente con un ordine di grandezza più rapido rispetto ai sistemi terrestri, in parte a causa degli ectotermi marini, ovvero la condizione degli organismi viventi la cui temperatura corporea dipende dall'ambiente esterno e che hanno una maggiore vulnerabilità fisiologica al riscaldamento ambientale non riuscendo a ripararsi dal calore come invece succede agli animali terrestri.

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    L'innalzamento del livello del mare non riguarda solo una minaccia esistenziale per le piccole isole... . Qui siamo in California!


    Source

    E qui, tradotto dalla gif di cui sopra, una rappresentazione statica.


    Poiché i mari più caldi accelerano il loro metabolismo, pesci, calamari e altre creature che respirano acqua avranno bisogno di attingere più ossigeno dall'oceano. Allo stesso tempo, il riscaldamento sta già riducendo la disponibilità di ossigeno in molte parti del mare. Un fattore che va a svantaggio delle specie marine sono le loro branchie che non riuscirebbero a soddisfare un soddisfacente aumento di bisogno di ossigeno in acque più calde che contengono una quantità minore di ossigeno. Ciò posto potrebbe verificarsi che per sopravvivere, unica soluzione per i pesci, sarebbe quella di diminuire gradualmente le proprie dimensioni, tipo “un ritorno al passato”, come dichiarano alcuni ricercatori, che interesserebbe soprattutto i pesci più attivi, come appunto i tonni. I più ‘sedentari’, come la trota, potrebbero fermarsi al 18% di peso in meno.

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    Un pescatore lega la coda di un tonno rosso durante la fine della stagione di pesca del
    tonno di Almadraba vicino alla costa di Barbate, nella provincia di Cadice, in Spagna.


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    "Quello che abbiamo scoperto è che la dimensione corporea dei pesci diminuisce dal 20 al 30 percento per ogni aumento di un grado Celsius della temperatura dell'acqua", ha affermato William Cheung, direttore scientifico della Nippon Foundation—Nereus Program dell'Università della British Columbia. Lo studio, pubblicato il 21 agosto 2017 sulla rivista scientifica Global Change Biology, chiarisce che il cambiamento climatico potrebbe avere un profondo impatto su molte reti alimentari marine, sconvolgendo le relazioni predatore-preda in modi difficili da prevedere.

    RIDISTRIBUZIONE DELLE SPECIE MARINE GUIDATA DAL CLIMA

    Come abbiamo visto, la ridistribuzione delle specie guidata dal clima è già uno degli impatti più pronunciati e impegnativi del riscaldamento degli oceani su scala locale e globale. Capire come affrontare questa sfida su più scale e agire strategicamente nel prossimo decennio sarà importante per migliorare gli impatti negativi di questi cambiamenti, rispondere in modo informato e coordinato alle opportunità che potrebbero derivare da questi cambiamenti e muoversi verso un futuro più sostenibile della gestione degli oceani.

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    Determinare quali specie hanno maggiori probabilità di subire cambiamenti di habitat guidati dal clima e valutare le velocità con cui si verificano questi cambiamenti è essenziale per gestire le conseguenze per gli ecosistemi e il benessere umano. Tuttavia, i taxa di ridistribuzione marini, ovvero il gruppo di organismi ritenuti facenti parte della medesima categoria, sono considerevoli, sfidando la capacità di scienziati e manager di sviluppare strategie di adattamento applicabili ad ampi gruppi di specie.

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    Uno degli effetti più pronunciati del cambiamento climatico sugli oceani del mondo è dunque il movimento (generalmente) verso i poli delle specie e degli stock ittici in risposta all'aumento della temperatura dell'acqua. In alcune regioni, tali ridistribuzioni stanno già causando drammatici cambiamenti nei sistemi socio-ecologici marini, alterando profondamente la struttura e la funzione dell'ecosistema.

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