Profumo di mare: Terra, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità, transizione ecologica

  1. Cambiamento climatico: Madre Terra, una vecchia signora nata 4,5 miliardi, non ce la fa più.
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    Una inutile Cop28 con gli scienziati - che, come al solito, lanciano segnali di allarme per 6 limiti planetari su 9 ormai superati - predicono la fine della vita del pianeta blu.


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    Il cambiamento climatico è una delle maggiori minacce per l'umanità e gli scienziati sono ben orientati per contribuire ad affrontarlo al di là della ricerca accademica, ma poco si sa del loro impegno con l'argomento tranne per pochi che si espongono continuamente come vedremo in seguito. Pertanto, pur essendo molto preoccupati per la grave situazione climatica, incontrano numerosi ostacoli ad impegnarsi.

    Fabian Dablander - post-dottorato ricercatore presso l’Institute for Biodiversity and Ecosystem Dynamics, University of Amsterdam (Istituto per la biodiversità e le dinamiche degli ecosistemi, e l’Institute for Advanced Study, University of Amsterdam (Istituto per gli studi avanzati dell'Università di Amsterdam, Netherlands (Paesi Bassi), attivo in “Scientist Rebellion” (Ribellione degli scienziati) da circa due anni - ed altri ricercatori, con uno studio pubblicato il 28 novembre 2023 “Climate Change Engagement of Scientists” (Coinvolgimento degli scienziati nel cambiamento climatico), hanno indagato appunto sull'impegno degli scienziati nei confronti del cambiamento climatico utilizzando analisi quantitative e qualitative nell'ambito di un'indagine su larga scala che ha coinvolto 9.220 esperti in 115 paesi, in tutti i settori e in tutte le fasi della carriera. A proposito di Scientist Rebellion: è utile ricordare che si tratta di un movimento internazionale di scienziati e accademici estremamente preoccupati per la crisi climatica ed ecologica e che credono che la disobbedienza civile da parte loro possa aiutare a premere per un’azione urgente sul clima.

    Fabian Dablander che esegue anche ricerche presso il “Department of Psychological Methods at the University of Amsterdam” (Dipartimento di metodi psicologici dell'Università di Amsterdam) - in quanto dottore in Statistica e Metodologia, su una varietà di argomenti, tra cui una stima del grado di fiducia in una data ipotesi prima dell'osservazione dei dati (i cosiddetti test bayesiani), inferenza causale e segnali di allarme precoce dei punti critici – in una sua recente pubblicazione nel suo blog, denuncia come “stiamo attualmente superando molteplici confini planetari, spingendo la Terra in uno stato visto l’ultima volta milioni di anni fa. Le incertezze su cosa porterà questa traiettoria abbondano, anche con un “solo” 1,1°C di riscaldamento. L’unica cosa certa è che dobbiamo cambiare radicalmente rotta per evitare gli esiti peggiori”.
    Questo studio, pubblicato nel 2009 con il suo team vede come precursore Johan Rockström ecologo e ricercatore svedese nel campo delle scienze della Terra, ha sviluppato il quadro dei confini planetari (Planetary Boundaries), sostenendo che i nove confini planetari, come vedremo più avanti, dal clima alla biodiversità, siano concetti fondamentali per mantenere uno "spazio operativo sicuro per l'umanità".

    Dopo la suddetta breve parentesi, che approfondiremo successivamente, torniamo a discutere del “coinvolgimento degli scienziati nel cambiamento climatico”. Un'ampia maggioranza degli scienziati sull'impegno degli scienziati nei confronti del cambiamento climatico si è dichiarata preoccupata ritenendo che per affrontare il problema dell'innalzamento della temperatura del pianeta siano necessari cambiamenti radicali dei sistemi sociali, politici ed economici dei Paesi. C’è da sottolineare che attualmente molti di loro sono già impegnati in cambiamenti individuali nello stile di vita, ma non lo sono nel sostegno pubblico o nell'attivismo. Ed è per questo che devono superare degli ostacoli dottrinali che si frappongono nel loro percorso scientifico prima di essere disposti ad impegnarsi in modo più efficace.

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    CAMBIAMENTO CLIMATICO: IMPEGNO E OSTACOLI DEGLI SCIENZIATI E ACCADEMICI

    Nel sottolineare che stiamo attraversando molteplici confini planetari, spingendo il sistema Terra al di fuori dello spazio operativo sicuro per l'umanità, il cambiamento climatico rappresenta una minaccia particolarmente urgente, sebbene alcuni governi e aziende si siano impegnati a raggiungere l'azzeramento delle emissioni nette per limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C. Però mancano strategie per rispettare tali impegni. Ciò espone il mondo ad alto rischio, con un aumento delle temperature, previsto entro la fine del secolo, che potrebbe essere al di là della capacità di adattamento delle società umane.

    Vi è un crescente riconoscimento del fatto che l'insufficiente mitigazione e adattamento è sostanzialmente dovuto alla resistenza degli attori che beneficiano dello “status quo”, ovvero situazioni di fatto, attuali o preesistenti rispetto a determinati eventi. Tra questi ostacoli figurano non solo le aziende di combustibili fossili che realizzano profitti record e influenzano indebitamente il processo decisionale (In altre parole la recente COP28), ma anche individui ricchi che, consapevolmente o meno, cercano di proteggere i loro stili di vita ad alta intensità di carbonio. Per superare questa resistenza e costringere i governi a intraprendere un’azione decisiva contro il cambiamento climatico è necessaria una pressione dal basso verso l’alto da parte di ampi settori della società.

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    Per contribuire a mobilitare la società scienziati e accademici (che però non sono scienziati e non usano il metodo scientifico nel loro lavoro) si trovano in una posizione privilegiata per potere utilizzare i loro status e competenze per plasmare l’opinione pubblica informandola sui rischi climatici e sulle possibili soluzioni, potendo sostenere una politica climatica più incisiva. Possono anche dare credibilità al più ampio movimento per il clima, ad esempio unendosi alle proteste, come fa il succitato Fabian Dablander, ed istruire gli studenti sui molteplici aspetti della crisi climatica.

    Tra gli ostacoli principali che si frappongono all'impegno degli scienziati nelle proteste figurano i dubbi sulla loro efficacia, tra cui la convinzione che il loro operato possa avere un impatto maggiore in diversi ruoli (ad esempio, come educatori); la discussione di altri percorsi di cambiamento e i potenziali effetti negativi delle proteste. Inoltre, il disaccordo con l'ideologia e le strategie degli attivisti, il non identificarsi con gli attivisti e la percezione di non avere una personalità adeguata, sono stati descritti come ostacoli all'adesione alle proteste.

    Comunque, la maggior parte degli scienziati che nutre serie preoccupazioni per il cambiamento climatico, non ha riferito di impegnarsi in attività di sostegno o protesta. Per comprendere meglio il motivo, gli autori dello studio succitato hanno raccolto in forma sintetica i loro risultati in un modello in due fasi di ostacoli e coinvolgimento. In questo modello, è emerso che sono stati inizialmente indecisi se impegnarsi o meno, o non disposti a farlo. A tal proposito hanno suggerito che essi debbano prima superare degli ostacoli per essere in linea di principio disposti ad impegnarsi, per poi coinvolgersi effettivamente in altre situazioni di impedimento. Hanno distinto, altresì, tra ostacoli intellettuali e pratici e hanno indicato se potrebbero impegnarsi nel sostegno e nelle proteste.

    Gli ostacoli intellettuali degli scienziati non disposti a impegnarsi includono dubbi sull'efficacia dell'impegno nel sostegno o nella protesta, ritenendo che non sia il loro ruolo impegnarsi in tali comportamenti. Inoltre, la non identificazione con gli attivisti e il disaccordo con l’ideologia e la strategia degli attivisti sono emersi come una barriera intellettuale alla volontà di unirsi alle proteste. Gli ostacoli pratici alla volontà di impegnarsi includono la paura di perdere credibilità, la percezione di avere una personalità inadatta, la mancanza di opportunità e tempo, di non avere un difensore nella propria cerchia ristretta e di non conoscere alcun gruppo di sostegno. Una percepita mancanza di competenze è stata particolarmente pronunciata per quanto riguarda la protezione, mentre un ostacolo particolare alla protesta è stata la paura delle ripercussioni.

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    VALUTARE LE CONVINZIONI E LE AZIONI DEGLI SCIENZIATI SUL CLIMA

    Come già accennato, gli intervistati provenivano da 115 paesi, da tutte le discipline scientifiche e da tutte le fasi della loro carriera. Molti erano professori ordinari (26,4%), provenienti da scienze naturali (41,6%), uomini (61,6%), tra i 35 e i 54 anni (57,6%), europei (51,5%) e di orientamento politico votato all'uguaglianza sociale indipendentemente dal loro sesso biologico, identità di genere od orientamento sessuale (il 45,8% ha indicato convinzioni ed azioni sul clima). La ricerca del 17,0% degli intervistati era fortemente correlata al cambiamento climatico, ma per il 24,5% non lo era affatto. Praticamente tutti gli intervistati ritengono che il cambiamento climatico sia causato dall’uomo (96,4%). Molti hanno affermato di essere abbastanza (42,2%) o molto (30,2%) informati sull'argomento, con il 32,2% degli intervistati che ha espresso abbastanza preoccupazione e il 51,3% molta preoccupazione.

    La stragrande maggioranza di tutti gli scienziati concorda (fortemente) sul fatto che affrontare il cambiamento climatico richiede cambiamenti fondamentali nei sistemi sociali, politici ed economici (91,2%), mentre la maggior parte anche con forza, concordano sulla necessità di cambiamenti significativi nei comportamenti personali e nello stile di vita (83,5%). Quasi il doppio degli scienziati in maniera molto convinta si sono detti contrari al fatto che la tecnologia risolverà in gran parte i problemi causati dal cambiamento climatico (43,5%) rispetto a coloro che hanno affermato con forza di essere contrari (27,5%). La maggioranza degli scienziati concorda sul fatto che i gruppi di attivisti ambientali possono guidare un cambiamento positivo riguardo al cambiamento climatico (69,2%), con pochissimi scienziati in disaccordo (9,3%).

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    LA PERCEZIONE DEL RUOLO DEGLI SCIENZIATI A PORRE UN FRENO AL CAMBIAMENTO CLIMATICO

    Per quanto riguarda la percezione del ruolo degli scienziati, il 35,4% degli intervistati si è sentito abbastanza a disagio e il 33,1% una grande responsabilità come scienziato nel ridurre il cambiamento climatico. Ancora di più (83,4%) ritiene che le istituzioni scientifiche abbiano una responsabilità sufficiente (32,3%) o considerevole (51,1%) nel ridurre il cambiamento climatico.

    Molti scienziati sono (fortemente) d’accordo (51,0%) sul fatto che questi dovrebbero impegnarsi maggiormente nella difesa dei diritti, e il 34,5% non è né d’accordo né in disaccordo. Meno scienziati sono (fortemente) d’accordo (36,7%) sul fatto che dovrebbero impegnarsi maggiormente nelle proteste legali che richiedono una maggiore azione per il clima, e il 40,1% non è né d’accordo né in disaccordo. Molti scienziati erano in disaccordo (38,1%) o fortemente in disaccordo (27,0%) sul fatto che la partecipazione a proteste legali legate al cambiamento climatico avrebbe diminuito la loro credibilità, mentre ancora di più erano in disaccordo (42,3%) o fortemente in disaccordo (35,2%) sul fatto che la partecipazione al cambiamento climatico il sostegno diminuirebbe la credibilità.

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    Non sono pochi gli scienziati hanno dichiarato di aver intrapreso cambiamenti di stile di vita ad alto impatto, tra cui:

    . La riduzione dell'uso dell'automobile (69,0%);
    . La riduzione dell'uso dell'aereo (51,4%);
    . L'aumento dell'efficienza energetica domestica o il passaggio all'energia rinnovabile (46,2%);
    . L’avere meno figli (36,2%) e seguire una dieta vegetariana o vegana (39,2%).

    Molti hanno anche riferito di aver intrapreso comportamenti di sostegno - ovvero all’azione di supporto attivo con l'obiettivo di influenzare le politiche e/o le procedure nei sistemi e nelle istituzioni politiche, economiche e sociali, che d’ora in poi chiameremo “advocacy” termine che può assumere forme diverse, da qualcosa di più simile alla diplomazia ai metodi tipici degli attivisti politici - fino ad un approccio scientifico e attivismo, tra cui:

    . Aver parlato di cambiamenti climatici con altri (77,5%);
    . Fatto donazioni a organizzazioni che si occupano di cambiamenti climatici (31,2%);
    . Partecipato ad attività di advocacy (29,3%);
    . Essere stato parte attiva a proteste legali legate al cambiamento climatico (23,4 %);
    . Aderito, in modo significativo, alla disobbedienza civile (9,7 %).

    Per entrambi i comportamenti, advocacy e attivismo, le variabili chiave associate ad una minore volontà d’impegnarsi da parte degli scienziati sono: (a) una mancanza di conoscenza sul cambiamento climatico per impegnarsi in tali azioni; (b) non essere convinti dell'impatto dei comportamenti (in particolare per protesta); (c) credere che il comportamento diminuirebbe la credibilità degli scienziati (in particolare per la protesta); (d) non avere un difensore del clima o un attivista nella propria cerchia di “peccatori” (in particolare per la protesta); (e) non credere che gli accademici debbano impegnarsi maggiormente nell'advocacy/protesta. Pur preoccupandosi del cambiamento climatico e credendo che gli attivisti possano guidare il cambiamento fossero importanti per la protesta, la sensazione di responsabilità accademica è stata associata a una maggiore disponibilità a impegnarsi per la difesa.

    L’advocacy è probabilmente la strada giusta per chi piace rimanere dietro le quinte. Un sostenitore generalmente corre molti meno rischi di una persona impegnata nell’attivismo che sono generalmente in prima linea nella lotta per il bene sociale. Uno dei principali vantaggi dell’attivismo rispetto all’advocacy è che gli attivisti hanno più opzioni, in quanto non sono limitati nelle loro tattiche come lo sono i sostenitori. Praticamente un’attivista, può fare quello che fa un sostenitore; al contrario, è meno probabile che un sostenitore indossi il “cappello” di un’attivista.

    JOHAN ROCKSTRÖM E IL QUADRO DEI CONFINI PLANETARI (PLANETARY BOUNDARIES)

    Il superamento dei molteplici confini planetari, come sostiene anche Fabian Dablander, ha implicazioni sul modo in cui organizziamo la scienza, con la psicologia che potrebbe svolgere un ruolo chiave in questa nuova era. La psicologia, dopo tutto, è la scienza della mente e del comportamento umano che causa le nostre molteplici crisi interconnesse. Ciò non significa, tuttavia, che gli psicologi siano particolarmente preparati per impegnarsi in questo tipo di lavoro. Si fanno pochi progressi all’interno di dipartimenti universitari isolati su questioni che trascendono i confini disciplinari e la consueta formazione accademica non fornisce agli psicologi gli strumenti necessari per parlare con campi più matematizzati, ovvero, formulare in termini rigorosamente razionali e valutare la realtà in termini esclusivamente matematici. Detto questo, ribadisce Dablander: “C’è ampio spazio per il lavoro psicologico empirico, ma non sono a conoscenza di una frazione considerevole di psicologi che si impegnano con questi argomenti a un livello commisurato alle minacce che ci attendono. Affrontare la crisi climatica ed ecologica richiede un approccio attivo e quindi necessariamente interdisciplinare”.

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    "1,5°C di riscaldamento globale non è una linea di demarcazione netta tra sicuro e pericoloso, ma è una sorta di indicatore di ciò in cui diventiamo sempre più preoccupati. L’innalzamento del livello del mare associato al collasso della calotta glaciale della Groenlandia è compreso tra i cinque e i sei metri. Se perdessimo tutto il ghiaccio. Ci vorranno secoli o millenni perché ciò accada, ma ciò non è ancora molto rassicurante per i paesi e le isole pianeggianti che sono preoccupati per la loro stessa esistenza.[Professore Richard Betts MBE, Responsabile degli impatti climatici, Met Office del Regno Unito e Università di Exeter.]

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    QUANDO IL DENARO FA LA DIFFERENZA

    Le compagnie petrolifere e del gas sono state accusate di essere le maggiori colpevoli dell’attuale crisi ambientale. Secondo un rapporto del marzo 2023 del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), è necessario un azzeramento netto delle emissioni di anidride carbonica (CO2) per limitare il riscaldamento globale causato dall’uomo. Tuttavia, “le emissioni di CO2 previste dalle infrastrutture esistenti per i combustibili fossili, senza ulteriori abbattimenti, supererebbero il budget di carbonio rimanente di 1,5°C”.

    Ciò indica le società di combustibili fossili che producono enormi quantità di emissioni di CO2 ogni anno. Secondo un rapporto del 2021 del World Economic Forum, “le emissioni fossili di CO2 rappresentano oltre il 90% delle attuali emissioni globali”. Tuttavia, pur essendo responsabili della maggior parte delle emissioni globali, le aziende produttrici di combustibili fossili rappresentano anche un’importante fonte di reddito per le agenzie.

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    Il riscaldamento dell’oceano abissale – acque profonde da 3.000 a 6.500 metri – potrebbe far sì che la circolazione capovolta dell’Antartide diminuisca di oltre il 40% entro il 2050. Infatti, l'agitazione dell'oceano viene interrotta dallo scioglimento dei ghiacci. Ci sono segnali preoccupanti che i torrenti di acqua dolce che si sciolgono al largo dell’Antartide stanno interrompendo i flussi di acqua fredda, salata e ricca di ossigeno che guidano le cruciali correnti oceaniche profonde. Queste potenti correnti immagazzinano e trasportano enormi quantità di calore e carbonio in tutto il mondo e sostengono la vita marina agitando l’acqua ricca di sostanze nutritive dalle profondità alla superficie. Un rallentamento di questa “circolazione ribaltata” potrebbe portare a un ulteriore scioglimento e spostare i modelli delle precipitazioni in tutto il mondo.

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    In conclusione citiamo una riflessione del prof. Anderson che ci trova pienamente d’accordo: "Siamo sulla buona strada per 4°C di riscaldamento. "Un futuro a 4°C è incompatibile con una comunità globale organizzata, rischia di andare oltre l'"adattamento", è devastante per la maggior parte degli ecosistemi e ha un'alta probabilità di non essere stabile". [Prof. Kevin Anderson, scienziato del clima britannico.]

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    Edited by Filippo Foti - 27/1/2024, 21:34
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