Profumo di mare: Terra, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità, transizione ecologica

  1. Superata la soglia del riscaldamento globale di 1,5 gradi centigradi, la follia eccita i visionari.
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    Aumenti della temperatura, la grave situazione dell’Amazzonia, oceani preziosi suggeritori e indispensabili contro il cambiamento climatico, studi contestati nelle profondità del Mar dei Caraibi e scenari futuristici e visionari e folli. Ecco in sintesi quanto vi proponiamo.

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    I recenti aumenti della temperatura media globale del pianeta, si sono avvicinati spiacevolmente ad un valore di riferimento strategico:1,5 °C. È un brutto segno per gli obiettivi climatici mondiali, ma i giochi non sono finiti. Non ancora! Il gennaio più caldo mai registrato sul nostro pianeta, secondo i dati diffusi giovedì 8 febbraio ‘24 dal "Copernicus Climate Change Service" - il programma di osservazione della Terra dell'Unione Europea, che fornisce informazioni dettagliate su temperatura e precipitazioni, neve e ghiaccio, siccità e incendi, tempeste e vento e modelli meteorologici - ha anche verificato che il riscaldamento globale ha superato un traguardo diverso e sgradito: negli ultimi 12 mesi, la temperatura media mondiale è stata superiore a 1,5 gradi centigradi, ovvero 1,6 °C, più di quanto fossero rispetto agli albori dell'era industriale.

    Il superamento di questa soglia ha un significato speciale nello sforzo internazionale per fermare il pericolo di questa "brutta bestia" rappresentata dal cambiamento climatico. Infatti, la temperatura da non superare di 1,5 °C, rispetto all’epoca preindustriale, era stata stabilita nell’ambito dell’accordo sul clima di Parigi del 2015, elaborato durante la 21a Conferenza delle parti (COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (UNFCCC) e adottato il 12 dicembre 2015. L'accordo ha segnato un punto di svolta storico per l'azione globale sul clima, poiché i leader mondiali di 195 nazioni hanno raggiunto un consenso comprendente gli impegni per combattere il cambiamento climatico e adattarsi ai suoi impatti; o almeno di mantenerlo “comodamente” al di sotto dei 2 °C. Ci riusciranno? A sentire scienziati e divulgatori onesti sembrerebbe di no!

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    CAMBIAMENTO CLIMATICO E DEFORESTAZIONE IN AMAZZONIA

    Dagli “sforzi” europei andiamo a verificare ciò che sta succedendo, e non da poco tempo, nel sud America e precisamente in Amazzonia il più vasto ecosistema del mondo, in cui fino alla metà della foresta pluviale potrebbe trasformarsi, nei prossimi decenni, in praterie o ecosistemi indeboliti. Per 65 milioni di anni, le foreste amazzoniche sono rimaste relativamente resistenti alla variabilità climatica. Oggi la regione è sempre più esposta ad uno stress senza precedenti derivante dall’aumento delle temperature.

    Secondo un nuovo studio, il cambiamento climatico, la deforestazione e gravi siccità come quella che la regione sta vivendo, danneggiano vaste aree oltre la loro capacità di recupero. Tali stress climatici, nelle parti più vulnerabili della foresta pluviale, potrebbero alla fine portare al collasso l’intero ecosistema forestale, che ospita il 10% delle specie terrestri del pianeta. Infatti, “in questa vasta regione geografica si sta andando verso un esaurimento idrico acuto ed oltre un punto critico che innescherebbe un crollo dell’intera foresta”, così si è espresso, in un nuovo studio, lo scienziato brasiliano dei sistemi terrestri Carlos Nobre, dell’Institute of Advanced Studies, University of Sao Paulo Brazil (Istituto di Studi Avanzati, Università di San Paolo, San Paolo, Brasile).

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    Mentre studi precedenti avevano valutato gli effetti individuali del cambiamento climatico e della deforestazione sulla foresta pluviale, Carlos Nobre - che studia come la deforestazione e il cambiamento climatico potrebbero cambiare in modo permanente la foresta pluviale - nel suo studio pubblicato peer-reviewed ieri 1 marzo 2024 sulla rivista Nature, ha affermato che si tratta della prima grande ricerca a concentrarsi sugli effetti cumulativi, ovvero che “somma i dati per dimostrare come questo punto critico sia più vicino di quanto stimato da altri studi".

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    Alcuni scienziati brasiliani temono che l’Amazzonia possa diventare una savana erbosa - incendi continui,
    cambiamenti uso del terreno ed insediamenti umani - con profondi effetti sul clima in tutto il mondo.

    Lo studio ha sovrapposto dati sulla copertura forestale, sulla temperatura e sull’andamento delle precipitazioni, e poi ha preso in considerazione altre variabili, come animazione sopra, che potrebbero descrivere varie sezioni della foresta più o meno fragili, come la presenza di strade o protezioni legali, per mappare dove è più probabile che si trovi la foresta pluviale in via di trasformazione.

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    Negli ultimi 50 anni l’Amazzonia ha perso oltre 800.000 chilometri quadrati di foresta, in gran parte per liberare terreno per il pascolo del bestiame e la produzione agricola. Poiché la crisi climatica globale fa sì che la regione diventi più calda e secca, le foreste rimanenti si trovano ad affrontare eventi gravissimi come siccità e incendi; ma questi sono anche la chiave per mitigare il cambiamento climatico agendo come pozzi di carbonio e assorbendo miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno. L’anno scorso il ministro dell’Ambiente brasiliano Marina Silva ha affermato che salvare l’Amazzonia richiede addirittura uno sforzo globale su scala pari a quella del Piano Marshall per la ricostruzione dei paesi europei devastati dalla seconda guerra mondiale.

    GLI OCEANI PREZIOSI SUGGERITORI E INDISPENSABILI CONTRO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

    Dall’Amazzonia al Mar dei Caraibi il passo è breve. La ricerca su una specie longeva ma raramente osservata nel Mar dei Caraibi sta aiutando alcuni scienziati a ricostruire una storia rivista del cambiamento climatico. Se dovessimo fidarci delle spugne marine che monitorano le temperature, il cambiamento climatico è avanzato molto più di quanto gli scienziati si aspettano. Il campanello d'allarme lo ha fornito una recente ricerca, anche se non accettata da alcuni eminenti scienziati, ovvero un’analisi di sei spugne marine, creature secolari con una chimica interna che nasconde segreti sulla storia del clima. Lo studio indica che le temperature globali sono già aumentate di 1,7 °C a causa dell’attività umana, rispetto all’aumento di 1,07 °C su cui gli scienziati attualmente concordano.

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    Dall’alba dell’era industriale, la nostra specie ha contribuito al riscaldamento del pianeta molto più di quanto lasciano intendere le stime odierne più ampiamente accettate; ciò, secondo un team di scienziati che hanno raccolto nei Caraibi nuove informazioni dettagliate sul clima passato della Terra da una fonte insolita: spugne secolari che vivono in quel mare.

    Esaminando la composizione chimica dei loro scheletri, che le creature hanno costruito costantemente nel corso dei secoli, Malcolm T. McCulloch - professore emerito presso l’Università dell’Australia Occidentale autore principale dello studio - e colleghi, hanno ricostruito una nuova storia di quei primi decenni di riscaldamento che porta a una conclusione sorprendente: gli esseri umani hanno aumentato la temperatura globale di un totale di circa 1,7 °C e non di 1,2 °C, il valore più comunemente usato.

    "È un po' un campanello d'allarme", ha dichiarato recentemente Malcolm T. McCulloch. Secondo il suo studio, la soglia di temperatura di 1,5 °C a Parigi è già stata superata intorno al 2010-2012. Con le nuove scoperte, “potremmo aver anticipato le cose di circa un decennio”, ha precisato l’emerito professore.

    Amos Winter coautore dello studio ha detto: “Le spugne, a differenza dei coralli, degli anelli degli alberi e delle carote di ghiaccio, ricevono acqua che scorre da ogni parte attraverso di esse in modo da poter registrare un'area più ampia di cambiamento ecologico. "Sono bellissime e non sono facili da cercare. Per trovarle serve una squadra speciale di subacquei e questo perché vivono nell'oscurità a una profondità compresa da 33 a 98 metri.”.

    McCulloch, Amos e altri scienziati hanno lavorato, sotto il Mar dei Caraibi, con un team di sommozzatori di acque profonde per esaminare da vicino sei campioni di "Ceratoporella nicholsoni" dal guscio duro - vicino alle coste di Porto Rico per calcolare le temperature della superficie dell'oceano risalenti a 300 anni fa - e delle Isole Vergini americane, aree in cui i cambiamenti del clima imitano le tendenze globali. Ceratoporella nicholsoni è una spugna che può impiegare centinaia di anni per crescere tra 10 e 15 cm. L’analisi dei campioni ha suggerito che, dopo un periodo di raffreddamento stimolato dalle eruzioni vulcaniche, le temperature dell’oceano hanno cominciato a riscaldarsi più di quanto si pensasse inizialmente – circa 0,5 °C in più – a metà del 1800.

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    I campioni di Ceratoporella nicholsoni dello studio sono stati prelevati da 33 a 91 metri di profondità al largo della costa di Porto Rico.

    Gli autori dello studio ritengono che le acque al largo di Porto Rico rimangono, appunto, relativamente costanti e riflettono il cambiamento globale così come in qualsiasi parte del mondo. La ricerca condotta da lui e dai suoi colleghi, pubblicata lunedì 05 febbraio 2024 sulla rivista "Nature Climate Change", aggiunge altre prove che suggeriscono che l’umanità ha iniziato a riscaldare il pianeta prima di quanto indicato dai record di temperatura del 19° secolo e che “il riscaldamento è di 0,5 °C superiore rispetto alle stime dell’IPCC”.

    MA NON TUTTI SONO CONVINTI DELLA RICERCA DEL TEAM DI MALCOLM T. MCCULLOCH

    Lo studio ha ricevuto feedback contrastanti da altri scienziati del clima. Alcuni hanno espresso scetticismo sulla dimensione del campione dello studio, sulla posizione e sulla struttura dei risultati di McCulloch, Amos ed il resto del team di ricerca. Michael Mann, scienziato del clima dell'Università della Pennsylvania non coinvolto nello studio - lo citiamo spesso tra le nostre pagine - ha affermato sul suo blog che "i risultati sono molto fuori dal pensiero ricorrente". Ma è ancora estremamente scettico sull'idea che “possiamo annullare i dati strumentali sulla temperatura superficiale globale basati sulle paleo-spugne di una regione".

    Il professor Richard Betts, capo della ricerca sugli impatti climatici presso il “Met Office Hadley Centre” del Regno Unito, anche lui non coinvolto nello studio, ha riferito a “Carbon Brief” - un sito web con sede nel Regno Unito specializzato nella scienza e nella politica del cambiamento climatico - che "soprattutto lo studio di McCulloch non significa che gli impatti si verificheranno prima del previsto”.

    Il professor Yadvinder Malhi dell’Università di Oxford, anch’egli non coinvolto nello studio, avverte che “il modo in cui questi risultati sono stati comunicati è imperfetto ed ha il potenziale di aggiungere inutile confusione al dibattito pubblico sul cambiamento climatico”.

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    Anche il dottor Duo Chan, docente di scienze del clima presso l’Università di Southampton, consiglia “cautela” nell’interpretazione dei risultati, sottolineando che “questa nuova stima del riscaldamento non si allinea con le stime storiche dei diversi fattori che influenzano il clima".La professoressa Gabi Hegerl, docente di scienza del sistema climatico all’Università di Edimburgo, afferma che il documento presenta un “bel nuovo record delle temperature oceaniche”, ma sottolinea che “l’interpretazione, in termini di obiettivi di riscaldamento globale, lo esagera avvertendo che un singolo luogo non può sostituire i dati globali, poiché il clima varia in tutto il mondo, motivo per cui l’unico modo per misurare la temperatura globale è ottenere dati nella loro globalità”.

    Allo stesso modo, Zeke Hausfather scienziato del clima responsabile della ricerca sul clima presso il “Climate Research Lead di Stripe” e ricercatore presso “Berkeley Earth”, definisce la scoperta “interessante”, ma afferma che “dovrebbe essere combinata con altri “record proxy”, (ovvero registrazioni/dati del passato n.d.r.), in una sintesi più ampia prima che cambi le nostre opinioni prevalenti.

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    Altri esperti hanno sollevato dubbi sul fatto che il riscaldamento di 0,5 °C nel 1800 sia causato dall’uomo, mentre molti hanno avvertito che i dati proxy - allineandosi con alcuni dei suddetti scienziati sopra elencati ed altri non menzionati - di una singola località non dovrebbero essere utilizzati per fare ipotesi sull’intero pianeta.

    SOLUZIONI DI GEOINGEGNERIA SOLARE, AL MOMENTO UTOPICA FANTASCIENZA, PER AIUTARE A RISOLVERE LA CRISI CLIMATICA

    Era il 1989 quando James Early del "Lawrence Livermore National Laboratory" suggerì uno “scudo solare spaziale” posizionato vicino a un punto fisso tra la Terra e il sole chiamato Lagrange Point One, o L1, a circa 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, quattro volte la distanza media tra la Terra e la Luna. Lì, le forze gravitazionali della Terra e del sole si annullano a vicenda. Al momento, l'interesse per le protezioni solari, un tempo un'idea marginale, è cresciuto notevolmente. Ora, un team di scienziati afferma che potrebbe lanciare un prototipo di uno scudo tipo un ombrellone gigante nello spazio entro pochi anni.

    La domanda sorge spontanea: Uno scudo solare spaziale gigante nello spazio? Con la Terra al suo punto più caldo mai registrato nella storia e gli esseri umani che non fanno abbastanza per fermare il suo surriscaldamento, un piccolo ma crescente numero di astronomi e fisici sta proponendo una soluzione che potrebbe uscire dalle pagine della fantascienza: l’equivalente di un “ombrello”, fluttuante nello spazio?

    Ebbene, sì! L'idea è quella di creare un enorme parasole e inviarlo in un punto lontano, tra la Terra e il sole, per bloccare una piccola ma cruciale quantità di radiazione solare, sufficiente a contrastare il riscaldamento globale. Gli scienziati hanno calcolato che se solo il 2% della radiazione solare fosse bloccata, ciò sarebbe sufficiente per raffreddare il pianeta e mantenere la Terra entro limiti climatici gestibili di 1,5 °C. Rimasta per anni ai margini delle conversazioni sulle soluzioni climatiche, con l’aggravarsi della crisi climatica, l’interesse per le protezioni solari ha guadagnato slancio, con sempre più ricercatori che ne propongono varianti.

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    Esiste anche una fondazione dedicata alla promozione degli scudi solari spaziali. Per affrontare le sfide ambientali senza compromettere la crescita economica, Bertrand Piccard e la Fondazione Solar Impulse hanno identificato oltre 1.000 soluzioni pulite e redditizie e ora si impegnano ad andare ancora oltre. Offrendo ai decisori politici ed economici una guida alle soluzioni implementabili su larga scala, la Fondazione li dovrebbe aiutare a stabilire una tabella di marcia per l’adozione di programmi energetici e ambientali molto più ambiziosi e a raggiungere così i loro obiettivi di neutralità carbonica.

    L'estate scorsa, Istvan Szapudi, un astronomo dell'Istituto di Astronomia dell'Università delle Hawaii, ha pubblicato un articolo in cui suggerisce di legare un grande scudo solare a un asteroide come contrappeso. appositamente attrezzato. Idea “folle”? Ma non è l’unica come vedremo più avanti. Gli asteroidi, a volte chiamati pianeti minori, sono resti rocciosi e privi di aria lasciati dalla formazione iniziale del nostro sistema solare circa 4,6 miliardi di anni fa. Il numero attuale di asteroidi conosciuti è di almeno 1.351.400. La potenziale soluzione è stata pubblicata il 31 luglio 2023 sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences -PNAS”. Finora, l'idea di uno scudo solare, in teoria, può raffreddare la Terra ombreggiandola da alcuni dei raggi solari, ma il problema è la grande quantità di peso necessaria per rendere uno scudo abbastanza massiccio da bilanciare le forze gravitazionali e impedire alla pressione della radiazione solare di soffiarlo via.

    Altra idea “folle”, rispetto a quella di Szapudi, - l’intelligenza artificiale renderà questi progetti realizzabili - proviene da ricercatori israeliani che credono che l'ombra di un milione di chilometri quadrati, cioè la dimensione dell’Argentina, un quarto delle dimensioni dell'intero Regno Unito, potrebbe ridurre la temperatura della Terra di 1,5 °C entro due/tre anni. Infatti, gli scienziati guidati da Yoram Rozen, professore di fisica e direttore dell'Asher Space Research Institute presso il Technion-Israel Institute of Technology, affermano di essere pronti, con indispensabili finanziamenti, a costruire un prototipo per dimostrare che l'idea funzionerà.

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    CRITICHE DI DIVERSI SCIENZIATI SUGLI SCENARI FUTURISTICI E VISIONARI


    L’idea dello scudo solare ha i suoi critici, tra cui Susanne Baur, una dottoranda presso il Centro europeo di ricerca e formazione avanzata nel calcolo scientifico in Francia che si concentra sulla modellazione della modificazione della radiazione solare. “La realizzazione sarebbe astronomicamente costosa e non potrebbe essere realizzata in tempo, data la velocità del riscaldamento globale. Inoltre, una tempesta solare o una collisione con rocce spaziali vaganti potrebbero danneggiare lo scudo, provocando un improvviso e rapido riscaldamento con conseguenze disastrose. Sarebbe meglio spendere tempo e denaro per ridurre le emissioni di gas serra e rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera, con una piccola parte della ricerca dedicata a idee di geoingegneria solare, più praticabili ed economiche”, ha affermato la Baur.

    Morgan Goodwin, direttore esecutivo della Planetary Sunshade Foundation, un'organizzazione senza scopo di lucro, appare più possibilista ed afferma che “uno dei motivi per cui gli scudi solari non hanno guadagnato così tanto successo è che i ricercatori sul clima si sono naturalmente concentrati su ciò che sta accadendo all'interno dell'atmosfera terrestre e non nello spazio. Ma i lanci spaziali più economici e gli investimenti in un’economia spaziale industriale hanno ampliato le possibilità”.

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    Ma incalzano ancora i sostenitori degli scudi solari sostenendo che in questa fase, la riduzione delle emissioni di gas serra non sarà sufficiente a placare il caos climatico, che la rimozione del biossido di carbonio si è rivelata estremamente difficile da realizzare e che ogni potenziale soluzione dovrebbe essere esplorata.

    LE PERSONE CON IDEE FOLLI CAMBIANO DAVVERO IL MONDO?

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    Morale di alcune “idee folli” fin qui raccontate: Il riscaldamento globale fa sì che molte specie in tutto il mondo sono in movimento, poiché continuano a spostarsi verso aree con temperature più familiari, cioè verso il polo, ma molte non riusciranno a tenere il passo con il cambiamento climatico e altre non avranno nessun posto dove andare, quindi si prevede che sempre più specie si estingueranno. Vediamo anche un calore - che definire estremo è solamente retorico - che si avvicina ai limiti assoluti del corpo umano, il che mette in pericolo la vita e limita il possibile lavoro al di fuori di una casa o di un ufficio con aria climatizzata.

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    Edited by Filippo Foti - 16/4/2024, 20:01
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