Profumo di mare: Terra, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità, transizione ecologica

Posts written by Filippo Foti

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    Nei prossimi decenni la maggior parte delle specie vegetali che si sono evolute per vivere dovranno affrontare un clima che non le sottoporrà allo stesso tipo di stress in cui si sono evolute, ma sarà il cambiamento climatico che potrebbe causare la loro scomparsa con la proliferazione dei parassiti che le uccideranno.


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    È arrivato dunque il momento di evitare questo genocidio della natura, che continua imperterrito, e cercare di identificare le condizioni che causano la morte delle piante. “Ciò ci consentirà di proteggerle meglio scegliendo obiettivi di conservazione in modo più strategico”. È quanto sostengono Leonie Schönbeck, Marc Arteaga, Humera Mirza, Mitchell Coleman, Denise Mitchell, Xinyi Huang, Haile Ortiz, e Louis S. Santiago, botanici della “University of California, Riverside"-UCR-. In un recente articolo del 12 settembre 2023 pubblicato su "Conservation Physiology", con il titolo “Plant physiological indicators for optimizing conservation outcomes” (Indicatori fisiologici delle piante per ottimizzare i risultati di conservazione), gli autori documentano come gli scienziati possono conoscere i limiti oltre i quali le funzioni vitali delle piante si interrompono, sostenendo che non agire è un errore in quest’epoca di crescente siccità ed incendi.

    Louis S. Santiago, coautore dello studio e professore di botanica dell'UCR, dichiara: "Possiamo misurare la quantità di perdita d'acqua che le piante possono tollerare prima che inizino ad appassire, e possiamo conoscere la temperatura alla quale la fotosintesi si ferma per diversi tipi di piante. È molto importante misurare i limiti critici di quando ciò avverrà, e non solo determinare come stanno andando ora. L'avvizzimento, ovvero la perdita di ‘pressione del turgore cellulare’ quando la pianta perde acqua, non è sempre fatale ma è ad un passo verso la sua fine”.

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    Secondo Santiago, tutto è iniziato dopo l'ultima siccità quando si è assistito alla sofferenza delle piante. Giova ricordare che gli scienziati del "Goddard Institute of Space Studies" - l'Istituto Goddard per gli studi spaziali della NASA a New York è dedicato Robert Goddar, uno dei pionieri della missilistica moderna ed uno dei maggiori laboratori che riguardano le scienze dello spazio - hanno accertato che l’estate del 2023 è stata la più calda sulla Terra da quando sono iniziate le registrazioni globali nel 1880. I cambiamenti sono stati più evidenti in tre aree specifiche della Terra, vale a dire il Mediterraneo, il Sud America sud-occidentale e il Nord America occidentale, dove l’aridificazione, il processo a lungo termine anticamera della desertificazione, ha superato l’entità del cambiamento osservato nell’ultimo millennio. Santiago, paragona l’evento a ciò che può succedere ad altri esseri viventi (gli umani), e sostiene l'evento è simile: “Proprio come le persone con una pressione sanguigna estremamente alta potrebbero morire se non riescono ad abbassarla”.

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    Gli studiosi avrebbero voluto fare queste misurazioni per vedere se sarebbe stato possibile prevedere le morie che avevano visto. In generale, secondo gli autori dello studio, si è in grado di individuare le specie rare e più vulnerabili e di concentrarsi su di esse a causa del cambiamento climatico, ma ci vorrà la collaborazione di fisiologi vegetali, biologi ambientalisti, e gestori del territorio. “Lavorando assieme, sostiene Santiago, in modo più intelligente potremo farcela”. Secondo l’Agenzia meteorologica giapponese e del Servizio europeo per i cambiamenti climatici Copernicus, luglio è stato il mese più caldo degli ultimi 120.000 anni, il tutto durante l’estate più calda conosciuta dall’umanità.

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    Il team dell’UCR ritiene che comprendere l’attuale stato fisiologico di una specie di pianta durante lo stress – che molti sperimentano più spesso con temperature più calde e secche in molti luoghi – possa essere molto utile per mostrare quanto alcune piante siano già vicine all’estinzione locale. In combinazione con i dati sui limiti critici, i fondi limitati per la conservazione potrebbero essere spesi in modo ancora più saggio, rivelando i segnali di allarme delle piante prima che diventino visibili. Tuttavia, secondo gli autori, questi limiti critici di stress non vengono spesso presi in considerazione quando si valuta la salute delle popolazioni vegetali, in parte perché questa soglia ancora non esiste per la maggior parte delle specie.

    Estinzioni


    Ad oggi, il grande database delle piante elenca circa 700.000 specie presenti sulla Terra, ma sono solo circa 1.000 quelle di cui si conoscono i limiti. Le piante possono, in alcuni casi, superare i propri limiti per un breve periodo e riprendersi. Ad esempio, le piante d'appartamento appassiscono quando non ricevono abbastanza acqua e si riprendono quando finalmente la ricevono. Tuttavia, se rimangono appassiti troppo a lungo, probabilmente moriranno. Analizzando nello specifico le piante da fiore, i ricercatori affermano che il 45% di tutte le specie conosciute potrebbe essere a rischio di estinzione.

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    Come sostiene ‘Euronews.green’, in un articolo apparso il 10 ottobre scorso, secondo il quinto rapporto "Lo stato delle piante e dei funghi nel mondo" di Kew (Londra), dove si trova il “Kew Gardens” uno dei giardini botanici più belli al mondo, e redatto da aprile a marzo 2023, stima che ci sono circa il 77% delle piante vascolari non rappresentato e il 45% di quelle a fioritura conosciuta che sono in procinto di scomparire. Sulla base di questi risultati, si rende necessario proteggere le aree in cui si trovano queste specie per mantenere la biodiversità delle regioni in cui vivono. Molte di queste regioni sono considerate (hotspot) 'punti caldi' della biodiversità, ovvero delle regioni geografiche con una significativa riserva di biodiversità che sono a rischio a causa dell'attività umana che rappresenta una minaccia per un gran numero di specie. Dal 2016 si sono succeduti cinque rapporti e il nuovo si basa sul lavoro di oltre 200 ricercatori internazionali e su 25 articoli scientifici all’avanguardia che riunisce tutte le ricerche più recenti e delinea le aree in cui permangono lacune critiche in quelle che già si conoscono.

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    L’IMPORTANZA DI DARE UN NOME E DESCRIVERE LE SPECIE

    Tutte le specie finora incontrate devono essere formalmente nominate e descritte. Ma l’enorme numero di nuove piante che vengono ancora scoperti ogni anno – e la duplice crisi della perdita di biodiversità e del cambiamento climatico – significa che preziosi organismi stanno scomparendo. C’è da aggiungere che più di 18.800 nuove specie di piante e funghi, dall’inizio del 2020, sono state denominate dalla scienza.

    Santiago si concentra sulla fisiologia vegetale e sui processi chimici e fisici associati. Tuttavia, negli ultimi anni gran parte dell’attività nel suo laboratorio si è spostata sullo studio dei limiti critici. Per questa pubblicazione, già sopra descritta, lui e i suoi studenti hanno misurato i punti di avvizzimento delle foglie di sei specie di Chapparal - una comunità vegetale speciale di arbusti aromatici semilegnosi e semidecidui resistenti alla siccità della California meridionale, tra cui il Lillà un arbusto del quale si conoscono 30 specie, che può diventare anche un piccolo albero con tronchi alti fino a 4 metri e due tipi di salvia. Il loro lavoro dimostra che esistono molteplici mezzi per ottenere i limiti critici e come le informazioni potrebbero aiutare i risultati di conservazione.

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    Nei prossimi decenni la maggior parte delle specie vegetali dovrà affrontare un clima che non le sottoporrà allo stesso tipo di stress in cui si sono evolute per vivere. Per gli appassionati di piante che desiderano aiutarli a sopravvivere, Santiago consiglia di impegnarsi con le specie vegetali autoctone, grazie alla creazione delle banche dei semi. A livello globale, quasi due specie vegetali su cinque sono a rischio di estinzione, con l’uso del territorio e il cambiamento climatico come fattori principali.

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    Se questa lettura è stata di tuo gradimento continua a seguirci qui troverai elencati tutti i miei post. Tra gli argomenti: il nostro pianeta, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità e tanto altro. Come si evince dalle nostre "Statistiche", con oltre 6.000 articoli e commenti!

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    Le lezioni del passato della Terra possono aiutarci a sopravvivere alla crisi climatica Le minacce di ieri e quelle di oggi hanno in comune il cambiamento climatico e i continui appelli della comunità scientifica internazionale sono puntualmente disattesi.


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    Siamo la prima generazione a sentire il dolore del cambiamento climatico e gli ultimi a poter fare qualcosa al riguardo, sostiene Michael Mann nel suo recente libro “Our fragile moment”. La minaccia esistenziale posta dal riscaldamento globale è diventata una sorta di cliché. Mentre il cambiamento climatico passa dall’essere un pericolo imminente a una realtà mortale per vaste aree del pianeta, si discute sull’ampia frattura tra ciò che gli scienziati dicono sia necessario fare per moderare un disastro imminente e la realtà permanente della politica internazionale di ciò che è possibile fare.

    MICHAEL MANN E IL PIANETA RICCIOLI D'ORO

    Il nome del pianeta "riccioli d'oro" deriva dalla fiaba per bambini “Riccioli d'oro e i tre orsi”, dove la bambina protagonista, chiamata appunto “Goldilocks” (Riccioli d'oro"), sceglie tra (grande o piccolo, caldo o freddo, ecc...)sempre la via di mezzo, ignorando gli estremi. Allo stesso modo, un pianeta Goldilocks non è né troppo vicino né troppo lontano da una stella, in modo da non escludere la presenza di acqua liquida sulla sua superficie, elemento fondamentale per la presenza di vita così come gli esseri umani la concepiscono.

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    Così Mann: “Goldilocks ha acqua, un’atmosfera ricca di ossigeno e uno strato di ozono che protegge la vita dai dannosi raggi ultravioletti. Non fa né troppo freddo né troppo caldo, apparentemente giusto per la vita. Nonostante la nostra continua ricerca – che, con il recente avvento del telescopio James Webb, si estende ora per quasi quattordici miliardi di anni luce –non abbiamo trovato finora nessun altro pianeta nell’universo con condizioni così favorevoli. È quasi come se questo pianeta, la Terra, fosse fatto su misura per noi. Eppure sembra non esserlo…”.

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    MANN VS GLI SCETTICI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO

    Se gli scettici del cambiamento climatico hanno una bestia nera, Michael Mann fornisce dettagli su come coinvolgere il pubblico nella crisi più scottante del nostro tempo. Bersaglio di incessante ostilità, Mann ha trascorso 20 anni a lanciare l'allarme sul cambiamento climatico difendendosi dalle campagne diffamatorie degli scettici, rendendolo uno dei climatologi più famosi e notoriamente tra i più attaccati in America. Autore di oltre 200 articoli sulla scienza del clima, il lavoro più influente di Mann è probabilmente il grafico “bastone da hockey” del 1998 che dimostra che l’attività umana ha aumentato la temperatura della Terra dopo quasi mille anni di stabilità. Lo studio di Mann, protagonista del film premio Oscar 2006 di Al Gore, “An Inconvenient Truth” (Una scomoda verità), ha scosso la comunità scientifica e plasmato il primo rapporto sul clima delle Nazioni Unite che ha portato ad affermare che il comportamento umano influisce sulla temperatura terrestre.

    Nel libro, An Inconvenient Truth Mann ripercorre gli episodi del cambiamento climatico globale degli ultimi 4,5 miliardi di anni, da epoche di caldo mortale a terre desolate di ghiaccio diffuso. In ogni caso, dà lezioni su ciò che accade alla Terra nei periodi del cambiamento del clima. A volte, i risultati sono drammatici come estinzioni di massa o sconvolgimenti geologici, altre volte, come nel caso degli Accadi, si tratta di un collasso sociale.

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    LA MALEDIZIONE DI AKKAD

    Oltre quattro millenni fa, negli ultimi giorni dell'impero accadico in Mesopotamia, una siccità colpì la regione, affliggendo terre lontane come la Grecia e quello che oggi è il Pakistan. Probabilmente spinto dall’eruzione di un lontano vulcano, il clima secco devastò l’agricoltura locale. Un saggio egiziano, “La maledizione del sovrano Akkad”, primo re dell'Impero accadico circa dal 2335 al 2279 a.C., osservava che per la prima volta da quando furono costruite e fondate le città, quando i terreni agricoli, un tempo prosperi, crollarono nella parte settentrionale dell’impero le grandi distese agricole non producevano grano, ii frutteti non producevano né sciroppo né vino, colui che dormì sul tetto, moriva sul tetto, chi dormì in casa, non ebbe sepoltura e la gente si dibatteva per la fame, non restò altro da fare per i superstiti fuggire verso sud.

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    Il sistema climatico della Terra comprende forze di regolazione che tendono a tamponare i piccoli cambiamenti climatici; le calotte polari e le nuvole basse riflettono la luce solare e contribuiscono, ad esempio, a raffreddare il pianeta. Ma spinte troppo oltre, le forze di regolazione possono essere sopraffatte, causando una spirale fuori controllo sul clima. La più grande catastrofe nella storia della vita sulla Terra è il risultato di una delle eruzioni vulcaniche più titaniche mai registrate. Alla fine del periodo Permiano, circa 252 milioni di anni fa, scomparvero più del 90% di tutte le specie marine e circa il 75% di tutte le specie terrestri.

    IL CASO 55 MILIONI DI ANNI FA

    Mentre una serie costante di eruzioni vulcaniche emetteva anidride carbonica nell’aria, la Terra si riscaldava. Il caldo potrebbe aver contribuito a creare nuvole più sottili e meno riflettenti. Ciò a sua volta avrebbe reso il pianeta ancora più caldo. Alla fine, le nuvole basse scomparvero e la temperatura media globale salì a 32° C., creando ciò che viene definita una "Terra serra". Oggi, con le emissioni incontrollate di gas serra, potremmo trovarci di fronte ad una spirale simile, anche se meno soffocante, con la scomparsa delle nostre calotte glaciali riflettenti, che contribuiscono al raffreddamento della Terra.

    Mann, nel suo nuovo libro "Our Fragile Moment" (Il nostro momento fragile), sostiene ciò che rende invece diverso l’attuale cambiamento climatico, ovvero la sua fonte che identifica il genere umano e la nostra capacità di fermarlo. Lo scioglimento delle calotte glaciali potrebbe aumentare il livello del mare e costringere circa il 40% della popolazione mondiale a lasciare le loro terre. Pertanto, l’aumento del calore potrebbe rendere inabitabili intere aree del pianeta. "Ma se agiamo, possiamo preservare un mondo che assomiglia molto al nostro. Il limite non è geologico e nemmeno tecnologico bensì è politico", sostiene Mann

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    COMPRENDERE IL PROFONDO PASSATO DELLA TERRA

    Nel suo libro, dopo aver viaggiato nel passato, Mann ci porta al presente e guarda al futuro. Anche se i climi del passato possono offrire lezioni, queste vanno solo fino a un certo punto. È improbabile che riusciremo a creare un’altra "Terra-serra" - un periodo durante il quale non esistono ghiacciai continentali in nessuna parte del pianeta - ma il clima si sta riscaldando più velocemente di quanto non abbia fatto negli ultimi millenni, grazie alle sconsiderate azioni umane. Se l’attuale politica climatica regge, le migliori previsioni scientifiche mostrano che le cose saranno dolorose, ma la civiltà non finirà e gli scienziati del clima non sono oracoli. Non possono esserne sicuri. Questa incertezza, invece di essere motivo di compiacenza, dovrebbe spronarci all’azione. Gli impatti del cambiamento climatico, senza dubbio, costituiscono una minaccia esistenziale se non agiamo, ma possiamo ancora farlo. "Il nostro fragile momento può ancora essere preservato”, osserva Mann.

    Le condizioni che hanno permesso agli esseri umani di vivere su questa Terra sono fragili, incredibilmente fragili. La variabilità climatica a volte ha creato nuove nicchie che gli esseri umani o i loro antenati potrebbero potenzialmente sfruttare, e sfide che a volte hanno stimolato l’innovazione. Ma esiste un intervallo relativamente ristretto di variabilità climatica all’interno del quale la civiltà umana rimane vitale. E la nostra sopravvivenza dipende dal fatto che le condizioni rimangano entro tale intervallo, sostiene Mann, che già nel suo precedente lavoro, “The New Climate War”, ci ha mostrato le condizioni sulla Terra che hanno permesso agli esseri umani non solo di esistere ma di prosperare, e come sono in pericolo se deviamo dalla rotta. I sistemi climatici e le civiltà sono stabili solo fino a un certo punto. In “Our Fragile Moment”, Mann ci ricorda che oggi stiamo spingendo i limiti di entrambi.

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    QUALI PIANETI DEL SISTEMA SOLARE SI TROVANO NELLA ZONA ABITABILE?

    Venere, Terra, Marte e Mercurio orbitano tutti all'interno della zona abitabile del Sole. Secondo Bruce Betts - responsabile del programma “LightSail 2 for The Planetary Society”, il più grande gruppo di interesse spaziale del mondo, che dopo tre anni nello spazio si è disintegrato nell'impatto con l'atmosfera giovedì 17 novembre 2022 - Venere, il secondo pianeta più vicino al sole dopo Mercurio, è il più piccolo del sistema solare e orbita attorno al sole più velocemente di tutti gli altri pianeti. Tuttavia, l’atmosfera di Venere rende il pianeta ancora più caldo di Mercurio, che è molto più vicino al sole. Quell'atmosfera elimina la possibilità di vita, come la riconosceremmo, sulla superficie del pianeta.

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    La Terra si trova esattamente al centro della zona abitabile del sole. Betts ed alcuni ricercatori sostengono che non si tratta di una coincidenza; “dopo tutto abbiamo creato l'idea delle ‘zone abitabili’ per cercare pianeti come il nostro. Per essere onesti, abbiamo un solo quadro di riferimento. Ma di conseguenza, potremmo trascurare condizioni di vita ancora migliori rispetto a quelle sulla Terra perché la nostra visione è troppo ristretta”, sostiene Betts.

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    Marte si trova all'estremità fredda della zona abitabile del Sole. Ma ci sono prove che un tempo su Marte scorreva un oceano e il rover “Perseverance”, soprannominato Percy - un veicolo robotizzato della NASA che è alla ricerca di segni di vita - è ancora impegnato a campionare la vita microbica che potrebbe essere nascosta sotto la superficie del pianeta. La NASA sostiene altresì che Venere è abbastanza lontano dal Sole perché abbia la possibilità di ospitare acqua.

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    DALLA MEZZALUNA FERTILE ALLA TERRA SURRISCALDATA SEMPRE PREDA DEGLI ESSERI UMANI


    Le lezioni del passato della Terra possono aiutarci a sopravvivere alla crisi climatica Le minacce di ieri e quelle di oggi hanno in comune il cambiamento climatico e i continui appelli della comunità scientifica internazionale sembrano puntualmente disattesi. Andiamo per ordine: Il prosciugamento dei tropici durante il Pleistocene creò una nicchia per i primi ominidi che potevano cacciare le prede, mentre nei tropici africani le foreste lasciavano il posto alle savane. L'ultima fase dell'epoca del Pleistocene fu caratterizzata dall’improvviso episodio di raffreddamento noto come “Younger Dryas” (Dryas Giovane -Estinzione dell'evento Dryas), compreso tra circa 12.900 e 11.600 anni fa durò pertanto appena 1.300 anni circa. Caratterizzato da un cambiamento del clima, stimolò lo sviluppo dell’agricoltura nella cosiddetta “Fertile Crescent” (mezzaluna fertile) per i suoi ricchi terreni fertili. Il raffreddamento della “piccola era glaciale”, dei secoli XVI-XIX, portò però a carestie e pestilenze in gran parte dell’Europa. L’Europa occidentale dovette certamente adattarsi alle nuove condizioni più fredde e ciò causò l’estinzione della megafauna. In geologia, Younger Dryas rappresenta la prima e la terza fase climatica del periodo tardo-glaciale nell'Europa settentrionale, in cui prevalevano condizioni fredde e abbondavano piante sempreverdi del genere Dryas.

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    Per la stragrande maggioranza dei suoi 4,54 miliardi di anni, la Terra ha dimostrato di poter far fronte perfettamente all’assenza degli esseri umani. Poi arrivarono gli Ardipithecus, i primi “proto-umani” emersi poco più di 2 milioni di anni fa, che condividono tratti con scimpanzé e gorilla e vivono nelle foreste un momento fugace nell’era geologica.

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    Dalle montagne giapponesi alle foreste tedesche, alcune specie di animali testimoniano gli effetti a lungo termine dei test e degli incidenti nucleari condotti dagli Stati Uniti decenni fa.


    ricercatori

    Gli autori dello studio



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    Per le tartarughe marine, pochi habitat sono più adatti rispetto alle fresche acque del Pacifico intorno al verde dell’atollo di Eniwetok, a metà strada tra l'Australia e le Hawaii. Questi meravigliosi rettili, perfettamente adattati alla vita marina, riportano la “firma” nucleare dei test condotti dagli Stati Uniti dove, negli anni quaranta, l’esercito americano faceva esperimenti nucleari. Adesso, in quei luoghi meravigliosi, c’è il rischio reale di fuoriuscita di detriti radioattivi da quella cupola, come nella foto che segue, costruita proprio per "tacitare" il problema. L, e tartarughe marine, sono solo una delle tante specie colpite dal dominio dell'uomo sull'energia nucleare.

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    Un habitat perfetto, tranne che per un “piccolo” dettaglio: le radiazioni. Dopo aver conquistato l'atollo durante la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti per 43 volte vi testarono armi nucleari, poi seppellirono i rifiuti radioattivi in quella "tomba di cemento" che da allora cominciò a rompersi. Successivamente gli scienziati hanno scoperto l’eredità radioattiva nei gusci delle tartarughe marine che vivono nelle acque circostanti, rendendo questi rettili, prestati al mare - proprio come balene, delfini e altri cetacei che si sono evoluti da mammiferi terrestri - uno dei tanti animali colpiti dalla contaminazione nucleare globale.

    Dalle montagne giapponesi alle foreste tedesche, alcune specie di animali testimoniano gli effetti a lungo termine dei test e degli incidenti nucleari condotti dagli Stati Uniti decenni fa. Sebbene le radiazioni provenienti da questi animali generalmente non minaccino gli esseri umani, riflettono il patrimonio nucleare dell’umanità.

    "È un avvertimento! La natura non dimentica”., afferma Georg Steinhauser, radiochimico dell’Università di Tecnologia di Vienna ed esperto di radioattività animale.

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    Ribadendo che gran parte della contaminazione radioattiva mondiale deriva dai test condotti dalle potenze mondiali nel tentativo di sviluppare armi potenti nel corso del XX secolo, gli Stati Uniti testarono appunto le armi nucleari dal 1948 al 1958 sull'atollo di Eniwetok e nel 1977, gli Stati Uniti iniziarono a ripulire l'atollo dai rifiuti radioattivi, la maggior parte dei quali sono sepolti, come abbiamo visto, nel cemento di una delle isole.

    I ricercatori dello studio sulla “firma nucleare” nelle tartarughe ipotizzano che la pulizia abbia interrotto i sedimenti contaminati che erano stati depositati nella laguna dell'atollo. Si pensa che questo sedimento sia stato inghiottito dalle tartarughe mentre nuotavano, o che abbia influito sulle alghe che costituiscono gran parte della dieta delle tartarughe marine.

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    La tartaruga marina studiata è stata ritrovata appena un anno dopo l’inizio della pulizia. Secondo Cyler Conrad, ricercatore del Pacific Northwest National Laboratory che ha condotto lo studio, tracce di radiazioni contenute in questi sedimenti sono penetrate nel guscio della tartaruga sotto forma di strati misurabili dagli scienziati. Conrad paragona le tartarughe ad “anelli natatori”, usando i loro gusci per misurare le radiazioni nello stesso modo in cui gli anelli su un tronco d’albero ne registrano l’età. Sono migratrici, precisa Conrad, ma vivono, si nutrono e nidificano nell'atollo di Eniwetak.

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    "Non avevo compreso esattamente quanto fossero diffusi questi segnali nucleari nell'ambiente", sostiene Conrad, che ha anche studiato le tartarughe che mostravano segni di radiazioni causate dall'uomo nel deserto del Mohave, nel fiume Savannah in Carolina, a sud e sull'Oak Ridge nel Tennessee. Così tante tartarughe diverse in così tanti siti diversi sono state “modellate” dall’attività nucleare lì testata”. Il fiume Savannah ebbe un ruolo importante negli anni '50, quando iniziò la costruzione dell'impianto del governo statunitense Savannah River, destinato a produrre plutonio e trizio per armi nucleari.

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    I test sulle armi nucleari sono anche responsabili della contaminazione attraverso la proiezione nell’atmosfera superiore di spesse masse di polvere e cenere irradiate, chiamate "fallout" - ovvero la ricaduta sulla superficie terrestre di materiale radioattivo che può circondare il pianeta prodotto da esplosioni termonucleari - e depositarsi in ambienti remoti. Nelle foreste della Baviera, ad esempio, alcuni cinghiali presentano livelli di radiazioni talvolta sconcertanti. Gli scienziati hanno a lungo pensato che la ricaduta radioattiva fosse il risultato del disastro di Chernobyl, avvenuto nel 1986, nella vicina Ucraina.

    Tuttavia, in uno studio recente Georg Steinhauser, professore di radiochimica applicata, e il suo team hanno scoperto che fino al 68% della contaminazione dei cinghiali bavaresi proveniva da test nucleari condotti in tutto il mondo, dalla Siberia al Pacifico. Trovando l'"impronta digitale nucleare" di diversi isotopi di cesio, alcuni dei quali sono radioattivi, il team di Steinhauser ha però escluso Chernobyl come fonte di contaminazione.

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    Un cinghiale in Baviera, Germania.



    Steinhauser ha studiato campioni di cinghiali, solitamente dalla loro lingua, e trovò 15.000 becquerel di radiazioni per chilogrammo. Queste cifre superano di gran lunga il limite di sicurezza europeo di 600 becquerel per chilogrammo, ovvero corrisponde alla attività di una sostanza radioattiva che effettua una disintegrazione al secondo. I cinghiali sono stati contaminati mangiando tartufi, che hanno assorbito le radiazioni del fallout nucleare depositatosi nel terreno vicino. Quando arrivarono i primi risultati, uno dei dottorandi di Steinhauser ricorda di aver pensato: "Non è possibile che ci sia così tanto cesio nei cinghiali". Solo dopo aver ricontrollato le misurazioni hanno concluso che "i cinghiali avevano un livello di cesio derivante dalle ricadute di armi nucleari molto più elevato di quanto stimato".

    I cinghiali bavaresi e le renne norvegesi, vengono monitorati per garantire che gli esseri umani non mangino carne non idonea al consumo. "I limiti normativi sono molto severi, afferma Steinhauser. Tuttavia, questi risultati hanno enormi implicazioni. Per molti anni abbiamo semplicemente dato per scontato che le ricadute nucleari si sarebbero dirette altrove. Ma “altrove” non significa che siano scomparsi".

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    Le conseguenze del disastro di Chernobyl si osservano chiaramente anche altrove in Europa. Il fallout radioattivo si diffuse in tutto il continente, lasciando un’eredità radioattiva che durò centinaia di anni. “L’Europa è fortemente contaminata da Chernobyl. È la nostra principale fonte di cesio radioattivo”, afferma Steinhauser.

    Gran parte di queste radiazioni sono state portate dal vento verso la Norvegia nordoccidentale, da quando ha iniziato a piovere. Poiché la traiettoria del fallout dipendeva da condizioni meteorologiche imprevedibili, "la contaminazione sulla Norvegia in seguito all'incidente non è distribuita uniformemente, ed è molto irregolare”.", afferma Runhild Gjelsvik, scienziata dell'Autorità norvegese per la protezione e la sicurezza dalle radiazioni nucleari.

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    La pioggia radioattiva è stata assorbita da funghi e licheni, gli ultimi dei quali sono vulnerabili perché non hanno apparato radicale e assorbono le sostanze nutritive dall'aria e che poi venivano mangiati dalle mandrie di renne. Subito dopo l’incidente di Chernobyl, la carne di alcune renne presentava livelli di radiazioni superiori a 100.000 becquerel per chilogrammo.

    Oggi, spiega Gjelsvik, gran parte dei licheni contaminati è stata rimossa attraverso il pascolo, il che significa che la radioattività misurata nella maggior parte delle renne norvegesi è inferiore allo standard di sicurezza europeo. Ma in alcuni anni, quando i funghi selvatici crescono in numero maggiore del normale, i campioni possono mostrare picchi fino a 2.000 becquerel. "Le sostanze radioattive di Chernobyl vengono ancora trasferite dal suolo ai funghi, alle piante, agli animali e alle persone", spiega Gjelsvik.

    MACACHI

    In Giappone, il problema simile colpisce i macachi. Dopo il disastro di Fukushima nel 2011, la concentrazione di cesio nei macachi giapponesi che vivono nelle vicinanze è salita alle stelle fino a un massimo di 13.500 becquerel per chilogrammo, secondo uno studio condotto da Shin-ichi Hayama, professore presso l'Università di veterinaria e scienze della vita del Giappone.

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    Secondo la ricerca di Shin-ichi Hayama, che si è concentrata principalmente su campioni di tessuto prelevati dalle zampe posteriori dei macachi, probabilmente mangiavano germogli e corteccia di alberi contaminati, così come altri alimenti come funghi e germogli di bambù, che assorbono tutti i residui radioattivi. Le elevate concentrazioni di cesio, che sono diminuite negli ultimi dieci anni, hanno portato Hayama ad ipotizzare che le scimmie nate dopo l’incidente potrebbero aver avuto una crescita stentata e avere teste più piccole.

    I macachi giapponesi, che vivono a circa 70 chilometri dalla sfortunata centrale nucleare di Fukushima Daiichi, che si sciolse dopo il terremoto e lo tsunami del 2011 che scossero la costa del Giappone, hanno cesio radioattivo nel tessuto muscolare e meno cellule del sangue rispetto alle scimmie che vivono più lontano dal sito.

    Gli scienziati che studiano gli animali radioattivi sottolineano che è molto improbabile che i livelli di radiazioni che esibiscono possano mai costituire una minaccia per l’uomo. Alcuni, come i macachi di Fukushima, non vengono mangiati e quindi non rappresentano una minaccia. Altre, come le tartarughe marine, hanno livelli di radioattività così bassi da non rappresentare alcun pericolo.

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    Vi sono prove sempre più evidenti che i grandi mammiferi dei mari e degli oceani, siano una delle principali "prede" delle grandi navi e cause di mortalità per questi colossi marini, alcuni in via di estinzione come la balenottera azzurra e gli squali; una lista che non sembra mai ridursi.


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    Con la crescita dell’intera flotta mondiale, sono sufficienti poche iniziative che potrebbero cambiare questa penosa circostanza degli scontri di navi con i grandi mammiferi marini che dipende dal trasporto marittimo, che è in aumento. Tre ricercatori inglesi, descritti a margine di questo articolo, il 6 settembre scorso hanno pubblicato su Nature uno studio in cui sostengono che sono sufficienti pochi accorgimenti per frenare la “uccisione degli oceani”.

    LE STRAGI SILENTI DELLE NAVI NEI CONFRONTI DEI GRANDI MAMMIFERI DEI MARI E DEGLI OCEANI

    Si tratta degli animali selvatici più affascinanti, oltre che più amichevoli nei confronti dell’umanità e più intelligenti del mondo e che sono di forte impatto negli oceani. Secondo i dati delle Nazioni Unite, la flotta mercantile mondiale, dalle petroliere alle navi portarinfuse e alle navi portacontainer, è raddoppiata in soli 16 anni arrivando a contare più di 100.000 navi. Entro il 2050, il traffico marittimo aumenterà probabilmente fino al 1.200 % e, questi numeri, combinati con i dati su dove le reti marittime si sovrappongono ai movimenti e alle aggregazioni di animali marini, insieme alle valutazioni degli effetti degli attacchi navali su alcune specie marine, presentano un quadro sempre più allarmante.

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    Una balena uccisa in una collisione con una nave, giace di fronte alla prua mentre la nave attracca a Marsiglia, in Francia.


    In base a numerose ricerche - qui ne riportiamo una sintesi - spiegano Freya C. Womersley, Alexandra Loveridge e David W. Sims del Regno Unito, c’è la consapevolezza che gli attacchi navali potrebbero contribuire a favorire effettivamente al declino della popolazione di molti animali, portando a profondi effetti in tutti i loro ecosistemi; ad esempio alterando i cicli biogeochimici detti anche cicli gassosi come quelli del carbonio, dell'ossigeno e dell'azoto. Tuttavia, rispetto ad altre minacce alla biodiversità marina, come il cambiamento climatico e l’inquinamento, il problema degli "incontri ravvicinati" con le navi che danneggiano la fauna selvatica è gestibile. Varie tecnologie ed approcci consentono sempre più la sorveglianza sia delle navi che della fauna selvatica.

    La Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (United Nations Conference on Trade and Development, detta anche (UNCTAD) del settore marittimo - della quale fanno parte tutti gli Stati membri dell'ONU, che si riunisce ogni quattro anni - è già stata stabilita per limitare le emissioni di gas serra. E vari programmi per ridurre questi effetti si sono rivelati efficaci in alcune località per alcune specie. Ciò che serve ora sono quattro cambiamenti. In primo luogo, i ricercatori hanno bisogno di dati migliori su dove, quando, quanto spesso e per quali specie si verificano gli attacchi. In secondo luogo, è necessario un maggiore impegno sul problema, sia da parte del settore marittimo che del pubblico. In terzo luogo, dovrebbero essere introdotte norme per ridurre la velocità delle navi in determinate aree o per reindirizzare le navi; e, infine, deve essere monitorato il rispetto di tali restrizioni. Con questi cambiamenti, a parere degli studiosi, non vi è alcun motivo per cui questo problema non possa essere risolto.

    LA PARTE NASCOSTA DEL PROBLEMA

    Negli ultimi 100 anni circa sono stati documentati in tutto il mondo, spesso da parte di scienziati che hanno utilizzato testimonianze oculari o osservazioni dirette di animali morti galleggianti, numerosi attacchi letali involontari. Mentre da quasi vent’anni i ricercatori mettono in guardia sugli impatti del trasporto marittimo globale su queste creature e, per alcune specie, la ricerca ha stabilito l’importanza di questi incidenti rispetto ad altre minacce legate ad altri fattori ambientali.

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    Nel 2007, la Commissione Baleniera Internazionale aveva lanciato un’iniziativa a lungo termine per raccogliere e analizzare informazioni sugli attacchi segnalati di balene: il “Global Ship Strikes Database” (Database globale sugli attacchi navali). Con un maggiore impegno da parte delle compagnie di navigazione, delle autorità portuali e dei partner industriali, si potrebbe creare un database centralizzato degli attacchi per tutte le specie colpite. Oltre a proteggere la fauna marina aiutando le navi a evitare le collisioni, un database di questo tipo potrebbe rafforzare la reputazione delle aziende in un mondo sempre più attento all’ambiente. Attualmente, la “Safety of Life at Sea -SOLAS" – (Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare) - un trattato che garantisce che le navi registrate dagli Stati firmatari rispettino gli standard minimi di sicurezza - richiede che tutte le navi impegnate in viaggi internazionali mantengano un registro a bordo delle attività di navigazione e degli incidenti rilevanti per la sicurezza.

    STRATEGIE

    Il gruppo di lavoro della Commissione internazionale per la caccia alle balene, l'International Whaling Commission (IWC) istituita nel 1946 per favorire uno sviluppo coordinato dell'industria baleniera e per regolarla, sulle collisioni delle navi con le balene, ha raccomandato alla di intraprendere le seguenti strategie: (1) creare e mantenere un database globale delle collisioni tra navi e cetacei; (2) cercare modi per ridurre l'entità di questa minaccia attraverso soluzioni tecnologiche; (3) identificare le aree ad alto rischio e sviluppare strategie di mitigazione specifiche per dette aree; (4) identificare le popolazioni a rischio (ad esempio di piccole e grandi balene) e valutare la misura in cui gli urti con le navi stanno contribuendo alla mancanza di recupero; (5) sviluppare aree specifiche consulenza per l'industria marittima in merito alla mitigazione delle collisioni. La Commissione ha approvato raccomandazioni simili in passato e ha approvato il precedente piano strategico sugli attacchi navali (2010-2020) nella riunione dell'ottobre 2016. Questo rivisto piano strategico si basa sul lavoro precedente e sulle raccomandazioni del comitato scientifico.

    Inoltre, il comitato scientifico dell’IWC e il gruppo di lavoro sugli attacchi delle navi continuano a raccomandare alla Commissione l’importanza di ulteriori conoscenze sulla velocità delle navi, sul rischio di morte o lesioni gravi per le singole balene e sui danni alle navi. Ulteriori studi, nonché ulteriori analisi delle informazioni disponibili, una volta esaminate dai membri del comitato scientifico, contribuiranno alla capacità della Commissione di ridurre al minimo l’impatto degli attacchi navali sulle popolazioni di cetacei.

    PIANO STRATEGICO PER MITIGARE GLI IMPATTI DEGLI ATTACCHI NAVALI SULLE POPOLAZIONI DI CETACEI: 2022-2032

    Per raggiungere lo scopo del Piano Strategico, sono stati identificati sette obiettivi come componenti chiave sugli attacchi navali. Il Piano individua un insieme di azioni di alto livello a medio e lungo termine da realizzare ed i conseguenti risultati. Vengono inoltre identificati partner e collaboratori chiave, poiché sono vitali per il successo a lungo termine. Le collisioni tra navi e cetacei, sono un problema crescente su scala globale poiché le dimensioni della popolazione di cetacei aumentano in alcune aree e settori come: le compagnie di crociera, la navigazione commerciale, l’esplorazione di petrolio e gas che continuano a crescere per soddisfare la domanda umana e l’uso di imbarcazioni da diporto che continua ad espandersi, con il conseguente aumento degli eventi di collisione.

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    Anche se questo è chiaramente un problema per la sicurezza in mare e il benessere degli animali, è difficile ottenere dati adeguati allo scopo di accertare per quali popolazioni di cetacei questo potrebbe rappresentare un problema di conservazione, a parte alcune popolazioni in grave pericolo dove anche la singola morte può minacciare la sopravvivenza della popolazione. La Commissione baleniera internazionale sta affrontando il problema attraverso i suoi comitati scientifici e di conservazione, concentrando gli sforzi sull’ottenimento di dati per consentire una valutazione quantitativa del problema al fine di indirizzare gli sforzi di mitigazione. Il gruppo di lavoro, insieme a una serie di partner, ha sviluppato un database globale standardizzato sulle collisioni tra navi e balene per raccogliere dati globali sugli eventi. Non è solo un deposito di informazioni esistenti, ma una struttura online continua per la raccolta di nuove informazioni. Inoltre, va riconosciuto che diversi paesi membri dell’IWC hanno sviluppato piani nazionali o regionali per mitigare l’impatto sulle popolazioni di cetacei, tra cui l’Australia, diversi stati membri dell’UE e degli Stati Uniti. Questi documenti costituiscono ottimi riferimenti per approcci specificamente progettati per affrontare questo problema in una determinata regione.

    L’obiettivo generale del Gruppo di lavoro sugli attacchi navali ("Ship Strike Working Group - SSWG -)" della Commissione Baleniera Internazionale è quello di aumentare la consapevolezza della necessità di agire sugli attacchi delle navi sia a livello nazionale che internazionale e di promuovere lo sviluppo e l’uso di strumenti efficaci per affrontare il problema. Si prevede che il SSWG si svilupperà in tre componenti interconnesse; un Data Manager presso la governance dell'IWC; un gruppo di lavoro sulle collisioni delle navi nell'ambito del Comitato per la Conservazione e un gruppo di esperti per consigliare il responsabile dei dati. Inoltre, quest'ultimo sarà informato dall'attuale Gruppo di revisione dei dati sulla registrazione accurata e tempestiva dei dati nel database degli incidenti navali.

    Il Piano strategico sugli attacchi navali descrive la direzione delle attività intese a ridurre la minaccia di attacchi navali con cetacei nel prossimo e lontano futuro. La strategia si basa su un approccio collaborativo, con il forte intento di continuare a lavorare con gli altri per integrare e aggiungere valore, ove possibile, alle iniziative esistenti. Nel contesto dell’IWC, si lavorerà per sfruttare i collegamenti con altre aree di lavoro, compreso quello del comitato scientifico, e con iniziative individuali come Whale Watching (Osservazione delle balene), Conservation Management Plans (Piani di gestione della conservazione) e Strandings Initiative (Iniziativa sugli spiaggiamenti). Esternamente, l'IWC cercherà di mantenere forti collaborazioni con altre organizzazioni internazionali rilevanti, organizzazioni non governative, industria e comunità scientifiche.

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    POPOLAZIONI A RISCHIO

    La megafauna marina – balene, squali, tartarughe marine e altri organismi con una massa corporea pari o superiore a 45 chilogrammi – è in cima alla lista. Questi giganti oceanici trascorrono la maggior parte della loro vita in superficie, viaggiano per centinaia o migliaia di chilometri attraverso i bacini oceanici e spesso si aggregano nelle aree costiere e della piattaforma continentale. L’elenco comprende alcuni degli animali più a rischio: 60 sono inclusi nella Lista rossa delle specie minacciate dell’Unione internazionale per la conservazione della natura. Più di un terzo di quelli elencati sono a rischio di estinzione. Per gli altri 15 non ci sono dati sufficienti per fare una valutazione. Le popolazioni di balene ormai ridotte a poche centinaia di individui sono a rischio di continuo declino, anche se considerando le iniziative intraprese ed in parte su esposte, si verifica solo un piccolo numero di "attacchi" navali all'anno. Sta di fatto però che le collisioni con navi colpiscono, da uno studio del 2020, almeno 75 specie di mammiferi marini. Ad oggi si sono scontrati con le navi: balene più piccole, delfini, focene, dugonghi, lamantini, squali balena, squali, foche, lontre marine, tartarughe, pinguini ed altri pesci. Pertanto, per quanto concerne le balene, è importante identificare le popolazioni delle piccole balene, di quelle in declino o per le quali le attività umane provocano la loro morte o il ferimento e monitorare queste popolazioni per valutare la misura in cui le collisioni rappresentano una minaccia. Seguono i mammiferi marini più a rischio:

    - Balena franca nordatlantica occidentale;
    - Balena franca del Pacifico settentrionale orientale;
    - Balena franca Cile-Perù;
    - Megattera del Mar Arabico;
    - Balena grigia occidentale
    - Balena blu - Sri Lanka e Mar Arabico;
    - Balena blu – Cile;
    - Capodoglio - Mar Mediterraneo;
    - Balenottera comune - Mar Mediterraneo;
    - Balenottera di Rice - Golfo del Messico;
    - Balena di Omura - Madagascar nordoccidentale.

    Gli studi finora condotti sugli incidenti navali, tuttavia, non sono esaustivi e si basano su dati raccolti solo da aree particolari e solo per alcune specie. Secondo stime prudenti basate sulla morte di tre specie di balene in quattro siti di studio statunitensi, ad esempio, le navi uccidono più di 80 balene all'anno in un'area che misura circa 800.000 chilometri quadrati. Tuttavia, per altre specie mancano i dati sul numero di morti e sul luogo delle collisioni. Le segnalazioni di attacchi tendono a concentrarsi su alcune specie che hanno maggiori probabilità di essere viste galleggiare da morte, come balene, delfini e tartarughe. Ma la maggior parte degli animali marini, e tutti i pesci cartilaginei (squali, razze, razze e così via), affondano quando morti e quindi non verranno osservati.

    Come già accennato, una recente pubblicazione su “Nature” del 6 settembre 2023, cita uno studio del 2022 scritto da Freya C. Womersley e David W. Sims in cui gli autori hanno tentato di valutare l'impatto globale delle collisioni sugli squali balena (Rhincodon typus), una specie che affonda rapidamente quando muore. I risultati sono stati preoccupanti. I dati satellitari, che hanno tracciato le posizioni relative degli squali balena e delle navi, mostrano che il 92% dell’uso dello spazio orizzontale da parte della specie e quasi il 50% del suo uso dello spazio verticale, si sovrappone alle rotte marittime.

    Diversi progetti internazionali stanno già raccogliendo e distribuendo dati su dove si trovano gli animali e come si muovono nell’oceano. Questi includono piattaforme che si basano su sondaggi, come il sistema informativo sulla biodiversità oceanica; un database online gratuito di dati di tracciamento degli animali come “Movebank” ospitato dal Max Planck Institute of Animal Behavior, che aiuta i ricercatori che si occupano degli animali a gestire, condividere, proteggere, analizzare e archiviare i propri dati.
    Le informazioni sui movimenti e sul comportamento degli animali vengono utilizzate per la ricerca sull’ecologia dei movimenti, la gestione della fauna selvatica e per affrontare sfide come il cambiamento climatico e dell’uso del territorio, la perdita di biodiversità, le specie invasive, il traffico di specie selvatiche e le malattie infettive. Tuttavia, lavorare con i dati di tracciamento degli animali rimane una sfida a causa della mancanza di standard e della crescente dimensione e complessità dei set di dati multisensore. Molti set di dati rimangono introvabili, scarsamente documentati e potrebbero esistere solo su personal computer o in formati obsoleti, compreso il lavoro più vecchio fondamentale per documentare i cambiamenti nel tempo. Il progetto Movebank è iniziato nel 2007 ed è stato progettato per aiutare i ricercatori a gestire in modo efficace e archiviare pubblicamente questi dati unici.

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    I resti di una balena franca del Nord Atlantico "Eubalaena glacialis" dopo la collisione con l'elica di una nave.



    MONITORAGGIO ANIMALI CON SISTEMA MOVEBANK

    Il sistema Movebank, in continuo aggiornamento, per lo studio del movimento e della demografia globale degli animali serve a quantificare il movimento e gli eventi demografici degli animali allo stato brado, fondamentale per studiarne l'ecologia, l'evoluzione e la conservazione e i progressi tecnologici hanno portato a un’esplosione di metodi basati su sensori per l’osservazione a distanza di questi fenomeni. Il pubblico può scoprire, visualizzare e scaricare i dati a cui ha avuto accesso tramite il sito web, l'app mobile Animal Tracker o tramite API. Strumenti di analisi avanzati sono disponibili tramite il sistema EnvDATA, la piattaforma MoveApps e una varietà di applicazioni sviluppate dagli utenti. Questo ecosistema informatico è cresciuto negli ultimi dieci anni in risposta alle esigenze degli utenti e alla collaborazione con ricercatori, gestori della fauna selvatica, gruppi di conservazione, produttori di etichette e pubblico, compresi i cittadini scienziati.

    La combinazione di dati storici e nuovi con strumenti di integrazione consente ampie analisi comparative e attività di acquisizione e mappatura dei dati. Movebank offre un sistema integrato per il monitoraggio in tempo reale degli animali su scala globale e rappresenta un museo digitale del movimento e del comportamento degli animali. Sono necessarie risorse e coordinamento tra paesi e organizzazioni per garantire che questi dati, compresi quelli che non possono essere resi pubblici, rimangano accessibili alle generazioni future. Molti tag di tracciamento trasmettono dati in remoto attraverso una crescente varietà di metodi di comunicazione, inclusi satelliti, GSM e reti locali. Il database Movebank consente la scoperta e l'accesso ai dati, nonché il coinvolgimento del pubblico.

    Sono disponibili streaming di dati in tempo reale attraverso una varietà di reti di comunicazione (satellite, telefono) e piattaforme di telemetria (Motus, Ocean Tracking Network). Sebbene i dati GPS siano i più comuni, questi includono movimenti registrati utilizzando Argos, VHF e telemetria acustica, geolocalizzazione (registrazione del livello di luce) e riposizionamenti di animali e dati raccolti da accelerometri, barometri, giroscopi, magnetometri, termometri incorporati negli animali tag portati.

    I record a livello di distribuzione, ovvero i dati di riferimento, definiscono quando un tag è stato distribuito su un animale e vengono utilizzati per mettere in relazione i record degli eventi con l'individuo monitorato. Questi registri possono includere anche informazioni sugli animali (tasso, sesso, mortalità), etichette (produttore, modello), catture (sito di distribuzione, condizioni e morfometria degli animali) e metodologia (ciclo di lavoro, tecnica di attacco) necessarie per interpretare i dati dell'evento.

    L'app mobile Animal Tracker può essere utilizzata per visualizzare i dati sul campo e riportare note o foto sugli animali monitorati. Funziona offline e può risincronizzarsi quando si torna in rete. Il sistema EnvDATA annota i dati sulla posizione con dati di telerilevamento consentendo agli utenti di acquisire i dati ambientali necessari per contestualizzare i movimenti e il comportamento degli animali. Un esempio di flusso di lavoro dal sistema MoveApps, mostra le app combinate per accedere ai dati da Movebank, identificare i siti degli animali e visualizzare i risultati.

    Attualmente esistono 21 fornitori di feed di dati che trasferiscono i dati trasmessi attraverso sette reti di comunicazione: Argos, Global Star, GSM, Icarus, Iridium, LoraWAN e SigFox (come sotto in figura). I dati di riferimento su animali, tag e implementazioni possono essere caricati tramite l'app web o utilizzando l'app mobile Animal Tagger.

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    Con i dettagli forniti dai moderni tag di tracciamento, è sempre più possibile studiare aspetti della demografia animale da remoto e in tempo reale, tra cui migrazione, dispersione e mortalità.

    Man mano che sempre più dati sul tracciamento degli animali vengono raccolti e resi accessibili tramite Movebank, la portata, la diversità e la rilevanza dei casi d’uso continuano a crescere. Gli ecologisti del movimento stanno conducendo analisi comparative su larga scala, che portano a scoperte sulle sindromi legate al movimento degli animali, sulle influenze del clima e dei disturbi antropogenici sugli animali attraverso strumenti di armonizzazione e rilevamento dei dati, feed di dati in tempo reale e la crescente comunità di scienziati che li utilizzano.


    Gli esperti ritengono che la piattaforma MoveApps accelererà la scoperta scientifica attraverso numerose innovazioni aiutando sempre più persone a connettersi con le incredibili storie degli animali monitorati e rafforzi gli sforzi di conservazione in tutto il mondo. Il database Movebank è cresciuto fino a diventare un ecosistema di strumenti grazie ad ampie collaborazioni e finanziamenti da parte di agenzie di tutto il mondo. Mentre i primi dati sul tracciamento degli animali interessavano principalmente coloro che studiavano e monitoravano il comportamento animale, la transizione dell’ecologia del movimento al campo dei big data ha ampliato le applicazioni di questi dati ai campi della conservazione, dell’ecologia, della fisiologia e dell’evoluzione. Il continuo sviluppo tecnologico e la standardizzazione dovrebbero estendere ulteriormente l’interesse per questi dati ai campi della meteorologia, delle scienze della Terra e dell’oceanografia. Man mano che le dimensioni e i costi dei tag di tracciamento si riducono, avremo maggiori opportunità per approcci comparativi che sono stati utili in altre aree della biologia, ma applicati solo di recente al movimento degli animali. Man mano che la durata della batteria si estende, avremo sempre più tracce di animali, insieme a storie di vita estese documentate attraverso fotografie, appunti sul campo, osservazioni di scienziati cittadini e, infine, l’animale stesso come esemplare da museo.

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    Altri strumenti come AquaMap generano previsioni su larga scala standardizzate, generate al computer e abbastanza affidabili, di specie marine e di acqua dolce e che prevede la distribuzione degli animali sulla base degli avvistamenti e valutazioni dell'idoneità dell'habitat. Le previsioni AquaMap sulla distribuzione delle specie vengono generate in un processo in due fasi. Nella prima fase, le mappe vengono generate al computer utilizzando impostazioni dei parametri di input derivate da algoritmi basati su dati di occorrenza filtrati con informazioni sulla distribuzione e sull'utilizzo dell'habitat di una specie (ad esempio, profondità, limiti geografici, ambiente occupato in base all'alimentazione degli adulti o comportamento riproduttivo). Nella seconda fase, gli esperti possono rivedere, modificare e approvare i dati generati dal computer. Queste mappe revisionate da esperti potranno, da quel momento in poi, essere aggiornate solo da esperti. Al contrario, le mappe generate dal computer vengono aggiornate ogni 1-2 anni, non appena diventano disponibili nuovi dati.

    Allo stesso modo, le informazioni possono essere ottenute dai fornitori di dati del sistema di identificazione automatica, che utilizzano i satelliti per tracciare le navi, nonché da iniziative di monitoraggio degli oceani come il Global Fishing Watch e dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti. Utilizzando tali dati, esperti di balene e altri ricercatori hanno già iniziato a individuare le aree ad alto rischio. Il lavoro di Freya C. Womersley e David W. Sims sugli squali balena ha dimostrato che uno è lo Stretto di Hormuz tra gli Emirati Arabi Uniti e l’Iran, attraverso il quale passa ogni anno circa un terzo del petrolio globale commercializzato via mare. Per molte specie queste informazioni non sono ancora disponibili. Inoltre, la raccolta dei dati è spesso frammentaria e disparata, con gli animali monitorati solo in una parte del loro areale e varie raccolte dei dati è spesso frammentaria e difforme, con gli animali monitorati solo in una parte del loro areale e vari approcci di raccolta dati utilizzati in aree diverse.

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    I governi, l’industria, le organizzazioni filantropiche e di altro tipo possono aiutare a colmare le lacune rafforzando progetti preesistenti. Varie app per telefoni cellulari e iniziative basate sul Web stanno aprendo la strada alla mappatura e all'analisi basate sulla tecnologia. Ad esempio, lo strumento Whale Safe utilizza varie misure, tra cui gli avvistamenti pubblici di balene, per contribuire a stabilire limiti di velocità volontari e altre azioni per ridurre il rischio di attacchi. L’uso di satelliti in orbita terrestre bassa per monitorare i grandi animali marini dallo spazio – una tecnica attualmente non sfruttata – potrebbe fornire ai ricercatori e ad altre parti interessate dati utilizzabili quasi in tempo reale per le aree ad alto rischio. Ma gli sforzi devono essere intensificati, affinché coloro che sono coinvolti in progetti locali e regionali facilitino la realizzazione di iniziative simili in altre parti del mondo, in particolare nel sud del mondo.

    Gli sforzi esistenti per collegare progetti e partner associati all’oceano saranno fondamentali. Dal 2021, ad esempio, il programma delle Nazioni Unite per il “The United Nations has proclaimed a Decade of Ocean Science for Sustainable Development (2021-2030)” (Le Nazioni Unite hanno proclamato il Decennio delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile (2021-2030), ovvero il decennio per sostenere gli sforzi volti a invertire il ciclo di declino della salute degli oceani e riunire le parti interessate dell’oceano in tutto il mondo mette in contatto persone e organizzazioni interessate al ruolo delle foreste di alghe e delle praterie di fanerogame marine nello stoccaggio del carbonio, tra molte altre questioni. Maggiore coinvolgimento negli ultimi anni è diventato sempre più comune per le compagnie di navigazione commerciale rendere pubblici i propri obiettivi ambientali, sociali e di governance nei rapporti di sostenibilità disponibili al pubblico. Sebbene nove delle dieci maggiori compagnie di navigazione considerino gli attacchi delle balene come un’area di preoccupazione nei loro rapporti, il grado in cui le aziende agiscono su questo problema varia ampiamente. Inoltre, per quanto ne sappiano gli autori dello studio, nessuno di questi rapporti sulla sostenibilità menziona esplicitamente la megafauna diversa dalle balene.

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    COS'È WHALE SAFE E COME FUNZIONA?

    Whale Safe è uno strumento di mappatura e analisi basato sulla tecnologia che visualizza i dati delle balene e delle navi in tempo reale. È progettato per evitare collisioni mortali tra navi e balene in via di estinzione. Lo strumento mostra i rilevamenti acustici e visivi delle balene e un modello di habitat della balena blu che viene aggiornato quotidianamente in base alle condizioni oceanografiche. Ogni giorno, queste tre fonti di dati sulle balene vengono combinate per generare una valutazione integrata della presenza delle balene (bassa, media, alta, molto alta).

    Oltre a condividere i dati sulle balene, lo strumento mostra anche le rotte di navigazione assegnate a livello internazionale, le zone di riduzione volontaria della velocità delle navi e l’attività di navigazione dedotta dai sistemi di "Automatic identification system -AIS-" (Sistema di identificazione automatica. Whale Safe dispone anche di un sistema di reporting che raccoglie dati AIS per identificare quali navi e compagnie aderiscono meglio alle raccomandazioni volontarie sulla velocità della NOAA per proteggere, ad esempio, le balene in via di estinzione lungo la costa della California.

    L’aggiunta delle collisioni con la fauna selvatica e dei quasi incidenti a questo reporting potrebbe consentire di raccogliere informazioni in un database completo sugli incidenti navali. Un’altra misura potrebbe richiedere che determinate navi abbiano a bordo osservatori della megafauna marina. (Ciò già accade sulle navi che conducono indagini sismiche, ad esempio, per garantire che il rumore dei sondaggi subacquei sia ridotto al minimo quando le balene si trovano nelle vicinanze.) Nelle rare occasioni in cui gli animali rimangono alloggiati sulla prua di una nave, gli attacchi potrebbero anche essere registrati dall'autorità portuale. Sono in fase di sviluppo modi per registrare gli attacchi delle navi senza il diretto coinvolgimento umano, comprese fotocamere rivolte in avanti e termiche, sensori a infrarossi e termici ed ecoscandagli subacquei per riprendere gli animali. La tecnologia sviluppata dalla Woods Hole Oceanographic Institution nel Massachusetts utilizza una fotocamera delle dimensioni di una scatola da scarpe e un algoritmo di intelligenza artificiale per aiutare le navi a rilevare ed evitare le balene. (L'algoritmo è “addestrato” per identificare se è presente una balena; in tal caso, il programma invia un segnale all'operatore della nave in modo che possa rallentare o cambiare rotta.) Inoltre, l'industria marittima utilizza sempre più sistemi avanzati di pilota automatico basati su intelligenza artificiale e apprendimento profondo.

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    In linea di principio, i sistemi di rilevamento dei pericoli sulle navi autonome potrebbero essere addestrati per identificare la megafauna marina, registrare gli incidenti e implementare eventuali manovre evasive necessarie. Le convenzioni e i trattati già in vigore per aumentare l’impegno dell’industria e del pubblico nelle questioni legate all’ambiente oceanico potrebbero aiutare in tutto questo. Ma strumenti come il trattato sulla biodiversità oltre la giurisdizione nazionale (un quadro adottato all’inizio di quest’anno per contrastare la perdita di biodiversità in alto mare) devono affrontare esplicitamente la questione degli incidenti navali. Attualmente nel trattato non se ne fa menzione.

    REGOLAMENTI MARITTIMI

    Il modo migliore per ridurre gli incidenti è separare le navi dalla fauna selvatica. “The International Maritime Organization -IMO -” (l'Organizzazione Marittima Internazionale) è un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite responsabile delle normative marittime a livello mondiale. Attraverso la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, l’IMO può reindirizzare il traffico navale per evitare collisioni con una deviazione del traffico permanente o stagionale attorno alle aree naturali si è rivelata estremamente efficace. Per le balene, anche piccoli cambiamenti di rotta nelle aree ad alto rischio hanno portato ad una sostanziale riduzione degli attacchi. Ad esempio, nella Baia di Fundy, al largo del Canada, lo spostamento di una rotta marittima verso est di sole 4 miglia nautiche (7,4 km) nel 2003 ha ridotto del 90% il rischio di collisione tra navi e balene franche del Nord Atlantico.

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    Baia di Fundy



    Diversi studi e rapporti mostrano che, nei luoghi in cui le navi non possono essere reindirizzate, le riduzioni di velocità possono ridurre il rischio e la letalità di una collisione. Nel 2008, in alcune aree lungo la costa orientale degli Stati Uniti sono stati applicati limiti di velocità volontari e obbligatori di 10 nodi (18,5 km orari). Nei primi 5 anni dopo l'implementazione, non sono stati registrati casi di navi che abbiano colpito balene franche del Nord Atlantico all'interno o entro 45 miglia nautiche da queste aree. Gli studi che incorporano le emissioni mostrano che le limitazioni di velocità possono portare altri vantaggi.

    In uno studio del 2019, la diminuzione della velocità di appena il 10% ha ridotto il rischio che le navi colpissero le balene del 50%, hanno ridotto il rumore subacqueo del 40% e ridotto le emissioni di gas serra del 13%. Nonostante l’evidenza che il cambio di rotta e la riduzione della velocità mitigano le “uccisioni negli oceani”, le restrizioni sulle rotte e sulla velocità delle navi rimangono differenti e scoordinate, proprio come la raccolta di dati sugli animali marini. Un trattato globale mediato dall’IMO che impone velocità medie massime – e il cambio di rotta per garantire che le navi evitino aree ad alto rischio di collisione – potrebbe essere uno dei modi più semplici per proteggere la fauna selvatica dagli attacchi delle navi. In effetti, le normative introdotte quest’anno per mitigare gli effetti del cambiamento climatico dovuto al trasporto marittimo, come l’indice delle navi esistenti sull’efficienza energetica dell’IMO 2023 e l’indicatore di intensità di carbonio, prevedono già velocità inferiori per alcune navi. Un portale di dati aperti basato sul “cloud”, ovvero di dati facilmente accessibili a tutti, potrebbe facilitare la definizione di politiche aggiornate e dinamiche integrando dati sui movimenti di animali e navi, mappe dei rischi, rapporti georeferenziati sugli incidenti, attuali protezioni spaziali e caratteristiche marittime rilevanti in un unico risorsa di mappatura. Questo sarebbe simile ad un “HUB Ocean”, come dire la casa degli oceani, dedicato alla condivisione dei dati sugli oceani che riunisce diverse fonti di dati su un’unica piattaforma per consentire la collaborazione scientifica, la trasparenza e la regolamentazione del settore.

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    Fondamentalmente, i dati potrebbero essere messi a disposizione di tutte le parti interessate, dalle agenzie governative e organizzazioni non governative ai ricercatori accademici e ai partner industriali. Una volta trasmesse all'industria le modifiche normative, il rispetto delle restrizioni di velocità e di percorso potrebbe essere monitorato a livello nazionale utilizzando i dati provenienti dai sistemi di identificazione automatica. Anche gli armatori, le compagnie di navigazione e le autorità portuali potrebbero contribuire a garantire la conformità normativa. Sanzioni pecuniarie potrebbero essere utilizzate per scoraggiare l’eccesso di velocità o l’invasione nelle zone vietate. In linea di principio, sussidi, agevolazioni fiscali e altre forme di sostegno finanziario governativo finalizzate a obiettivi ambientali potrebbero essere utilizzati per ridurre gli attacchi navali contro la megafauna marina.

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    CONCLUSIONE

    Poiché è improbabile che i governi agiscano senza una sufficiente pressione da parte dell’opinione pubblica, uno schema globale di eco certificazione per le spedizioni marittime “a prova di fauna selvatica” potrebbe essere cruciale. Similmente alle etichette “Dolphin-Safe” ("Sicuro per i delfini") della NOAA per le scatolette di tonno – che mirano a segnalare il rispetto delle leggi e dei regolamenti statunitensi sulle operazioni di pesca del tonno – ciò aiuterebbe ad aumentare la consapevolezza dei consumatori sul problema e consentire scelte informate. Aumentare il successo dei programmi di certificazione volontaria, come l’etichetta Whale-Safe di Friend of the Sea (Balena sicura amica del mare, insieme alla certificazione dei prodotti ittici provenienti da attività di pesca e acquacoltura sostenibili, aumenterebbe notevolmente la visibilità di questo problema. La perdita degli animali più grandi dell’oceano avrà gravi conseguenze impreviste per la salute dei mari. Dare agli “incontri ravvicinati” navali una priorità più alta a livello globale rispetto ad altre minacce alla biodiversità marina come l’inquinamento e il cambiamento climatico è un modo immediatamente realizzabile per aiutare a conservare le specie marine più vulnerabili e iconiche del mondo. Per quanto concerne il cambiamento climatico giova ricordare che, nella sua globalità, questa sciagura ambientale causa serie minacce ai mammiferi marini. Eventi meteorologici estremi come forti tempeste possono causare spiaggiamenti, mentre cambiamenti a lungo termine, come il riscaldamento degli oceani, possono influenzare i modelli migratori. Ciò può danneggiare le popolazioni interrompendo i loro modelli di riproduzione e l’abbondanza di prede.

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    Gli autori: Freya C. Womersley - dottoranda presso la Marine Biological Association, The Laboratory Plymouth e presso Ocean and Earth Science, National Oceanography Centre Southampton; Alexandra Loveridge - ricercatrice post-dottorato presso la Marine Biological Association, The Laboratory, Plymouth e David W. Sims - ricercatore senior presso la Marine Biological Association, The Laboratory Plymouth e professore di ecologia marina presso Ocean and Earth Science, National Oceanography Centre Southampton, Università di Southampton.

    ottimo


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    Edited by Filippo Foti - 30/9/2023, 15:54
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    Un’altra conseguenza devastante del cambiamento climatico sarà il collasso del vasto sistema di correnti marine
    che potrebbe verificarsi in qualsiasi momento tra il 2025 e il 2095, molto prima rispetto alle previsioni precedenti.


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    Il sistema di correnti oceaniche, noto come “nastro trasportatore marino”, svolge un ruolo centrale nella regolazione del clima globale, in particolare tra i tropici e le parti più settentrionali della regione dell’Oceano Atlantico. Recentemente, il movimento della Corrente del Golfo nell'Oceano Atlantico settentrionale, che è una delle correnti marine più potenti e significative al mondo e costituisce un segmento del nastro trasportatore marino, ha subito un importante rallentamento. Le cupe previsioni, basate sui calcoli dei ricercatori dell'Università di Copenaghen, fanno parte di un nuovo studio, pubblicato il 9 marzo 2023 sulla rivista Nature Communications dal titolo "Why residual emissions matter right now", ovvero (Perché le emissioni residue sono importanti in questo momento).

    Il prof. Peter Dittlebsen ed altri ricercatori che fanno parte del “l'Istituto Niels Bohr e del Dipartimento di Scienze Matematiche dell’Università di Copenaghen” hanno previsto che il sistema di correnti oceaniche che attualmente diffonde freddo e caldo tra l’Oceano Atlantico settentrionale e i tropici si fermerà completamente appunto nel prossimo futuro se le emissioni di gas serra inquinanti continueranno agli stessi livelli di oggi. Utilizzando strumenti statistici avanzati e dati sulla temperatura dell'oceano degli ultimi 150 anni, i ricercatori hanno calcolato che la corrente oceanica, noto anche come (AMOC), si fermerà con una probabilità del 95% tra il 2025 e il 2095.

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    Monitoraggio dell'Oceano: Ciclo di osservazione dell'oceano di 10 giorni di Argo (Immagine: Argo).


    Secondo i ricercatori, il caos climatico, porterà in particolare ad un aumento del riscaldamento ai tropici e potenti tempeste nella regione del Nord Atlantico. "L'arresto del nastro trasportatore marino potrebbe avere conseguenze molto gravi per il clima terrestre, tra l'altro modificando la distribuzione del calore e delle precipitazioni nel mondo. Mentre il raffreddamento dell'Europa può sembrare meno grave in giorni in cui l'intero pianeta si sta riscaldando e le onde si verificano con maggiore frequenza, l’arresto del nastro trasportatore marino porterà ad un aumento del riscaldamento delle regioni tropicali, dove l’aumento delle temperature ha già creato condizioni di vita difficili. Pertanto, i risultati della ricerca sottolineano ulteriormente l’importanza di una riduzione quanto più rapida possibile delle emissioni inquinanti di gas serra a livello globale", ha affermato Dittlebsen.

    I calcoli dei ricercatori contraddicono in realtà i risultati dell’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), basato su simulazioni di modelli climatici, secondo i quali è improbabile che un improvviso cambiamento nell’attività dell’ambiente marino nastro trasportatore avverrà nel corso del secolo attuale.

    La previsione dei ricercatori dell'Università di Copenaghen si basa sui segnali di allarme tempestivi delle correnti oceaniche quando diventano instabili. Questi segnali d’allarme riguardanti il nastro trasportatore marino sono già stati segnalati in passato, ma solo ora lo sviluppo di metodi statistici avanzati hanno permesso di prevedere quando, con alta probabilità, si verificherà l’arresto che porterà ad una situazione disastrosa da un punto di vista climatico in tutto il mondo.

    MARI AGITATI

    I ricercatori hanno analizzato le temperature della superficie del mare in una certa zona dell’Oceano Atlantico settentrionale dal 1870 ad oggi. Queste temperature della superficie del mare sono "impronte digitali" che indicano la resistenza del nastro trasportatore marino, che è stata misurata direttamente solo negli ultimi 15 anni. "Utilizzando strumenti statistici nuovi e migliorati, abbiamo eseguito calcoli che forniscono una stima più affidabile del momento più probabile in cui il nastro trasportatore marino si fermerà, cosa che non eravamo in grado di fare prima", ha spiegato la prof.ssa Suzanne Dittlebsen anche lei facente parte del Dipartimento di Scienze Matematiche dell'Università di Copenaghen.

    Il nastro trasportatore globale delle correnti oceaniche funziona nello stato attuale fin dall’ultima era glaciale – esistita sulla Terra da circa 115.000 anni fa e terminata circa 11.700 anni fa – in cui collassò per l’ultima volta. Allo stesso tempo, improvvisi salti climatici tra lo stato attuale del nastro trasportatore marino e lo stato in cui la sua attività è cessata si sono verificati 25 volte in connessione con il clima dell'era glaciale, così che le fosche previsioni secondo cui l'attività del l’intero nastro trasportatore oceanico, compresa la Corrente del Golfo, che trasporta acqua calda dalla regione tropicale del Golfo del Messico verso nord, si fermerà lungo la costa orientale degli Stati Uniti e del Canada, verso il nord Europa e la Groenlandia, dove l’acqua si raffredda e affonda sul fondo dell’oceano, porterà, senza precedenti, a conseguenze devastanti per il clima globale.

    MICHAEL E. MANN E L’INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEL MARE

    Michael E. Mann, professore di Scienze della Terra e dell'Ambiente presso l'Università della Pennsylvania, ha recentemente dichiarato: “Su una scala temporale geologica che dura da diverse migliaia di anni, il rapido riscaldamento odierno dura decenni e quindi le scale temporali sono drammaticamente diverse, ma i fattori che determinano sono simili, si conoscono i rilasci di anidride carbonica o naturalmente da cambiamenti nell'attività vulcanica nel corso di milioni di anni nel passato o a causa nostra oggi e quindi la vera differenza è l'entità non è tanto la grandezza ma il tasso di cambiamento nell'arco di 100 milioni di anni dal tempo dei dinosauri e noi lo stiamo rilasciando indietro nell'atmosfera".

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    Alla fine, "molto dipende da noi", sostiene Mann: "Se agiamo per ridurre drasticamente le emissioni di carbonio nei decenni a venire, probabilmente potremo mantenere l'innalzamento del livello del mare a circa un metro entro il 2100. Ciò sarebbe estremamente distruttivo ma non porrebbe fine alla civiltà. Significherebbe lo sfollamento di centinaia di milioni di persone, ma avverrebbe nell’arco di decenni e una ritirata gestita e ordinata sarebbe possibile”.

    Al contrario, ha detto Mann, “se continuiamo con la normale combustione di combustibili fossili, potremmo assistere ad un innalzamento del livello del mare di 1,82 metri entro la fine del secolo, con lo sfollamento di quasi un miliardo di persone, e non possiamo” Non escludo la possibilità che ciò avvenga in tempi accelerati. Quindi abbiamo ancora molto da dire al riguardo."

    SCIOGLIMENTO DEI GHIACCIAI IN GROENLANDIA

    In ciascuna delle ultime ere glaciali si sono verificati diversi cicli del cambiamento climatico improvviso ed estremo, risultanti da un significativo rallentamento e forse anche da un arresto delle correnti oceaniche. Ciò fu probabilmente dovuto allo scioglimento delle grandi calotte glaciali che in quel periodo ricoprivano la Terra, come quelle della Groenlandia. A quei tempi, il cambiamento climatico era estremo, con un cambiamento di 10-15 gradi Celsius in un decennio, quindi questo è un altro campanello d’allarme poiché l’instabilità climatica potrebbe portare alla cessazione delle correnti.

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    Evoluzione del bilancio di massa superficiale (neve - scioglimento) con il vecchio scenario (cmip5) e il nuovo (cmip6). il colore blu indica una perdita di massa in mm/anno.



    Secondo un nuovo studio internazionale, pubblicato il 20 aprile 2023 sulla rivista Earth System Science le calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide, al momento stanno perdendo più di tre volte la quantità di ghiaccio all’anno rispetto a 30 anni fa. Utilizzando 50 diverse stime satellitari, i ricercatori hanno scoperto che lo scioglimento della Groenlandia è andato in iperaccelerazione negli ultimi anni. Lo scioglimento medio annuo della Groenlandia dal 2017 al 2020 è stato del 20% in più all’anno rispetto all’inizio del decennio e più di sette volte superiore al suo ritiro annuale nei primi anni ’90.

    La fonte di energia che alimenta questo sistema sono le differenze nella densità dell’acqua, che si creano a causa dei cambiamenti nella temperatura della superficie del mare e dei cambiamenti nella loro salinità. Man mano che l'acqua si raffredda, la distanza tra le molecole che la compongono si riduce. Diventano più pesanti rispetto all'acqua più calda dello stesso volume, il che porta al loro affondamento. I sali disciolti trovano il loro posto negli spazi tra le molecole d'acqua, contribuendo così al loro peso, in modo che la densità dell'acqua aumenti, il che può accelerarne la sedimentazione. Lo sprofondamento dell’acqua fredda alla fine della Corrente del Golfo nell’Oceano Atlantico settentrionale, e in una certa misura anche sulle coste dell’Antartide, è la forza principale che guida il sistema attuale globale.

    LA CIRCOLAZIONE DI RIBALTAMENTO DELL’ATLANTICO POTREBBE “SPEGNERSI”.COS'È l'AMOC?

    L'AMOC è un gigantesco sistema di correnti oceaniche. Funziona come un nastro trasportatore sottomarino che si estende su larga scala per migliaia di chilometri per trasportare l'acqua calda superficiale dall'equatore verso l'Artico, dove l'acqua si raffredda e affonda sul fondo del mare, prima di rifluire nella direzione opposta e, infine, risalire. nuovamente in superficie.

    Il crollo di questo sistema di correnti, ovvero dell’Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC), potrebbe causare, tra le altre cose, un forte calo delle temperature nelle coste europee e Scandinavia, l’innalzamento del livello del mare sulla costa orientale degli Stati Uniti e l’interruzione delle piogge da cui miliardi di persone dipendono per il cibo in India, Sud America e Africa occidentale. Gli scienziati ribadiscono che: “se non verranno adottati presto passi significativi per frenare i cambiamenti climatici di origine antropica, di cui è responsabile il fattore umano, il mondo intero potrebbe trovarsi nel prossimo futuro nella realtà catastrofica di un disastro esistenziale”.

    MA LA SCOPERTA È ANCHE CONTROVERSA.

    Alcuni scienziati credono che sia già successo prima. Gli studi sull’antico clima della Terra suggeriscono che l’AMOC probabilmente si spense circa 13.000 anni fa, durante un periodo di riscaldamento naturale quando grandi volumi di ghiaccio sciolto si riversavano nell’oceano. Se è successo in passato, potrebbe succedere di nuovo, avvertono gli esperti. Ma dove si trovi il punto critico sulla scala temporale e sull’arco della temperatura è un importante dibattito scientifico.

    I modelli climatici hanno generalmente indicato che l’AMOC continuerà a indebolirsi nei prossimi decenni, ma che è improbabile che crolli completamente entro i prossimi 100 anni. Il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite ha dichiarato nel suo più recente rapporto di valutazione che vi è una “probabilità media” che l’AMOC non crollerà prima della fine di questo secolo. Ma alcuni scienziati sostengono che ci sia motivo di credere che i modelli climatici standard potrebbero sottostimare l’indebolimento dell’AMOC.

    Se l’AMOC non riuscisse a trasportare grandi volumi di acqua in tutto il mondo, l’oceano potrebbe assorbire meno anidride carbonica dall’atmosfera. Parti dell’oceano profondo potrebbero ricevere meno ossigeno. Gli ecosistemi marini potrebbero cambiare nei modi che gli scienziati stanno ancora cercando di capire. Insomma, le conseguenze potrebbero essere drammatiche. Ma è ancora oggetto di dibattito se questi incombenti cambiamenti potrebbero verificarsi entro i prossimi decenni.

    Gli scienziati monitorano l’intero sistema AMOC con sensori oceanici solo da circa un decennio. Per questo tipo di studi è ancora necessario utilizzare misurazioni provenienti da singole regioni con set di dati più lunghi. Ci sono ancora dubbi su come si comporterà l’AMOC quando si indebolirà. È possibile che la corrente abbia diversi punti di non ritorno che portano a stati progressivamente più deboli ma non causano lo spegnimento dell’intero sistema.

    David Thornalley, scienziato oceanico e specialista dell'AMOC presso l'University College di Londra sostiene che: “al momento ci sono alcune incognite e ipotesi davvero grandi che necessitano di essere indagate e le prove sono ancora insufficienti per trarre questa ultima conclusione prima di avere fiducia in questo risultato”.

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    Per anni, studioso dell’ambiente, non è difficile ribadire che il clima, che sta uccidendo il pianeta blu,
    sta cambiando più velocemente ora che in qualsiasi altro momento della storia umana.


    Messina

    Sempre presenti nella mia memoria degli anni '70. In ordine da sinistra a destra: Franz Riccobono storico e collaboratore dell’Università di Messina presso l’istituto di Geologia, Paleontologia e dell’istituto di Geografia e Oceanografia - Filippo Foti da studente in Scienze Naturali - Prof.ssa Laura Bonfiglio già docente di Paleontologia e Paleoecologia UNIME - Filippo Foti mentre discute la tesi di laurea in oceanografia - Le congratulazioni del prof. Guglielmo Stagno d’Alcontres, preside della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali - Prof.ssa Antonina Donato, indimenticabili il Suo sorriso e la Sua simpatia, è stata mio mentore e docente di Anatomia Comparata presso il Corso di Laurea in Science Naturali della Facoltà di Scienze MM.FF.NN. Dal 1998 al 2000 è stata Preside del Corso di Laurea in Scienze Naturali. Seguono le Sue congratulazioni.



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    Prof.ssa Antonina Donato

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    Ho deciso di studiare il cambiamento climatico dopo essermi reso conto di quanto colpisce profondamente le persone più povere ed emarginate del mondo.

    Dopo aver conseguito il 13 marzo 1976 la laurea in Scienze Naturali a Messina dove ho fatto ricerche e pubblicato un trattato di oceanografia e dopo una specializzazione nella Facoltà di Agraria presso l’Università di Perugia in consulente socio-economico, sto continuando ad occuparmi di scienze attraverso questo blog. Il mio vissuto, ovvero il tipo di lavoro svolto fino a pochi anni fa, interessando poco il lettore, lo tralascio e passo a scrivere da naturalista.

    Sfrutto ogni opportunità per scrivere di come il cambiamento climatico ci sta influenzando e cosa possiamo fare al riguardo. Poche persone in realtà rifiutano la scienza del cambiamento climatico, ma a volte resistono alle soluzioni, o semplicemente non ne sono consapevoli. Nei sondaggi, secondo un'analisi pubblicata nel mese di aprile 2022 sulla rivista “Climatic Change”, la maggioranza delle persone, il 69% in tutto il mondo, afferma che il cambiamento climatico è una ‘minaccia piuttosto seria’ o ‘una minaccia molto seria’.

    Filipe Duarte Santos, professore ordinario di fisica, geofisica e ambiente all'Università di Lisbona, a proposito delle preoccupazioni sul cambiamento climatico e delle condizioni meteorologiche avverse, ha pubblicato il 30 marzo 2023 su ‘Springer Nature’ “La sfida del cambiamento climatico globale e il suo rapporto con la sostenibilità, il movimento climatico globale ha catturato l'attenzione del mondo e probabilmente influenzerà il futuro corso degli eventi”.


    Duarte Santos, che ha al suo attivo un vasto curriculum, compreso un forte lavoro di ricerca nel campo delle scienze ambientali e in particolare sul cambiamento climatico, sostiene da tempo: “Raggiungere l'obiettivo internazionale di gestire la temperatura a 2°C con tecnologie ragionevolmente accessibili, con le politiche attuali non è considerato fattibile ed anche con strategie di mitigazione molto ambiziose. Il risultato dipende fortemente da quando inizia l'implementazione della politica di mitigazione. Se il percorso ottimale costi-benefici viene ritardato di 20-30 anni, nel 2100 l'aumento del “Global Mean Surface Temperature - GMST“, ovvero (La temperatura superficiale media globale osservata) sarà di 4°C o più”.

    Resta da vedere, precisa Duarte Santos, se la politica climatica mondiale finirà per seguire la traiettoria dei 3,5°C o rimanere al di sotto degli obiettivi di temperatura dell'accordo di Parigi. Se accade la prima ipotesi, questa può essere interpretata come una concretizzazione dei vincoli imposti della scuola di pensiero economica, cosiddetta neoclassica, (l'area oggi denominata microeconomia)”. La microeconomia consiste nella ricerca di una soluzione al problema del cambiamento climatico che ha fortemente sostenuto il libero scambio come motore per lo sviluppo economico e come modo per sfruttare i vantaggi comparativi dei paesi, secondo la quale condizione necessaria e sufficiente affinché si realizzi lo scambio tra due paesi è che esista una differenza tra i costi comparati delle merci che vengono scambiate, quale che sia il livello dei costi assoluti.

    In conclusione, c'è una grande distanza tra le attuali politiche mondiali sul cambiamento climatico e le politiche ottimali di mitigazione globale delle multinazionali che dovrebbero affrontare efficacemente la sfida del cambiamento, ma le prime sono fortemente influenzate appunto dal preponderante dominio globale dell'economia. Il punto non è perdere tempo a scrivere per i pochi che ancora respingono il cambiamento climatico, ma per chi è preoccupato e non sa cosa fare.

    Studioso dell’ambiente, non mi è difficile ribadire che il clima sta uccidendo il pianeta blu e sta cambiando più velocemente ora che in qualsiasi altro momento della storia umana. Gli inverni si stanno riscaldando. Le primavere arrivano prima. Le estati sono più calde. Non si tratta solo delle medie; il nostro tempo sta diventando più strano mentre il cambiamento climatico procede imperterrito contro di noi. Sappiamo perché ciò sta accadendo: la causa è ascrivibile ad uno sparuto gregge di prezzolati che va da scienziati corrotti alle lobby.

    Per oltre un secolo, scienziati e climatologi, almeno quelli che in parte ho citato attraverso queste pagine, attraverso le loro pubblicazioni sottoposte a revisione paritaria, hanno esaminato tutte le altre ragioni per cui il clima è cambiato in passato: cicli naturali, vulcani, cambiamenti nell'energia solare. In base a questi fattori, in questo momento, il pianeta si sarebbe dovuto raffreddare gradualmente, invece, si sta riscaldando sempre più velocemente e la colpa è delle ‘nostre’ scelte. Uno studio del 2021 ha rilevato che il 98,7% degli esperti del clima ha indicato che la Terra si sta riscaldando principalmente a causa dell'attività umana. Tra gli scienziati che ho citato spese volte attraverso questo blog, uno su tutti è Michael E Mann, uno degli esperti del clima più influenti al mondo.

    Più carbone, petrolio e gas bruciamo, più gas che intrappolano il calore si accumulano nell'atmosfera, avvolgendo una ‘coperta’ in più attorno al pianeta. Cosa possiamo fare dunque? Possiamo accelerare la nostra transizione verso l'energia pulita? Ciò include l'aumento dei programmi nazionali di determinazione del prezzo del carbonio, come del resto più di quaranta paesi lo hanno già fatto! Ammodernamento delle case, riduzione degli sprechi alimentari (lo sapevate che, secondo l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO), circa un terzo di tutto il cibo prodotto (dai campi alle nostre tavole) finisce per essere buttato via. Questo è un enorme spreco di risorse, tra cui energia, acqua, suolo, fertilizzanti e pesticidi usati per produrre cibo. Lo spreco alimentare danneggia anche l'ambiente perché i cibi in decomposizione provocano inquinamento, compreso il metano, un gas serra molto potente.


    In uno studio condotto in Israele, pubblicato il 14 luglio 2023, ho rilevato che il 45% di tutti i rifiuti domestici è costituito da rifiuti alimentari e il 54% dei rifiuti alimentari è costituito da alimenti ancora commestibili, in particolare frutta e verdura e l’utilizzo della tecnologia per ridurre la quantità di energia necessaria per tutto, dal tenere accese le luci alla “Supply Chain Management - SCM”, ovvero alla (Gestione del flusso complesso delle merci), approvvigionamento, produzione e distribuzione che possono avere un impatto enorme. Possiamo altresì contribuire proteggendo e ripristinando la natura che ci circonda, dalle foreste alle cinture verdi urbane e implementando pratiche agricole rigenerative rispettose del clima come colture di copertura, piante che vengono piantate per coprire il suolo, e una migliore gestione dei fertilizzanti. Oppure adattarsi al cambiamento già avvenuto, non ci resta che questa opzione? Questa è la resilienza climatica: adattarsi ai cambiamenti già avvenuti come piantando alberi per mantenere i quartieri più freschi, assicurandosi che le loro infrastrutture e servizi pubblici siano pronti per tempeste, inondazioni e ondate di caldo più forti.

    Parlare potrebbe sembrare poco: ma come ha scritto, tra l’altro, la giornalista ambientale Sara Peach su National Geographic, Scientific American): “parlare, è il campo fertile in cui inizia il cambiamento culturale; in sua assenza, è impossibile per un gruppo di persone risolvere un problema. Inoltre, i sondaggi mostrano che la maggior parte di noi non parla di cambiamento climatico. Ecco perché avere una conversazione è il primo passo fondamentale per catalizzare l'azione, ed è qualcosa che tutti possiamo fare”.

    Discutere, a volte implica incoraggiare gli altri ad agire: come chiedere dove va il cibo avanzato nei ristoranti o se prenderebbe in considerazione la possibilità di fissare obiettivi climatici basati sulla scienza. Possiamo anche usare la nostra voce, o come in questo caso le mie riflessioni che sto pubblicando, per assicurarci che le nostre banche e i nostri governi sappiano che la scienza è chiara: nessun nuovo sviluppo di combustibili fossili è possibile se vogliamo raggiungere l'obiettivo dell'accordo di Parigi di limitare il riscaldamento a meno di 1,5 gradi Celsius. Altre volte, potremmo conversare con un amico o un parente mentre stiamo facendo colazione o stiamo sorseggiando un aperitivo. Ed è così che rendiamo contagioso il cambiamento.

    Il passaggio all'energia pulita fa risparmiare denaro alle persone: “Sapevi che l'energia solare è ora la forma più economica di elettricità che gli esseri umani abbiano mai avuto? Elimina anche l'inquinamento atmosferico da combustibili fossili che uccide circa 10 milioni di persone in tutto il mondo ogni anno. Ridurre i nostri sprechi alimentari e rendere le nostre colture resistenti al clima, garantisce risorse alimentari più abbondanti. E, cosa più importante, queste soluzioni portano ad un pianeta più sicuro e vivibile.

    Possiamo iniziare con una conversazione da subito, anche qui, aprendo un post: sul perché il cambiamento climatico è importante e su come sta influenzando le persone, i luoghi e le cose che amiamo. Anche da questo mio blog, possiamo esplorare cosa possiamo fare insieme. Discutendone, sono convinto che possiamo creare un futuro migliore e più resiliente che protegga le persone e i luoghi che amiamo. Il nostro futuro, anche se appartiene alle prossime generazioni, è nelle nostre mani.


    Se questa lettura è stata di tuo gradimento continua a seguirci qui troverai elencati tutti i miei post. Tra gli argomenti: il nostro pianeta, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità e tanto altro. Come si evince dalle nostre "Statistiche", con oltre 6.000 articoli e commenti!

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    Edited by Filippo Foti - 29/8/2023, 08:06
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    Solo le transizioni ecologiche ed energetiche possono conciliare la crescita economica e il perseguimento l'Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile di tutti i paesi del mondo.


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    Oggigiorno è impensabile scindere la transizione ecologica da quella energetica, considerando specialmente quanto la produzione energetica stessa derivi, per la sua grande maggioranza, da fonti di energia non rinnovabili e/o collocate all’estero: questo meccanismo da una parte fa sprecare risorse economiche per la compravendita di energia “estera” e dall’altra rinforza la grande opportunità di usufruire di una fonte che invece abbiamo disponibile gratuitamente e in abbondanza: il sole, quanto per citarne una. L’avvento di nuove forze della “circular and green economy” (Economia circolare e verde), un alleato strategico dello sviluppo sostenibile, ben si interfacciano e sono complementari a questa filiera già esistente.

    Le attività umane sono sul punto di generare una sesta estinzione di massa! Tuttavia, la biodiversità della fauna, della flora marina e terrestre, ovvero la ricchezza della vita sulla Terra, contribuiscono alla resilienza dei nostri ecosistemi di fronte al cambiamento climatico. La loro conservazione è imperativa perché ci forniscono servizi essenziali per la nostra vita quotidiana, l'approvvigionamento di risorse naturali e il benessere culturale. Cultura e benessere, coprono le differenze nazionali nella soddisfazione della vita e il ruolo dei fattori culturali nel produrre queste differenze. La cosiddetta cultura sussidiaria contribuisce al benessere collettivo: partecipare ad attività sociali e di volontariato migliora la qualità della vita, facilita la ricerca di un lavoro e riduce il rischio di povertà.

    La diagnosi del nostro attuale modello di sviluppo è chiara: si fa poco o niente per affrontare le disuguaglianze. Peggio ancora, partecipa all'aggravamento di queste, mentre degrada il nostro pianeta. Solo le transizioni ecologiche ed energetiche possono conciliare la crescita economica e il perseguimento dell'agenda sociale di tutti i paesi del mondo.

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    ECONOMIA CIRCOLARE

    I concetti di economia circolare ed economia verde condividono lo stesso principio: vale a dire, "adattare o trasformare l'economia attuale verso un'economia più sostenibile". Questo nuovo modello economico è stato sviluppato per sconfiggere il modello tradizionale basato sul principio “prendere, fare e smaltire”, chiamato anche “economia lineare”, sistema dimenticato quale modo di intendere la produzione, verso la direttrice della sostenibilità d'impresa.

    Mentre il mondo affronta una sfida senza precedenti di degrado ambientale ed esaurimento delle risorse naturali, la necessità di un modello economico sostenibile è più urgente che mai. Infatti, la tradizionale economia lineare, in cui prendiamo, produciamo e smaltiamo i prodotti, si è dimostrata insostenibile, portando all'esaurimento delle risorse ed al degrado ambientale. Da qui è nato il concetto di economia circolare, che mira a mantenere le risorse in uso il più a lungo possibile riducendo al minimo i rifiuti e promuovendo il riutilizzo, la riparazione e il riciclo dei prodotti. Ma l'economia circolare è la chiave per un futuro sostenibile?

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    TRANSIZIONE ECOLOGICA VS TRANSIZIONE ENERGETICA

    La transizione ecologica è un concetto che mira a mettere in atto un nuovo modello sociale ed economico per rispondere in modo intelligente alle sfide ambientali, con lo scopo di ripensare il modo in cui viviamo insieme sul territorio in cui lavoriamo e produciamo per ridurre il nostro impatto ambientale. A lungo termine, ci consentirà di adottare un approccio di sviluppo sostenibile, modificando i nostri comportamenti di consumo e limitando gli sprechi. La transizione ecologica non deve essere confusa con la transizione energetica: prevedendo una serie di azioni per la diversificazione delle fonti energetiche la transizione ecologica si orienta verso le energie rinnovabili.

    La rapida transizione del sistema energetico globale verso le rinnovabili è ritenuta necessaria per combattere il cambiamento climatico. Le stime attuali suggeriscono che almeno 30 minerali e metalli costituiscono la base materiale per la transizione energetica. L'inventario degli “Equipment and Tools Management” - ETM” (Inventario dei materiali di ricerca), indica un alto livello di intersezionalità, ovvero permette di dare voce ai gruppi marginalizzati e alle loro esperienze, con territori meno influenzati dalle forze storiche dell'industrializzazione. Per identificare l'attuale impronta globale, sono stati geolocalizzati 5.097 progetti ETM rispetto agli indicatori dei popoli indigeni come modificazione umana della terra, produzione alimentare, rischio idrico, conflitti, nonché misure di capacità per l'autorizzazione, la consultazione e il consenso dei progetti. I risultati dello studio differenziano gli ETM per migliorare la visibilità sui collegamenti tra tecnologia, risorse e obiettivi di sostenibilità.

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    Bauxite (è il minerale dal quale si ottiene l'alluminio); Grafite (si trova in rocce come: scisti di grafite e scisti cristallini); Litio (viene estratto dalle miniere); Molibdeno (è ottenuto come sottoprodotto nella produzione di rame e solo circa il 30% direttamente dai minerali di molibdeno);Platino (viene estratto allo stato solido in vari giacimenti); Manganese (presente soprattutto negli alimenti di origine vegetale); Piombo (si trova solitamente nei minerali insieme a zinco, argento e rame ed è estratto insieme a questi metalli); Vanadio (è presente nella bauxite e nei depositi come petrolio greggio, carbone, argillite petrolifera e le sabbie bituminose); Rame (contenuto nei minerali grezzi); Minerale di ferro (contenuto nei minerali grezzi (per produrre acciaio); Zinco (si presenta naturalmente in aria, acqua e nel terreno, ma le concentrazioni di zinco stanno aumentando in modo innaturale, a causa dell'aggiunta dovuta ad attività umane); Nichel (si trova in natura in diversi minerali ); Stagno (si ottiene riducendo il minerale cassiterite); Argento (si estrae dai minerali che contengono piombo, soprattutto la galena); Cobalto (elemento presente naturalmente nell'ambiente: nell'aria, acqua, terreno, rocce, piante e animali. Si trova anche nei minerali come la cobaltite, smaltite ed eritrite); Tungsteno (si trova in numerosi minerali, tra cui la wolframite e la scheelite); Elementi delle Terre Rare (non si trovano mai in natura in forma “pura” come i cosiddetti metalli nativi (oro e argento, per esempio) ma sempre all’interno di altri minerali, mescolati quindi con altri elementi.

    La transizione energetica è guidata dalla crescita esponenziale delle energie rinnovabili e dai cambiamenti chiave che avverranno entro il 2030. Al centro della transizione energetica, una rivoluzione tecnologica, c'è il fatto che le tecnologie rinnovabili (solare, eolica, veicoli elettrici e pompe di calore) sono di gran lunga superiori ai combustibili fossili. La transizione energetica è un passaggio da un sistema concentrato, costoso, inquinante e basato su materie prime senza alcuna curva di apprendimento, ad un sistema efficiente, costruito e guidato dalla tecnologia che offre costi in continua diminuzione ed è disponibile ovunque. Si sta spostando da molecole pesanti ed ardenti ad elettroni leggeri e 'disciplinati'; dalla caccia ai combustibili fossili alla ‘coltivazione’ del sole.

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    Insieme di valori di risparmio energetico per prendersi cura della Terra.



    LE RISORSE MINERARIE PER SOSTENERE LA TRANSIZIONE SONO PROBLEMATICHE

    La crisi climatica è il prodotto di un grave squilibrio tra l'industrializzazione storica ed il mondo naturale. Limitare il riscaldamento globale a 2°C richiederebbe una riduzione del 70% delle emissioni di anidride carbonica entro il 2050. La rapida transizione del sistema energetico globale dai combustibili fossili alle rinnovabili è ritenuta necessaria per affrontare il cambiamento climatico. Vi è una crescente consapevolezza che la base delle risorse minerarie e le condizioni locali associate necessarie per sostenere questa transizione sono problematiche. Tuttavia, la crisi sociale e ambientale associata al cambiamento climatico tende a mettere in ombra il fatto che le soluzioni di mitigazione del clima introdurranno nuovi impatti e dinamiche man mano che le risorse vengono estratte per sostenere la transizione. Le considerazioni sugli effetti locali dell'estrazione delle risorse sono sostituite dalle preoccupazioni sulla possibile gravità del cambiamento climatico e sull'urgente necessità di agire. Fino a quando queste considerazioni e pressioni locali non saranno meglio caratterizzate, le attuali soluzioni climatiche rischiano di aumentare il tasso di industrializzazione, aggravando così il problema originario.

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    Vista aerea del campo turbine eoliche e miniera tedesco energia zona industriale paesaggio.



    L'IMPRONTA AMBIENTALE DELL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE

    Dalla tecnologia del “digital twin” (gemello digitale), che modella la Terra potendo replicare molti elementi del mondo reale, da singole apparecchiature in una fabbrica a installazioni complete, come turbine eoliche e persino intere città, agli algoritmi per rendere i data center più efficienti, le applicazioni supportano già la transizione verde. Le tecnologie basate sull'intelligenza artificiale hanno un enorme potenziale per sostenere un'azione positiva per il clima. Ma i sistemi di intelligenza artificiale sollevano anche problemi di sostenibilità legati alle risorse naturali che consumano, come elettricità e acqua, e alle emissioni di carbonio che producono.

    L'ascesa dell'apprendimento profondo e dei modelli di linguaggio di grandi dimensioni ha anche aumentato notevolmente la quantità di capacità di calcolo di cui hanno bisogno i sistemi di intelligenza artificiale (IA). Questo programma o algoritmo si basa sui dati di addestramento per riconoscere modelli e fare previsioni o decisioni. Più punti dati riceve detto modello, più accurato può essere nell'analisi dei dati e nelle previsioni. Con l'aumento dell'uso, i governi e i responsabili politici devono comprendere gli impatti ambientali dell'IA in modo da poter prendere decisioni basate su prove. Ciò pone la domanda: qual è l'impronta ambientale dell'IA?

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    La risposta a questi problemi avviene attraverso il lancio del rapporto "The AI footprint: AI Expert Group on AI Compute and Climate and the Global Partnership on AI (GPAI) Responsible AI Working Group (RAI)”, in sintesi (Partenariato Globale sull'Intelligenza artificiale), il rapporto esamina gli strumenti di misurazione esistenti e le principali sfide per quantificare gli impatti ambientali positivi e negativi della formazione e dell'implementazione dei modelli (IA) e delle loro applicazioni. Creando e monitorando misure di calcolo specifiche per l'IA, condividendo le migliori pratiche e supportando applicazioni di intelligenza artificiale nuove e innovative per combattere il cambiamento climatico. I paesi possono garantire che l'IA sia 'addestrata' e impiegata nel modo più sostenibile possibile, riducendo al minimo gli impatti negativi, per il bene del pianeta.

    Se questa lettura è stata di tuo gradimento continua a seguirci qui troverai elencati tutti i miei post. Tra gli argomenti: il nostro pianeta, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità e tanto altro. Come si evince dalle nostre "Statistiche", con oltre 6.000 articoli e commenti!

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    Edited by Filippo Foti - 18/8/2023, 12:52
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    L'emergenza climatica ha e continuerà ad avere profonde implicazioni per la salute dell'umanità che passa attraverso il rispetto dell'ambiente e per gli esodi forzati correlati al cambiamento climatico e alle catastrofi naturali. Le più grandi e potenti organizzazioni di lobbying aziendali della California, Big Oil e Big Gas continuano a farla da padroni.


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    Il colpo di calore, una forma di ipertermia accompagnata da una risposta infiammatoria sistemica che provoca una disfunzione multi-organo che può portare al decesso, è all’attenzione di meteorologi, medici ed istituzioni internazionali in tutto il mondo, con così tanti giorni consecutivi di caldo eccessivo. Raccomandano, pertanto, alle persone di limitare la loro esposizione all'aperto e di conoscere i segni premonitori del colpo di calore. In che modo il caldo estremo ha un impatto sulla mente e sul corpo?

    CONOSCERE I SEGNI

    Dalla forte sudorazione e vertigini agli spasmi muscolari e persino al vomito, gli esperti affermano che è probabile che il colpo di calore diventi più comune. Nei prossimi decenni, si prevede che l’umanità sperimenterà temperature più elevate e ovviamente colpi di calore più intensi. La più grave malattia correlata al calore si verifica quando il corpo perde la sua capacità di sudare. La pelle diventa calda e rossa e il polso accelera quando la temperatura corporea della persona sale a 39°C o superiore. Inizia con il mal di testa, insieme a nausea, confusione e persino svenimento.

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    Jon Femling


    Jon Femling, medico specializzato in medicina d’urgenza e scienziato presso l’Università del New Mexico, ha affermato che il corpo cerca di compensare pompando sangue sulla pelle per rinfrescarsi. E più una persona respira, più perde liquidi, diventando la pelle sempre più disidratata. Possono essere persi, durante la sudorazione, anche importanti elettroliti come il sodio e il potassio. "Quindi una delle prime cose che succede è che i tuoi muscoli iniziano a sentirsi stanchi mentre il tuo corpo inizia a deviare, e poi puoi iniziare ad avere danni agli organi dove i tuoi reni non funzionano, la tua milza, il tuo fegato. Se le cose si mettono davvero male, allora inizi a non irrorare il tuo cervello allo stesso modo", ha detto Femling.

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    Gli esperti affermano che è importante riconoscere i segni del colpo di calore negli altri, poiché le persone potrebbero non rendersi conto del pericolo in cui si trovano a causa di uno stato mentale alterato che può comportare confusione. In caso di colpo di calore, suggeriscono di chiamare i servizi di emergenza sanitaria e provare ad abbassare la temperatura corporea della persona con panni freschi e bagnati o un bagno freddo.

    Infatti, con l'esaurimento da calore, il corpo può diventare freddo e umido. Altri segni includono forte sudorazione, nausea, crampi muscolari, debolezza e vertigini. Gli esperti dicono che la cosa migliore da fare è spostarsi in un luogo fresco, allentare i vestiti e sorseggiare un po' d'acqua. Le persone anziane, i bambini e le persone con problemi di salute possono affrontare rischi maggiori quando le temperature sono elevate. Durante eventi di caldo estremo, uno dei modi più comuni in cui le persone possono morire è per collasso cardiovascolare, sostengono gli esperti, a causa dell'energia extra che il cuore deve spendere per aiutare il corpo a compensare le temperature elevate. In generale, i medici affermano che stare in casa, cercare edifici climatizzati e bere più acqua del solito può evitare malattie legate al caldo. La caffeina e l'alcool sono da evitare e consumare piccoli pasti più spesso durante il giorno può aiutare.

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    Una tigre di Sumatra, il 19 luglio, quando la temperatura ha raggiunto i 40°C allo zoo di Roma cerca refrigerio con un blocco di frutta congelata.


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    Un cane sta cercando di rinfrescarsi in Piazza Castello a Torino


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    Una turista lotta con il caldo in cima alla collina dell'Acropoli durante un'ondata di caldo oggi ad Atene, in Grecia


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    La gente si rinfresca il 17 luglio nel Mar Mediterraneo su una spiaggia di Tunisi, dopo giorni di temperature torride.



    LINEE GUIDA PER BAMBINI SFOLLATI A CAUSA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO

    L'ONU ha stabilito le linee guida per proteggere i bambini sfollati a causa del cambiamento climatico. Secondo un nuovo rapporto, solo nel 2020, quasi 10 milioni di bambini sono sfollati a causa di shock meteorologici. Per fornire il primo quadro politico le linee guida - lanciate dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), dal Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF), dalla Georgetown University e dall'Università delle Nazioni Unite, per i bambini in movimento nel contesto del cambiamento climatico - contengono una serie di principi che affrontano le vulnerabilità uniche dei bambini che sono stati sradicati. Esse riguardano sia le migrazioni interne che quelle transfrontaliere. Qui, di seguito, i principi lanciati il 25 luglio 2022 che mirano a proteggere e responsabilizzare i bambini costretti a fuggire dalle loro case a causa di emergenze legate al clima:

    L'emergenza climatica ha e continuerà ad avere profonde implicazioni per la mobilità umana; I suoi impatti saranno più gravi con segmenti particolari delle nostre comunità come i bambini; Occorre garantire visibilità ai loro bisogni e diritti, sia nei dibattiti politici che nella programmazione; Secondo i rapporti delle Nazioni Unite quasi 10 milioni di bambini sono stati sfollati a seguito di shock legati alle condizioni meteorologiche solo nel 2020; Ogni giorno, l'innalzamento del livello del mare, gli uragani, gli incendi e i raccolti scarsi spingono sempre più bambini e famiglie ad abbandonare le loro case; I principi guida forniscono ai governi nazionali e locali, alle organizzazioni internazionali e ai gruppi della società civile una base per costruire politiche che proteggano i diritti dei bambini; Nel 2006, UNICEF e OIM avevano firmato un Memorandum of Understanding (MoU) definendo le principali aree di cooperazione tra le due agenzie in ambito umanitario; Il consolidato rapporto operativo in risposta alle pressanti questioni che i bambini migranti devono affrontare in tutto il mondo è stato ulteriormente rafforzato da allora; In tutto il mondo, i bambini migranti stanno affrontando livelli allarmanti di xenofobia, le conseguenze socioeconomiche della pandemia di COVID-19 e un accesso limitato ai servizi essenziali; Con i servizi, il sostegno e la protezione di cui hanno bisogno per ottenere il massimo dalla loro vita.

    ALCUNI DEGLI EVENTI SUCCESSI IN ITALIA

    Il caldo mortale rivendica la prima vita in Italia. Un addetto alla segnaletica stradale di 44 anni, l'11 luglio, è crollato a causa del caldo a Lodi quando le temperature sono salite sopra i 40°C. L'uomo, di cui non si conosce il nome, è poi deceduto in ospedale.

    Una turista britannica scrive il Daily Mail, di cui non è stato reso noto il nome, è crollata l’11 luglio davanti al Colosseo a Roma prima che i passanti preoccupati le consegnassero delle bottiglie d'acqua. Altri turisti hanno cercato rifugio sotto gli alberi della “città eterna”, mentre altri hanno usato le loro magliette come parasole improvvisati per ripararsi dal sole. Sempre in Italia, due fratelli, di sei e sette anni, sono stati trovati annegati in un bacino di irrigazione vicino alla città di Manfredonia. La polizia ritiene che i bambini avessero cercato sollievo dal caldo incessante nuotando nel bacino prima di mettersi in difficoltà e annegare.

    CERBERUS COLPISCE L'EUROPA

    Cerberus


    L'ondata di caldo Cerberus prende il nome dalla creatura dell'Inferno di Dante che custodisce le porte degli inferi nella mitologia greca su cui regnava il dio Ade. L’anticiclone sahariano è appunto meglio noto con questo nome.

    L'immunologo Mauro Minelli - responsabile della Fondazione italiana per la medicina personalizzata nel sud Italia, ha recentemente sostenuto: "Quante altre estati dovremo attraversare prima di iniziare a convincerci del fatto che l'aumento delle temperature potrebbe non essere affatto un evento straordinario sporadico, ma piuttosto un processo irreversibile che di fatto è già iniziato"? Minelli è famoso per avere affermato nel marzo ‘22 che l'ultimo filmato di Putin lo mostra con una faccia più gonfia, ha sostenuto che lo zar potrebbe essere sotto l'influenza della "rabbia da steroidi" –

    Mauro Minelli

    Mauro Minelli



    GLI OCEANI MALATI

    Gli oceani, malati della stessa febbre da surriscaldamento che affligge tutto il pianeta, assorbono la maggior parte del calore generato dai gas che riscaldano il pianeta, causando ondate di calore che danneggiano la vita acquatica, alterando i modelli meteorologici e interrompendo i sistemi cruciali di regolazione del pianeta. A giugno scorso, le temperature globali della superficie marina hanno raggiunto livelli senza precedenti. Il ghiaccio marino antartico ha raggiunto la sua estensione più bassa del mese da quando sono iniziate le osservazioni satellitari, al 17% al di sotto della media, superando di gran lunga il record del giugno ’22.

    Mentre le temperature della superficie del mare normalmente diminuiscono in tempi relativamente brevi rispetto ai picchi annuali, quest'anno sono rimaste elevate, con gli scienziati che avvertono che questo sottolinea un impatto sottovalutato ma grave del cambiamento climatico. "Se gli oceani si stanno riscaldando considerevolmente, ciò ha un effetto a catena sull'atmosfera, sul ghiaccio marino e sul ghiaccio in tutto il mondo. Ci sono molte preoccupazioni da parte della comunità scientifica che cerca di comprendere gli incredibili cambiamenti a cui stiamo assistendo in questo momento. El Nino è un modello naturale che provoca un aumento del calore in tutto il mondo, nonché siccità in alcune parti del mondo e forti piogge altrove, aggiungendo che i suoi effetti si sarebbero probabilmente fatti sentire più acutamente nel corso dell'anno. El Nino non è ancora partito”, ha affermato Michael Sparrow, capo del Programma mondiale di ricerca sul clima presso l'OMM.

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    Secondo Jean-Pierre Gattuso, a causa della forte ondata di caldo nel Mar Mediterraneo per 70 giorni, è prevista mortalità di massa nella vita marina. A 27ºC, le temperature del mare sono ora vicine al tardo periodo Cretaceo dei dinosauri. Gattuso è direttore di ricerca presso il Laboratoire d'Océanographie de Villefranche in Francia. La sua ricerca attuale riguarda gli effetti dell'acidificazione e il riscaldamento degli oceani sugli ecosistemi marini e sui servizi che forniscono alla società. Studia anche soluzioni oceaniche per mitigare e adattarsi al cambiamento climatico.

    Jean Pierre Gattuso


    Circa l'80% dell'umanità ha sperimentato temperature insolitamente calde durante il mese di luglio, attribuibili in gran parte al cambiamento climatico causato dall'uomo, rileva un nuovo rapporto. C’è da chiarire ancora, e molti scienziati lo stanno facendo, quanto negli ultimi decenni l'uomo ha reso più frequenti un'ampia gamma di eventi meteorologici estremi. Sebbene si prevedano periodi prolungati e intensi di condizioni meteorologiche estreme, come conseguenza del riscaldamento climatico antropogenico, rimane difficile valutare rapidamente e continuamente il grado in cui l'attività umana altera la probabilità di eventi specifici.

    Perché è importante: il rapporto mostra la portata straordinaria del cambiamento climatico e la sua influenza sulle temperature estreme. Ha reso molto più probabile il caldo estremo, in particolare in molti paesi in via di sviluppo. Utilizza lo strumento quotidiano di "Climate Central" per l'attribuzione del clima noto come "Climate Shift Index" sottolineando come l'influenza umana e l'esposizione alle temperature estreme globali siano state molto più ampie delle tre principali ondate di calore che hanno fatto notizia il mese scorso.

    QUANTI DI QUESTI FATTI SI RIPETERANNO NEL MONDO?

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    Uno per tutti, è utile citarlo: La madre di un operaio di 24 anni, tale Gabriel Infante, morto per un colpo di calore mentre lavorava per un'impresa di costruzioni a San Antonio, in Texas, ha intentato una causa contro il suo datore di lavoro. Il ragazzo stava lavorando per "B Comm Constructors " a San Antonio, in Texas. E' successo il 23 giugno 2022 mentre stava scavando, sotto il caldo sole estivo, per spostare un cavo in fibra ottica di Internet, un lavoro che aveva iniziato di recente con un migliore amico d'infanzia mentre stavano finendo il college. Il giorno dell'incidente, le temperature a San Antonio hanno superato i 37,7°C, con livelli di umidità che hanno raggiunto il 75%, hanno osservato gli avvocati della madre del ragazzo.

    Secondo la causa, promossa dalla madre, Infante ha iniziato a mostrare i sintomi del colpo di calore tra cui confusione, stato mentale alterato, vertigini e perdita di coscienza. Il suo amico e collega Joshua Espinoza ha iniziato a versargli addosso dell'acqua fredda, cercando di rinfrescarlo. Un caposquadra dell'impresa, ha invece insistito che Espinoza chiamasse la polizia, sostenendo che il comportamento bizzarro di Infante era dovuto alla droga, e quando sono arrivati i servizi medici di emergenza il caposquadra ha spinto per un test antidroga. Infante in seguito è deceduto in ospedale dove è stato accertato che aveva una temperatura interna di 43,2° C. Il Center for Disease Control ha affermato che una temperatura corporea di 39,4 °C o superiore è un sintomo principale del colpo di calore.

    Attualmente, la madre sta cercando di istituire una borsa di studio musicale sotto il nome di suo figlio poiché Gabriel voleva continuare la sua educazione musicale e suonava il sassofono sin da quando era un bambino e amava la musica. Ha detto che quando aveva quattro anni ha imparato e avrebbe cantato il testo della canzone dei Beatles From Me to You (Da me a te) a lei e suo padre per uscire dai guai.

    L'Occupational Safety and Health Administration ha proposto una multa di 13.052 dollari contro l'impresa di costruzioni per non aver protetto i lavoratori dai rischi di calore sul posto di lavoro, cosa che l'azienda sta contestando.

    La madre di Infante, nella causa, chiede 1 milione di dollari di risarcimento per la morte di suo figlio, osservando che non c'erano protezioni in atto da parte del datore di lavoro per proteggere i lavoratori dal caldo estremo, né c'erano programmi o politiche di formazione o di prevenzione delle malattie legate al caldo imposte dal datore di lavoro in quel momento. "Non è nemmeno riuscito a vedere il suo primo stipendio", ha detto al San Antonio Express Joshua Espinoza, collega di lavoro e migliore amico di Infante fin dall'infanzia. L’azienda di B Comm Constructors non ha risposto a più richieste di commento.

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    Secondo i dati pubblicati su il sito web del Segretario di Stato della California la "Western States Petroleum Association", la più grande e potente organizzazione di lobbying aziendale della California, Big Oil e Big Gas, ha speso oltre 34,2 milioni di dollari facendo pressioni sui funzionari della California nella sessione 2021-22.

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    Il mese di luglio ’23 è di gran lunga il più caldo sul pianeta in circa 120.000 anni. Lo sostiene Copernicus e gli scienziati più importanti del mondo. Le ondate di calore di questa estate sono "virtualmente impossibili" senza il cambiamento climatico.


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    Mentre vaste aree di tre continenti cuociono sotto temperature roventi e gli oceani si riscaldano a livelli senza precedenti, gli scienziati di due autorità climatiche globali stanno segnalando prima ancora della fine di luglio che questo mese sarà di gran lunga il più caldo del pianeta mai registrato.

    Il caldo di luglio è già stato così estremo che è "praticamente certo" che questo mese supererà i record "con un margine significativo", ha affermato il servizio sul cambiamento climatico Copernicus dell'Unione europea e l'Organizzazione meteorologica mondiale in un rapporto pubblicato giovedì scorso. Queste temperature sono state correlate alle ondate di caldo in gran parte del Nord America, dell'Asia e dell'Europa, che insieme agli incendi in paesi come il Canada e la Grecia, hanno avuto un impatto importante sulla salute delle persone, sull'ambiente e sull'economia.

    Grafico di Carlo Buontempo


    Commento grafico Buontempo: Temperatura globale giornaliera dell'aria superficiale (°C) dal 1° gennaio 1940 al 23 luglio 2023, tracciata come serie temporale per ogni anno. Gli anni 2023 e 2016 sono mostrati con linee spesse ombreggiate rispettivamente in rosso vivo e rosso scuro. Altri anni sono rappresentati con linee sottili e sfumate secondo il decennio, dal blu (anni '40) al rosso mattone (anni '20). La linea tratteggiata e l’involucro grigio rappresentano la soglia di 1,5°C al di sopra del livello preindustriale (1850-1900) e la sua indeterminazione. Dati: ERA5. Credito: C3S/ECMWF.

    Carlo Buontempo ha al suo attivo un dottorato di ricerca in fisica presso l'Università dell'Aquila nel 2004, prima di trasferirsi in Canada per il suo post-dottorato e poi entrare a far parte del Met Office del Regno Unito. Buontempo ha lavorato presso l'Hadley Center for Climate Science and Services per quasi un decennio, dove ha guidato il team di adattamento climatico e il team di sviluppo dei servizi climatici. In questo ruolo ha guidato numerosi progetti riguardanti l'adattamento al cambiamento climatico e la modellazione regionale in Europa, Africa, Asia e Nord America. Ha sviluppato il sistema informativo settoriale di C3S, aiutando le imprese e i responsabili politici in settori come finanza, assicurazioni, energia, ecc. con servizi di dati ambientali personalizzati e aggiornati. Al momento è il direttore del Copernicus Climate Change Service (C3S), il servizio che fornisce informazioni sul clima nel passato, presente e futuro, così come strumenti, garanzia di qualità e formazione per sostenere l'uso ottimale della vasta gamma di dati climatici di riferimento, indicatori e applicazioni resi disponibili tramite il Climate Data Store – CDS - (Archivio dati climatici) presso L’European Centre for Medium-Range Weather Forecasts – ECMWF – (Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine).

    Sulla base dei dati di monitoraggio dell'OMM e del programma Copernicus, la temperatura della superficie terrestre e degli oceani è aumentata bruscamente. La temperatura superficiale media per i primi 23 giorni di luglio 2023 ha raggiunto i 16,95 gradi Celsius, al di sopra della temperatura più calda globale registrata nel luglio 2019 di 16,63 gradi Celsius.

    I dati utilizzati per tenere traccia di questi record risalgono al 1940, ma molti scienziati, compresi quelli di Copernicus, affermano che è quasi certo che queste temperature siano le più calde che il pianeta abbia visto in 120.000 anni, dato quello che sappiamo da millenni di dati climatici estratti dalle barriere coralline e nuclei di sedimenti di acque profonde. Secondo gli esperti della Nasa nel 2024 le temperature dovrebbero essere ancora più alte, tanto che invitano l’umanità a prepararsi al peggio.

    "Queste sono le temperature più calde nella storia umana", ha detto Samantha Burgess, vicedirettore di Copernicus.

    Tutto si aggiunge a un'estate torrida nell'emisfero settentrionale, potenzialmente senza precedenti. "Le probabilità sono certamente a favore di un'estate da record", ha ribadito Buontempo, anche se ha avvertito che è troppo presto per affermarlo con sicurezza.

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    Il 27 luglio 2023, il sito istituzionale (Copernicus Climate Change Service - C3S -) ha così commentato la situazione del nostro pianeta: “Le temperature da record fanno parte della tendenza al drastico aumento delle temperature globali. Le emissioni antropogeniche sono in definitiva il principale motore di queste temperature in aumento. È improbabile che il record di luglio rimanga isolato quest'anno, le previsioni stagionali di C3S indicano che è probabile che le temperature sulle aree terrestri siano ben al di sopra della media, superando l'80° percentile della climatologia per il periodo dell'anno".

    Anche il prof. Petteri Taalas, meteorologo finlandese e segretario generale dell'Organizzazione meteorologica mondiale, ha rilasciato questa dichiarazione: "Le condizioni meteorologiche estreme che hanno colpito molti milioni di persone a luglio sono purtroppo la dura realtà del cambiamento climatico e un assaggio del futuro. La necessità di ridurre le emissioni di gas serra è più urgente che mai. L'azione per il clima non è un lusso ma un dovere".

    Il bilancio umano del caldo è netto. Poiché le temperature sono aumentate sopra i 50 gradi Celsius in alcune parti degli Stati Uniti, le morti legate al caldo sono aumentate e le persone stanno subendo ustioni potenzialmente letali cadendo su un terreno rovente. Nel Mediterraneo, più di 40 persone sono morte mentre gli incendi imperversano in tutta la regione, alimentati dalle alte temperature. In Asia, ondate di calore intense e prolungate stanno mietendo vittime e minacciando la sicurezza alimentare.

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    "INFERNO" NEL MEDITERRANEO


    Questo disastro, a causa della temperatura elevata, può causare anche un colpo di calore mortale. A causa delle temperature estreme, le foreste della regione europea sono in fiamme. Fino ad ora, i dati dell'UE e del "Copernicus Climate Change Service" hanno affermato che più di 50.000 ettari di foresta, durante l'estate, sono stati bruciati nella regione europea. Uno dei paesi attualmente più colpiti dagli incendi boschivi è la Grecia. A partire da mercoledì (26/7/2023), più di 19.000 residenti sono stati evacuati dall'isola greca di Rodi. L'isola, una importante meta turistica, è l tra le zone con le peggiori condizioni di incendio della Grecia. Anche l'Italia è stata colpita da gravi incendi a causa dell'ondata di caldo estivo. La Sicilia è l'area con i danni più gravi. L'aeroporto Falcone Borsellino di Palermo, nella notte di martedì 25 luglio è stato chiuso a causa dell'incendio sviluppatosi in zona Punta Raisi, nella zona perimetrale dello scalo proprio dove si trova l'aerostazione del capoluogo.

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    Senza dubbio, rispetto ad altri continenti, l'Europa è quello che ha sperimentato il riscaldamento più rapido negli ultimi decenni. Pertanto, le ondate di calore e gli incendi che si stanno verificando attualmente dovrebbero essere sufficienti a dimostrare quanto siano pericolosi gli effetti del riscaldamento globale e della conseguente crisi climatica. Secondo le osservazioni dell'OMM, i record di temperatura giornaliera più elevati sono stati registrati in Francia, Grecia, Italia, Spagna, Algeria e Tunisia. Ad esempio, l'area della città di Figueres nella Catalogna in Spagna ha registrato una temperatura record di 45,4 gradi Celsius, mentre la Sardegna l'ha superata con 48,2 °C. Nel frattempo, l'Algeria e la Tunisia hanno riportato le loro temperature massime rispettivamente di 48,7 e 49 gradi Celsius. Per gli esseri umani, questa temperatura è una minaccia mortale. Normalmente, la temperatura del corpo umano varia tra 36 e 37 gradi centigradi. Se esposte a temperature superiori a 46 gradi, le cellule del corpo umano possono morire. Infatti, l'esposizione a temperature superiori a 50 gradi può causare danni permanenti alle cellule del corpo.

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    Questa condizione mortale è sempre più minacciosa per coloro che appartengono a gruppi vulnerabili. I più suscettibili al cosiddetto colpo di calore sono i bambini e gli anziani i cui corpi hanno più difficoltà ad acclimatarsi a temperature estreme. Non solo, anche le persone con determinate condizioni di salute come quelle con malattie cardiovascolari, disturbi respiratori, demenza, autismo e diabete tendono ad essere più vulnerabili.

    L'orrore di questo disastro si riflette nel gran numero di vittime. I dati dell'Organizzazione Mondiale della Croce Rossa mostrano che la scorsa estate ci sono stati più di 60.000 decessi legati al caldo. Negli ultimi 10 anni, il bilancio delle vittime dei disastri dovuti al calore in tutto il mondo ha raggiunto più di 400.000 persone. Pertanto, senza sforzi seri, questo disastro di calore, fuoco ed 'ebollizioni' si ripeterà nei prossimi anni. È possibile che, a lungo termine, l'area che un tempo era il centro della civiltà mondiale diventi un'area inabitabile perché troppo pericolosa. Inevitabilmente, la minaccia che l'Europa diventi "un inferno" a causa del riscaldamento estremo è già in vista.

    Il cambiamento climatico causato dall'uomo è il principale motore di questo straordinario calore, ha affermato Samantha Burgess del Copernicus Climate Change Service. "La temperatura globale dell'aria è direttamente proporzionale alla concentrazione di gas serra nell'atmosfera e dal modello meteorologico noto come El Niño, una fluttuazione climatica naturale con un impatto sul riscaldamento, che renderà probabilmente luglio il mese più caldo mai registrato”.

    "Siamo tra sette mesi nel 2023 e quasi ogni mese di quest'anno è stato tra i primi cinque più caldi mai registrati e che se le tendenze continueranno in autunno e in inverno, il 2023 sarà probabilmente tra gli anni più caldi mai registrati. Anche il calore dell'oceano è a livelli record. A metà maggio, le temperature globali della superficie oceanica hanno raggiunto "livelli senza precedenti" per il periodo dell'anno. Quello che stiamo vedendo in questo momento, non l'abbiamo mai visto prima", ha riferito, senza mezzi termini, la Burgess.

    Uno studio recente ha rilevato che il cambiamento climatico ha svolto un ruolo "assolutamente schiacciante" nelle ondate di caldo negli Stati Uniti, in Cina e nell'Europa meridionale di questa estate. L'arrivo di El Niño, non ha avuto un enorme impatto sulle temperature poiché è ancora nella sua fase di sviluppo, ha detto Burgess, ma avrà un ruolo molto più importante l'anno prossimo, ha aggiunto, e probabilmente porterà temperature ancora più elevate.

    La notizia che luglio sarà il mese più caldo arriva in mezzo a una serie di record allarmanti che quest'estate sono già stati battuti ripetutamente. Giugno, secondo Copernicus, è stato il giugno più caldo mai registrato con un margine sostanziale. Poi, a luglio, il mondo ha vissuto la sua giornata più calda mai registrata. Il 6 luglio, la temperatura media globale è salita a 17,08 gradi Celsius, battendo il precedente record di temperatura di 16,8 gradi stabilito nell'agosto 2016.

    Kim Cobb, una scienziata del clima della Brown University, che non è stata coinvolta nel rapporto, ha definito il nuovo record di temperatura di luglio "sbalorditivo", ma ha avvertito che verrà battuto di nuovo. "Molto probabilmente è spaventoso ricordare che tra un altro decennio, questo sarà visto come un anno relativamente fresco e se alle persone non piace quello che stanno vedendo quest'estate, saranno felici piuttosto per i livelli di riscaldamento più elevati verso cui ci stiamo dirigendo”?

    Kim Cobb

    Kim Cobb


    AZIONE PER IL CLIMA

    La temperatura massima record nel luglio 2023 funge da forte avvertimento per tutti i paesi del mondo. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha affermato che l'azione per il clima e tutti gli sforzi per raggiungere la giustizia climatica devono essere intensificati a tutti i livelli, in particolare per i paesi del G20 responsabili dell'80% delle emissioni globali di carbonio.

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    La discussione sulla serietà dell'azione per il clima sarà l'argomento principale della 28a riunione della COP a Dubai nel novembre 2023. Antonio ha sottolineato la necessità di aggiornare gli obiettivi di riduzione delle emissioni dei paesi del G20. L'obiettivo è raggiungere l'obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050.

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    COP28


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    Edited by Filippo Foti - 2/8/2023, 19:10
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    La peculiarità della musica, quale linguaggio universale, nella vita umana e le sue radici nella natura.


    Didgerido

    Il didgeridoo veniva suonato dai popoli aborigeni come accompagnamento a danze e canti cerimoniali.


    Le nostre emozioni sono profondamente legate ai suoni musicali, mentre abbiamo anche una connessione emotiva profondamente radicata con la natura. La musica del mondo naturale ha fornito le basi per aspetti cruciali della nostra evoluzione umana, rendendo innate le nostre connessioni sia con la musica che con la natura.

    Suoni e ritmi sono una parte così intrinseca delle nostre vite che è difficile immaginare un mondo senza musica. È stata usata per comunicare e coordinarsi con gli altri per migliaia di anni, ma gli umani non sono stati la prima fonte di suoni. Uccelli, balene e persino pipistrelli e gli insetti ‘cantano’. Sono spesso definiti dal loro uso di schemi musicali per attrarre compagni, scoraggiare rivali o definire chi sono. Dalle ninne nanne all'hip-hop (o musica rap) – l’espressione più diffusa della comunità afro-americana negli ultimi decenni – abbiamo tutti un'affinità per la musica e beneficiamo dei modi in cui arricchisce le nostre vite.

    Le stagioni all'interno del regno della musica e della poesia, che raffigura la natura, sono un argomento di particolare popolarità. Compositori di epoche diverse della storia, così come di tante parti del mondo, hanno cercato di illustrare le loro prospettive delle stagioni attraverso la musica, comprese le emozioni che quelle stagioni suscitavano. La musica ha la capacità di aiutarci ad esprimere i legami emotivi che abbiamo nella connessione fra anime, e con e tra, la natura. I compositori hanno cercato a lungo di rappresentare le stagioni nella musica, combinando l'emotività mistificante della musica con le emozioni altrettanto sconcertanti suscitate dal mondo naturale in continua trasformazione.

    ANTONIO VIVALDI: LE QUATTRO STAGIONI UN CAPOLAVORO SENZA TEMPO DELLA NATURA.

    Sebbene molti compositori abbiano scritto brani per varie stagioni, le quattro stagioni di Antonio Vivaldi è un'opera senza tempo che ha catturato l'immaginazione di innumerevoli artisti e ascoltatori per secoli. C'è una poesia per ogni stagione: La Primavera ed estate: La primavera è arrivata e felice gli uccelli l'accolgono con gioioso canto ed i ruscelli scorrono al soffio degli zefiri con dolce mormorio. Nel frattempo il cielo si oscura e ci sono tuoni e fulmini. Poi tornano gli uccellini e tutti cantano di nuovo. E così, nell'ameno prato fiorito sotto gli alberi arrugginiti, dorme il pastore con accanto il suo cane fedele.

    L’estate: Ciò che è interessante è il modo in cui Vivaldi ha aumentato il numero di uccelli dalla stagione precedente - suggerendo che la primavera è un risveglio del mondo, mentre l'abbondanza di uccelli in estate si aggiunge effettivamente al tema della pesantezza travolgente rappresentato, in altri aspetti, come suggeriscono una rassegnazione al peso del sole, o passi calpestati e respiro affannoso nel caldo (estate 2023 docet!).

    Confucio



    L’UOMO “AB ORIGENE” DA DOVE HA IMPARATO LA MUSICA?

    La musica ci rallegra, solleva il morale e ci calma. Anche l'uomo primitivo ha espresso la musica battendo ossa su pelli di animali tese o soffiando attraverso bambù. Ma da dove ha imparato la musica? Dagli animali, ovviamente! Come il Didgeridoo strumento aborigeno tradizionale sopra nella foto.

    Recenti ricerche hanno scoperto che la ‘musica’ sia delle megattere che di molte specie di uccelli e di insetti come il Deathwatch Beetle un parassita del legno che può causare gravi danni alle travi delle chiese. Quando sono adulti, questi coleotteri producono un rapido suono di colpetto battendo la testa contro il legno come richiamo di accoppiamento, ha somiglianze sorprendenti con le strutture della nostra musica umana. Le balene utilizzano intervalli musicali che riflettono gli intervalli nelle nostre scale musicali, utilizzando anche toni e timbri simili ai suoni che creiamo nella nostra musica. Hanno inoltre la tendenza a mescolare suoni di percussioni acuti con toni puri in modo simile ai ritornelli e alle rime nella musica umana.

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    Un esempio più comunemente noto di quanto la musica animale rifletta da vicino quella umana è nei canti degli uccelli che hanno un organo vocale speciale, la siringe posto alla biforcazione della loro trachea. Le sue membrane vibrano quando l'aria scorre su di esse e produce una gamma di note. Chiaramente, stiamo scoprendo molte connessioni e somiglianze tra la musica animale e la musica umana. Considerando che la comunicazione musicale ha preceduto la comunicazione linguistica, è logico che anche gli animali utilizzino la musica come forma di interazione. Anche l'idea che il fondamento umano del fare musica abbia una struttura simile a quella degli animali non sorprende se si considera che i nostri antenati imitavano i suoni della natura per conversare l'uno con l'altro nell'ambiente.

    Lo scienziato cognitivo Mark Changizi dimostra che il linguaggio umano è stato "progettato" in modo molto specifico per sfruttare i suoni della natura, suoni che si sono evoluti nel corso di milioni di anni. Molto prima che gli esseri umani si evolvessero, i mammiferi hanno imparato a interpretare i suoni della natura per comprendere sia le minacce che le opportunità. Secondo lo scienziato il nostro modo di parlare, indipendentemente dalla lingua, è molto chiaramente basato sui suoni della natura. Ancora più affascinante è che Changizi mostra che la musica stessa si basa appunto su suoni naturali. La musica, apparentemente una delle invenzioni più umane, è letteralmente costruita su suoni e schemi sonori che esistono dall'inizio dei tempi.

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    CANTI DEI PENNUTI

    È una tale gioia essere svegliati dal canto degli uccelli. Dalle melodie lamentose del pettirosso gazza e il tintinnio del piccolo passero Bulbul che a seconda della specie emette schiamazzi che possono essere sgradevoli, mentre altre hanno bei suoni melodici, alle note sibilanti di un tordo fischiante del Malabar -una regione situata lungo la costa sud-occidentale della penisola indiana - (soprannominato lo "Scolaro fischiante" per i fischi che emettono all'alba che hanno una sonorità molto umana. La maggior parte delle persone può considerare rumoroso lo stridulo di un pappagallino parrocchetto originario dell’Australia o l'aspro verso di un corvo, ma ciò che è rumore per alcuni è musica per altri.

    E, il Bell Bird originario dell’Australia e Nuova Zelanda, soprannominato il ‘campanaro’? Il suo richiamo suona esattamente come una campana di una chiesa e si sente anche in un raggio di circa cinque chilometri. L'evoluzione continua con uno strano ornamento sulla sua testa. Questo normalmente rimane sgonfio ma, quando si riempie d'aria, si erge come una guglia di una chiesa!
    E, che dire del canto dell’usignolo, un uccellino famoso che, per il suo canto incantevole, ha catturato i cuori e l'immaginazione di innumerevoli persone in tutto il mondo.

    NEL MONDO DEGLI INSETTI

    A differenza degli uccelli, gli insetti hanno modi diversi di produrre musica. Dal sopra accennato Deathwatch Beetle, il ‘batterista’ tra i coleotteri, all’allegro cinguettio che si sente nei prati erbosi che proviene dalle cavallette che suonano il loro ‘violino’, stridulando le zampe posteriori spinose sulle ali, come un violinista usa l'archetto sulle corde.

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    MAMMIFERI MUSICISTI: TRA LE ‘CANZONI’ DEL CAPODOGLI E DELLE BALENOTTERE AZZURRE, QUALI SONO LE PIÙ RUMOROSE?

    Il dibattito su quale animale detenga il titolo di più rumoroso del mondo è sempre un argomento che fa discutere, ma i due contendenti sono il capodoglio e la balenottera azzurra. Quando si tratta di misurare il suono, l'unità utilizzata è il (dB) decibel. L'intensità sonora di una normale conversazione è di circa 60 dB, mentre un concerto rock può arrivare fino a 120 dB. Il suono più forte mai registrato sulla Terra fu l'eruzione del vulcano Krakatoa nel 1883, che raggiunse i 180 dB e fu udita a circa 4.800 km di distanza, nell'isola Rodrigues (Oceano Indiano). Quindi, dove si inseriscono i capodogli e le balenottere azzurre in questa scala?

    Il capodoglio è noto per i suoi clic, che utilizza per l'eco-localizzazione e la comunicazione e che possono raggiungere fino a 230 dB, rendendolo l'animale più rumoroso del mondo. Tuttavia, questi clic non sono considerati vere vocalizzazioni poiché non sono prodotti dalle corde vocali. D'altra parte, la balenottera azzurra è la più grande creatura vivente, e quindi probabilmente non sorprende che possa emettere uno dei suoni più forti. Le loro vocalizzazioni, conosciute come ‘canzoni’, possono raggiungere fino a 188 dB e sono prodotte dalle corde vocali della balena.

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    In termini di conservazione, sia il capodoglio che le balenottere azzurre hanno affrontato minacce in passato. I capodogli venivano cacciati per il loro grasso, olio e ambra grigia. Oggi sono protetti dalla moratoria sulla caccia commerciale della Commissione Baleniera Internazionale. Le balenottere azzurre venivano anche cacciate per il loro grasso e olio, il che portò a un significativo declino delle loro popolazioni. Sono protetti dalla caccia dal 1966 e oggi le popolazioni di alcune specie sembrano in lenta ripresa.

    Tra i mammiferi, i delfini sono sempre pronti per una canzone. Producono fischi attraverso i loro sfiatatoi e clic attraverso i meloni organi situati tra lo sfiatatoio e la fine della testa, o anche attraverso le sacche nasali poste sempre sulle loro teste. Ogni delfino accresce il suo suono specifico nei primi anni della sua vita. Tutti producono suoni unici in modo che possano identificarsi a vicenda, è quasi come noi umani con i nostri nomi. Le balene hanno canti melodiosi che variano da branco a branco. Le canzoni della balenottera azzurra sono più rumorose (a 180 decibel), ma le 'canzoni' della megattera hanno la portata maggiore in quanto possono essere ascoltate a circa 16.100 km di distanza. Le balene cantano per comunicare e segnalare la presenza di cibo.

    Oltre a localizzare gli ostacoli attraverso l'eco-localizzazione, anche i pipistrelli cantano. Un cucciolo individua sua madre in una grotta con centinaia di altri pipistrelli ascoltando la sua caratteristica melodia. Anche gli elefanti hanno una vasta gamma di canzoni, dallo stridulo barrito del 'soprano', quando sono eccitati, al basso brontolio prodotto dai loro stomaci. Alcuni toni a bassa frequenza potrebbero non essere udibili dall'orecchio umano ma possono viaggiare fino a circa 10 km. E, ce ne sono molti altri e la musica che creano porta gioia nelle nostre vite.

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    Nuove ricerche evidenziano che, per centrare l'obiettivo di riscaldamento globale di 1,5°C. in tutto il mondo, occorrono migliori tecniche agricole che potrebbero portare allo stoccaggio di 31 gigatonnellate di anidride carbonica all'anno. Un tentativo che, purtroppo, potrebbe risultare vano.


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    Secondo una nuova ricerca le tecniche agricole che migliorano la fertilità, le rese e strategie a lungo termine possono anche aiutare a immagazzinare più carbonio nei terreni, ma sono spesso ignorate a favore di tecniche intensive che utilizzano grandi quantità di fertilizzanti artificiali, in gran parte sprecati, che possono aumentare le emissioni di gas serra. Miglioramenti ai suoli agricoli marginali che sono stati abbandonati immagazzinerebbero abbastanza carbonio da mantenere il mondo entro +1.5°C.

    Data l'urgenza di prevenire le emissioni dovute alla deforestazione e all'aumento della domanda globale di cibo, il ripristino dei terreni agricoli abbandonati è altamente auspicabile. Il suo impressionante potenziale di sequestro del carbonio, insieme a questi benefici collaterali, lo rende una soluzione climatica essenziale.

    Secondo nuove stime effettuate dall’esperta ambientale Jacqueline McGlade, immagazzinare più carbonio nei 30 cm superiori dei suoli agricoli sarebbe fattibile in molte regioni in cui i suoli sono attualmente degradati. McGlade, co-fondatrice di “Downforce Technologies”, allevatrice di bestiame in Kenya, ora guida l'organizzazione commerciale che vende dati sul suolo agli agricoltori. La piattaforma utilizza dati globali disponibili al pubblico, immagini satellitari e strumenti di telerilevamento lidar (acronimo dall'inglese Laser Imaging Detection and Ranging) per valutare in dettaglio la quantità di carbonio immagazzinata nei suoli, cosa che ora può essere effettuata fino al livello dei singoli campi.

    "Al di fuori del settore agricolo, le persone non capiscono quanto siano importanti i suoli per il clima, ha affermato McGlade. Cambiare l'agricoltura potrebbe rendere i suoli carbon negativi, un processo che induce una rimozione permanente di CO2 dall'ecosistema, facendoli assorbire carbonio e riducendo i costi dell'agricoltura".

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    Al centro Jacqueline McGlade.


    L’esperta ambientale sostiene che gli agricoltori potrebbero affrontare un costo a breve termine mentre cambiano i loro metodi, allontanandosi dall'uso eccessivo di fertilizzanti artificiali, ma dopo un periodo di transizione di due o tre anni i loro raccolti migliorerebbero e i loro terreni sarebbero molto più sani. Infatti, la McGlade ha stimato che in Kenya costerebbe circa 1 milione di dollari ripristinare 40.000 ettari di quello che attualmente è un terreno agricolo gravemente degradato in un'area che ospita circa 300.000 persone.

    Molte persone pensano alla terra degradata come a un deserto arido, foreste pluviali mutilate dai taglialegna o aree coperte da una rapida e disordinata espansione delle aree urbane, ma include anche aree apparentemente "verdi" che sono intensamente coltivate o private della vegetazione naturale.

    Attraverso la piattaforma Downforce Technologies - che utilizza un software la cui missione è quella di sfruttare ogni ettaro per raggiungere gli obiettivi globali in materia di clima, biodiversità e sicurezza alimentare - è possibile modellare le tendenze del carbonio nel suolo e della biodiversità come prevede "Blueprint Farms", ovvero: diversità genetica di sementi e razze, fertilità del suolo, acqua, impollinazione e controllo dei parassiti e rischi di tecnologie e pratiche che sostituiscono, piuttosto che amplificare questi contributi, aiutando la ricerca dell'azienda ad aumentare il livello di carbonio immagazzinato nel suolo (carbonio organico) su larga scala per raggiungere lo zero netto di CO2. Questo progetto è stato sviluppato congiuntamente dal Dipartimento dell'Agricoltura del Texas, dal Center for Maximum Potential Building Systems di Austin, dal Laredo Junior College e dal Texas-Israel Exchange come esperimento di tecnologia agricola e architettonica sostenibile per ecosistemi semiaridi. I dati forniti da “Downforce Technologies” potrebbero anche consentire agli agricoltori di vendere crediti di carbonio in base alla quantità di anidride carbonica aggiuntiva che i loro campi stanno assorbendo.

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    È noto da tempo che il suolo è uno dei maggiori depositi di carbonio della Terra, ma fino ad ora non è stato possibile esaminare in dettaglio la quantità di carbonio che i suoli in determinate aree stanno trattenendo e quanto ne stanno emettendo. Secondo le stime delle Nazioni Unite circa il 40% dei terreni agricoli mondiali oggi è degradato. La “rimozione dell'anidride carbonica” - la frase data a una serie di tecnologie e tecniche che aumentano l'assorbimento di anidride carbonica dall'aria e sequestrano il carbonio in qualche forma - è un'area di crescente interesse, mentre il mondo si avvicina alla soglia critica di 1,5°C del riscaldamento globale al di sopra dei livelli preindustriali.

    LA CONDIZIONE DELLE DONNE IN AGRICOLTURA

    Le donne sono sempre state al centro delle aziende agricole attraverso le generazioni, ma spesso in ruoli non visibili o sufficientemente riconosciuti. Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite lanciato lunedì 12 giugno scorso non ha rivelato alcun miglioramento del livello di pregiudizio mostrato nei confronti delle donne nell'ultimo decennio, con quasi nove uomini su 10 in tutto il mondo che mantengono ancora tali pregiudizi. Infatti, secondo il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) nel suo ultimo rapporto “Gender Social Norms Index – GSNI -" (Indice delle norme sociali di genere), la metà delle persone in tutto il mondo crede ancora che gli uomini siano leader politici migliori delle donne, e più del 40% ritiene che gli uomini siano dirigenti aziendali migliori delle donne.

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    Le disuguaglianze di genere e sociali rimangono gravi in molti paesi dipendenti dall'agricoltura, a basso e medio reddito. La causa principale di queste disuguaglianze di lunga data sono le barriere strutturali che si manifestano come norme, politiche e istituzioni di genere rigide e discriminatorie. Queste barriere ostacolano l'accesso delle donne alle risorse produttive, ai mercati, alle tecnologie e alle informazioni, nonché il loro controllo sui beni, che a sua volta influisce sui divari di produttività. Allo stesso modo, le consuetudini, le leggi ed i meccanismi normativi tendono a escludere le donne dagli spazi decisionali, limitando le voci, l'agire e l'empowerment, ovvero l’emancipazione delle donne.

    Secondo l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura, le donne costituiscono oltre il 40% della forza del lavoro agricolo globale. Quindi, perché lo stereotipo della "moglie del contadino" continua ad esistere? Il lavoro delle donne rurali in agricoltura è spesso sottovalutato e invisibile, soprattutto nel contesto dell'azienda agricola familiare. Si perpetua continuamente che le donne in agricoltura svolgano solo un ruolo di supporto, come 'aiutare i loro mariti', con i loro contributi più ampi classificati come 'aiuto'. Questi contributi sono vasti, sia che si tratti di lavorare fisicamente in azienda, essere impiegate in ruoli aziendali all'interno del settore, preparazione del terreno o commercializzazione.

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    Sulla base delle esperienze in America Latina, possiamo vedere alcuni elementi che hanno contribuito all'emancipazione delle donne in agricoltura. Il primo è la presenza di importanti movimenti femminili che hanno favorito la costruzione di un'identità collettiva tra le partecipanti femminili rurali e sostenuto la loro agenda. Il secondo è il riconoscimento dello Stato (volontà politica) attraverso interventi mirati di sviluppo rurale alle donne contadine che siano in linea con l'agenda dei movimenti delle donne. Questi elementi sono fondamentali per cambiare la percezione delle donne rurali non solo come contadine ma anche come soggetti politici.

    LE DONNE RURALI POTREBBERO AUMENTARE LA PRODUZIONE AGRICOLA

    Raggiungere l'uguaglianza di genere e dare potere alle donne non è solo la cosa giusta da fare, ma è un ingrediente fondamentale nella lotta contro la povertà estrema, la fame e la malnutrizione. Dare alle donne le stesse opportunità degli uomini potrebbe aumentare la produzione agricola dal 2,5 al 4 per cento nelle regioni più povere e il numero di persone malnutrite potrebbe ridursi dal 12 al 17 per cento. Eppure le donne affrontano discriminazioni significative quando si tratta di proprietà della terra e del bestiame, parità di retribuzione, partecipazione ad entità decisionali e accesso alle risorse, al credito e al mercato.

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    Oltre a questo contesto, l'invasione della Russia in Ucraina ha avuto un impatto devastante non solo sulle donne residenti, ma anche su donne e ragazze di tutto il mondo, in particolare sulle donne rurali. Secondo l'ultimo rapporto delle Nazioni Unite sulle donne, l'attuale interruzione dei mercati alimentari ed energetici ha solo intensificato le disparità di genere, causando tassi di insicurezza alimentare, malnutrizione e povertà energetica. La conseguente crisi del costo della vita ha gravemente minacciato i mezzi di sussistenza, la salute e il benessere delle donne. È stato spinto, a causa della guerra, dall'interruzione delle forniture di petrolio e gas e dei prodotti alimentari di base, insieme ai prezzi alle stelle di cibo, carburante e fertilizzanti.

    MIGLIORAMENTO DEL SUOLO PER MANTENERE IL MONDO ENTRO IL RISCALDAMENTO DI 1,5°C.

    Le osservazioni dai satelliti e dalla superficie terrestre sono ormai abbastanza eloquenti: il pianeta si è riscaldato rapidamente negli ultimi 44 anni. Già nel 1850, i dati delle stazioni meteorologiche di tutto il mondo chiariscono che la temperatura media della Terra è in aumento. Nei giorni scorsi, mentre la Terra ha raggiunto le temperature medie più alte mai registrate nella storia, alcuni scienziati hanno affermato che quest'anno potrebbe essere il più caldo degli ultimi 120.000 anni.

    Tracciare le fluttuazioni climatiche indietro di secoli e millenni è meno semplice e preciso che controllare le registrazioni dai satelliti o da 'termometri' tipo un Cubesat come il CIRiS, un tipo di satellite miniaturizzato avente forma cubica, volume di 1 dm³ e massa non superiore a 1,33 kg. per le misurazioni della temperatura della superficie terrestre e dell'evapotraspirazione dallo spazio. Implica l'esame approfondito di tutto, dagli antichi diari ai sedimenti dei fondali lacustri, agli anelli dei tronchi degli alberi. Ma le osservazioni sono sufficienti per convincere i paleoclimatologi, che studiano la storia del clima terrestre, che l'attuale decennio di riscaldamento è eccezionale.

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    LA ROTAZIONE DELLE COLTURE

    I coltivatori di seminativi potrebbero sequestrare più carbonio all'interno dei loro terreni modificando la rotazione delle colture, con piantagioni di copertura come il trifoglio o utilizzando la perforazione diretta, che consente di piantare colture senza la necessità di arare. Gli allevatori di bestiame potrebbero migliorare i loro terreni coltivando più erbe autoctone.

    Uno sviluppo promettente è il rinnovato interesse per un metodo di costruzione del suolo dal lontano passato, una tipologia di terreno caratteristica del bacino amazzonico che è eccezionalmente fertile perché ricca di sostanze nutritive e di materia organica stabile derivata dal carbone di legna, che le conferisce il colore nero. Chiamato "terra scura" o "terra preta", un termine portoghese che prevede la miscelazione di “biochar”, un terriccio carbonioso derivato da biomasse vegetali di diverso tipo con materiali organici, per creare un terreno ricco di humus che immagazzina grandi quantità di carbonio, può essere utilizzato per disinquinare terreni compromessi. Una proprietà interessante del biochar consiste nella capacità di adsorbire e trattenere inquinanti persistenti e cancerogeni, rendendolo potenzialmente utile negli interventi di bonifica ambientale, sia per i terreni contaminati da metalli, che per il trattamento delle acque. Detto anche carbone vegetale, è una soluzione concreta alla crisi climatica in quanto sottrae CO2 dall'atmosfera e combatte la desertificazione. Il biochar è un prodotto che deriva dal cippato, legno ridotto in scaglie proveniente dalla pulizia delle aree verdi e dei boschi e dagli gli scarti di lavorazione della legna.

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    Anche le siepi aiutano anche a sequestrare il carbonio nel suolo, perché hanno grandi reti sotterranee di funghi micorrizici - ovvero microrganismi del suolo che entrano in simbiosi con le piante nel terreno e, come «concime vivente», sono in grado di assorbire efficacemente le sostanze nutritive dal suolo e di trasferirle alle piante - e microbi che possono estendersi per diversi metri nel campo. Gli agricoltori hanno impiegato decenni a rimuovere le siepi per rendere più facile l'agricoltura intensiva, ma ripristinarle e mantenere le preesistenti migliorerebbe la biodiversità, ridurrebbe l'erosione del suolo superficiale e aiuterebbe a fermare il dannoso deflusso agricolo, ovvero il defluire di acque che è un importante inquinatore dei fiumi.

    Anche se dipendiamo da un suolo sano per il 95% del cibo che mangiamo, stiamo perdendo questa risorsa a un ritmo rapido a causa di migliaia di anni di cattive pratiche agricole, deforestazione ed erosione. Inoltre, la salute del suolo ha enormi implicazioni sulla salute del pianeta e può svolgere un ruolo significativo e immediato nella mitigazione del cambiamento climatico.

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    Gli animali "discutono" sulla gestione del terreno... :o:


    In una sola manciata di suolo sano, ci sono più organismi che esseri umani sulla terra. I microrganismi che vivono nel suolo si nutrono di materia organica e, a loro volta, forniscono nutrienti essenziali alle piante. Il suolo con un maggiore contenuto di minerali coltiva alimenti con una maggiore densità di nutrienti. Quindi, possiamo definirlo come la banca nutrizionale del cibo che mangiamo e, quindi, la nostra stessa esistenza. Questa versione grossolanamente semplificata del processo biologico ha il solo scopo di comprendere come la salute del suolo influisce direttamente sul nostro benessere personale.

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    IL SUOLO È UNA SOLUZIONE AL CAMBIAMENTO CLIMATICO?

    Oltre a produrre cibo sano, come accennato, ed essere l'ospite e il mezzo per così tanta vita, il suolo gioca un ruolo fondamentale nel ciclo dell'acqua. Poroso e ricco di carbonio è come una spugna: assorbe l'acqua durante le inondazioni e provvede alle piante nei periodi di siccità. Se l'acqua, ad esempio, non può infiltrarsi nel terreno, finisce nel vicino spartiacque, insieme a tutti i suoi nutrienti.

    Le moderne pratiche agricole stanno dunque portando a una perdita di biodiversità e alla distruzione dei nostri suoli. Le pratiche agricole convenzionali comportano:

    1. Lavorare il terreno, che distrugge quel prezioso spazio poroso per le infiltrazioni d'acqua;
    2. Produzione monocoltura, che significa coltivare un singolo raccolto - come grano, mais o soia su terreni che coltivano spontaneamente centinaia di specie diverse contemporaneamente;
    3. Uso pesante di sostanze chimiche (*).

    (*) SCAVIAMO PIÙ A FONDO SULL’USO PESANTE DI SOSTANZE CHIMICHE

    In un sistema di agricoltura convenzionale, quando il suolo manca di biodiversità e presenta tassi inferiori di ciclo dei nutrienti, richiede fertilizzanti sintetici. Ciclo vizioso che non porta alcun miglioramento: Il fertilizzante sintetico stimola la crescita delle erbe infestanti. Per uccidere le erbacce, vengono spruzzati erbicidi. Questi contengono chelati, che sono composti che legano i metalli - come magnesio, ferro o zinco - rendendoli indisponibili per la pianta. Quando queste non possono assorbire i micronutrienti essenziali, diventano più inclini alle malattie e incapaci di combattere i parassiti, quindi vengono spruzzati fungicidi. E quando le piante non sono adatte a combattere i parassiti, i professionisti dell'agricoltura convenzionale spruzzano appunto pesticidi sulle colture destinate al consumo umano. Per non parlare del fatto che i pesticidi causano anche un declino degli insetti predatori e degli impollinatori, non solo dei parassiti, che sono necessari per produrre raccolti, portando questo sistema devastante al punto di partenza.

    MA C'È UN ALTRO MODO, L'AGRICOLTURA RIGENERATIVA

    L'agricoltura rigenerativa è un approccio ecologico all'agricoltura più in linea con la natura, senza lavorazioni meccaniche, sostanze chimiche e una miriade di altri principi. Sappiamo che quando il suolo è danneggiato, rilascia più anidride carbonica nell'atmosfera, con conseguenze negative per il nostro clima. Principalmente, troppo carbonio e altri gas che intrappolano il calore nell'atmosfera causano il surriscaldamento della terra. L'eccesso di carbonio acidifica anche i nostri oceani, minacciando la vita marina.

    In sostanza, ciò di cui abbiamo bisogno è più fotosintesi. Attraverso questo processo naturale, le piante catturano l'anidride carbonica atmosferica nelle loro foglie e pompano il carbonio attraverso le loro radici per rifornire quei microrganismi nel suolo. Mantenere i suoli ricoperti da diverse colture e specie di piante, così come il compostaggio (produzione di fertilizzanti organici naturali da scarti alimentari che altrimenti produrrebbero gas metano in una discarica) e una miriade di altre pratiche forniscono una soluzione praticabile per coltivare suoli sani che possono sequestrare adeguatamente il carbonio.

    Grafico del suolo sano



    NEUTRALITÀ DEL DEGRADO DEL SUOLO

    La neutralità del degrado del suolo, ovvero riportare ad un buono stato di salute la stessa quantità di suolo che è stato degradato dall’attività umana, è un concetto relativamente nuovo, soprattutto nei paesi sviluppati (Stati Uniti, Germania, Australia, Regno Unito, Russia e Svizzera). Inoltre, anche i paesi con gravi problemi di degrado del suolo prestano maggiore attenzione alla neutralità del degrado del suolo (Kenya, Sudafrica e Cina). L'area di studio, inizialmente limitata alla terraferma, con la Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (Rio+20) ha ampliato l'area di studio dalla terraferma alla terra nella sua globalità. Da allora, sempre più paesi hanno prestato attenzione alla questione della neutralità del degrado del suolo.

    IN EUROPA LE ULTIME NOTIZIE ARRIVANO DA BRUXELLES

    Mercoledì 5 luglio 2023 a Bruxelles (Belgio) la Commissione europea ha adottato la sua proposta per creare un quadro di monitoraggio per la protezione del suolo volto a fermare il degrado dovuto all'agricoltura intensiva e ad arrestare gli effetti della crisi climatica. Le proposte arrivano sulla scia della recente tempesta politica nel corso della Settimana Verde dell'UE 2023 che si è svolta dal 3 all’11 giugno scorso a Bruxelles e che rappresenta l'occasione annuale per discutere, acquisire familiarità o persino celebrare la politica ambientale dell'UE. Per quanto attiene le leggi ambientali c’è da dire che però hanno diviso i gruppi politici dell'UE e gli Stati membri. La proposta è pienamente complementare e sinergica con il “Land use, land-use change, and forestry -LULUCF" (Regolamento sull'uso del suolo, i cambiamenti di uso del suolo e la silvicoltura - accordo del 2021), si adegua all'obiettivo di ridurre le emissioni nette del 55% entro il 2030, ovvero alla rimozione netta di carbonio terrestre di 310 milioni di tonnellate di CO2 equivalente.

    LA REVISIONE DEL REGOLAMENTO LULUCF

    Il 28 marzo 2023 sono state adottate le revisioni un pacchetto di proposte importanti sul clima (rendere la campagna europea "Fit for 55"), ovvero (Pronti per il 55%), mantenendo l'Unione sulla buona strada per ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra (GHG) al 55% rispetto ai livelli del 1990 entro 2030. Per il periodo 2026-2029, ogni Stato membro avrà un obiettivo nazionale vincolante per aumentare progressivamente gli assorbimenti di gas a effetto serra. Questi obiettivi impongono a tutti gli Stati membri di aumentare il livello di ambizione climatica delle loro politiche di utilizzo del suolo. Il regolamento LULUCF richiede inoltre l'impegno ad istituire sistemi per monitorare gli stock di carbonio nel suolo, con l'aspettativa di una migliore attuazione della mitigazione del clima basata sulla natura nei suoli. Questa proposta sulla salute del suolo e il regolamento LULUCF riveduto si rafforzeranno a vicenda, poiché i suoli sani sequestrano più carbonio e gli obiettivi del regolamento promuove la gestione sostenibile dei suoli. Un monitoraggio del suolo potenziato e più rappresentativo migliorerà anche il monitoraggio dell'efficace attuazione delle politiche nel settore LULUCF.

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    SCENDE IN CAMPO ANCHE FOUR PAWS (QUATTRO ZAMPE), L'ORGANIZZAZIONE GLOBALE PER IL BENESSERE DEGLI ANIMALI

    FOUR PAWS (Quattro Zampe), l'organizzazione globale per il benessere degli animali, ha accolto con favore la suddetta proposta, ma ha sottolineato che "non è abbastanza ambiziosa" soprattutto quando si tratta della questione dell'allevamento del bestiame. Questa la dichiarazione rilasciata da FOUR PAWS: “Allo stesso modo in cui l'allevamento industriale di animali è la principale fonte di inquinamento idrico, è al centro del deterioramento del suolo. È fondamentale affrontare e correggere il problema del numero eccessivo di bestiame al fine di proteggere e ripristinare i nostri suoli per il bene dell'ambiente, dell'ecosistema e dell'economia”.

    La proposta della Commissione, precisa l’Organizzazione, “mira a raggiungere suoli sani entro il 2050, ma questo non può essere raggiunto solo implementando un sistema di monitoraggio. Il suolo deve avere le stesse protezioni dell'aria e dell'acqua. Ciò può essere raggiunto solo adottando una determinata legge sulla salute del suolo - come proposto nella strategia dell'UE per il suolo per il 2030 - con obiettivi vincolanti per i prossimi tre decenni. L'agricoltura intensiva contribuisce al degrado del suolo in diversi modi". Infatti, l'Organizzazione, evidenzia che "l'80% dell'acidificazione del suolo dell'UE causata dall'agricoltura è dovuta all'allevamento del bestiame, che spesso si traduce in un eccessivo inquinamento del letame e nel pascolo eccessivo di troppi animali in un'azienda agricola, il che distrugge la capacità del suolo di immagazzinare carbonio”.

    Pertanto, conclude FOUR PAWS, è necessaria una riduzione del numero di animali allevati per garantire sinergie tra gli animali e gli ecosistemi che abitano. Questo può aiutare a prevenire squilibri come il pascolo eccessivo. Affrontare questi problemi contribuirebbe ad affrontare le attuali minacce alla biodiversità, al clima, alla salute pubblica e all'ambiente".

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    ONE PLANET BUSINESS FOR BIODIVERSITY (OP2B) CRITICA LE PROPOSTE

    "One Planet Business for Biodiversity (OP2B)", (Un Pianeta con attività commerciale per la Biodiversità) una coalizione di aziende tra cui Unilever, Nestlé e Danone, il principale rappresentante dell'industria agroalimentare europea a Bruxelles, ha affermato, in un articolo pubblicato da “The Gardian” giovedì 6 luglio scorso, che le proposte non sono andate abbastanza lontano. "L'UE deve andare oltre per affrontare la tendenza al deterioramento della salute del suolo in Europa", ha dichiarato il direttore di OP2B Stefania Avanzini.

    L'organizzazione chiede agli Stati membri dell'UE e al Parlamento europeo di aumentare l'ambizione, quanto è abusato questo termine..., della proposta. "Apprezziamo molto l'importanza che la Commissione attribuisce all'agricoltura e il suo ruolo centrale nella gestione del suolo. Tuttavia, avremmo apprezzato che la commissione avesse compreso l'entità degli sforzi necessari per passare a pratiche di gestione sostenibili e mobilitare i fondi necessari per sostenere la transizione verso un'agricoltura rigenerativa su larga scala", ha affermato Avanzini.

    Alla domanda sulla mancanza di obiettivi vincolanti, il commissario europeo per l'Ambiente e gli Oceani Virginijus Sinkevicius ha affermato che l'obiettivo è innanzitutto stabilire un quadro più chiaro della salute del suolo e dei metodi per gestirlo in modo più sostenibile. "Dobbiamo vedere anche il panorama politico di ciò che sarebbe accettabile per gli Stati membri, con ciò che possiamo fare", ha dichiarato in un'intervista a Reuters.

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    S/D: Stefania Avanzini - Virginijus Sinkevičius - Jacqueline McGlade.


    Separatamente, la Commissione ha anche proposto obiettivi vincolanti per i paesi per ridurre l’impronta ambientale, ovvero gli sprechi alimentari e regole per rendere i produttori tessili legalmente responsabili del costo dei loro rifiuti, una mossa progettata per guidare gli investimenti nella raccolta, riutilizzo e riciclaggio di vecchi vestiti e materiali. Lo spreco alimentare riguarda tutti e tre gli ambiti della sostenibilità: ambientale, economico e sociale. È un problema sociale che tocca tutti in tutto il mondo e contribuisce al problema più ampio del cambiamento climatico. È stato stimato che lo spreco alimentare rappresenta un terzo di tutte le emissioni di gas serra causate dall'uomo e genera l'8% di gas serra ogni anno.

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    Pretendenti dell'Antartide e il ruolo che svolge nella regolazione del clima globale. Le tendenze del cambiamento climatico antartico, già accertate, potrebbero alterare l'atmosfera, le piattaforme di ghiaccio, l'oceano e gli animali. L’Antartide ha un ruolo determinante per il destino del pianeta.


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    L'Antartide, il quinto continente in termini di superficie con 14.200.000 km quadrati, ha una specificità unica in quanto non ha abitanti indigeni nativi e, quindi, nessun governo. I primi esploratori, cacciatori di foche e balenieri dell'Antartico, quando le scoprirono tra la fine del 1700 e l'inizio del 1800, rivendicarono per i loro paesi le isole più vicine. Esistono, tuttavia, insediamenti umani indefiniti in quanto le dure condizioni di questo continente impediscono qualsiasi dimora permanente, dove scienziati e personale di supporto vivono per una parte dell'anno a rotazione. Pertanto non ci sono paesi in Antartide, e solo ricercatori nel periodo estivo nelle sue numerose stazioni di ricerca. Insieme al personale di ricerca composto da 1.100 a 4.400, di solito ci sono altri 1.000 membri aggiunti, tra cui l'equipaggio delle navi e gli scienziati che svolgono ricerche a bordo nelle acque della regione del "Trattato Antartico". Questi dati sono dedotti dal “CIA World Factbook”, (la guida completa dei fatti del mondo), che è la fonte autorevole su paesi, territori, oceani e altro ancora del mondo che mantiene una ripartizione aggiornata della popolazione dell'Antartide.

    ANTARTIDE PATRIA DEL GHIACCIO: DISPUTE SUI CONFINI

    Tra i firmatari originali del Trattato Antartico del 1959 ed entrato in vigore nel 1961 c'erano 7 paesi: Argentina, Australia, Cile, Francia, Nuova Zelanda, Norvegia e Regno Unito e da allora hanno aderito molte altre nazioni. Attraverso questo accordo, i paesi attivi in Antartide si incontrano ogni anno per discutere questioni diverse come la cooperazione scientifica, le misure per proteggere l'ambiente e le questioni operative. Si sono impegnati, altresì, a prendere decisioni all'unanimità affinché l'Antartide non diventi teatro o oggetto di discordia internazionale. Tuttavia, con alcune sovrapposizioni e rivendicazioni territoriali di alcuni paesi su alcune parti ed altri che affermano di riservarsi il diritto di avanzare rivendicazioni. Il Trattato Antartico mette da parte il potenziale conflitto sulla sovranità prevedendo che mentre il Trattato è in vigore nessun paese rafforzerà le rivendicazioni territoriali. Infatti le Parti del Trattato non possono presentare nuove rivendicazioni mentre il Trattato è in vigore.

    Queste rivendicazioni territoriali sono riconosciute solo dai suddetti sette stati, e non all'unanimità. Il Regno Unito, l'Argentina e il Cile accampano diritti sovrapposti e quindi non riconoscono le reciproche rivendicazioni. Come sotto nella figura, le rivendicazioni territoriali fatte dai sette stati sono di forma conica e si estendono verso l'esterno dal polo sud fino alla costa antartica. L'unica eccezione a questa regola è la rivendicazione norvegese, i cui limiti meridionali e settentrionali rimangono indefiniti. Stati Uniti, Russia, Perù, Uruguay ed altri si sono riservati il diritto di presentare un reclamo. Ma sembra che, ad oggi, non hanno presentato alcuna richiesta.

    IL SISTEMA DEL TRATTATO ANTARTICO

    Sebbene non siano una forma di rivendicazione territoriale, esiste comunque un numero significativo di avamposti di ricerca in Antartide. Ci sono 92 stazioni di ricerca stagionali e a tempo pieno gestite da 42 Stati (tutti membri del Sistema del trattato antartico) e scienziati e ricercatori compreso tra 1.000 e 4.000 perone. Il funzionamento di una stazione di ricerca non costituisce una rivendicazione territoriale ai sensi del Sistema del Trattato Antartico, che afferma: "Nessun atto o attività che si svolge mentre il presente Trattato è in vigore costituirà una base per affermare, sostenere o negare una rivendicazione alla sovranità territoriale in Antartide o creare alcun diritto di sovranità in Antartide”. Pertanto, molti stati gestiscono avamposti di ricerca nel territorio rivendicato da altri stati senza problemi.

    Rivendicazioni



    Poiché il clima globale continua a cambiare, l'interesse per l'Antartide dovrebbe solo aumentare. Numerosi Stati, che si sono riservati il diritto di avanzare rivendicazioni territoriali, hanno iniziato ad esaminare seriamente la possibilità, mentre altri, come l'Australia, testano i limiti dei vincoli del Sistema del Trattato Antartico sulle rivendicazioni di sovranità. L'Antartide continuerà ad essere un'area di interesse globale, disputa territoriale e ricerca scientifica.

    RIVENDICAZIONI MARITTIME

    Le rivendicazioni marittime in Antartide sono oggetto di alcune controversie. La “United Nations Convention on the Law of the Sea- UNCLOS” (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare) e il “Antarctic Treaty System – ATS” (Sistema del trattato sull'Antartide) si scontrano apparentemente in questo settore, con interpretazioni diverse da parte delle diverse parti. Poiché il Trattato Antartico del 1959 impegna solo gli Stati a sospendere le rivendicazioni "territoriali", alcune parti hanno sostenuto che non si applica alle rivendicazioni marittime o che contraddice i diritti degli Stati di presentare rivendicazioni estese sulla piattaforma continentale ai sensi dell'articolo 76 dell'UNCLOS. Storicamente, le comunicazioni alla “Commission on the Limits of the Continental Shelf - CLCS" (Commissione sui limiti della piattaforma continentale) da parte di stati con rivendicazioni territoriali in Antartide richiedevano esplicitamente che la CLCS non prendesse in considerazione i dati dall'Antartide, in modo da evitare di inimicarsi le parti dell’ATS facendo nuove rivendicazioni.

    L'Australia, tuttavia, ha incluso il loro dichiarato "Territorio antartico australiano" nella loro presentazione del 2004 al CLCS che ha constatato che l'affermazione dell'Australia era scientificamente valida, delimitando non solo i confini del "Continental Shelf Extends - ECS" (dove si estende la piattaforma continentale del territorio antartico australiano), ma rivendicava anche i limiti per un mare territoriale e una zona economica esclusiva di 200 miglia nautiche (321,8688 km.). L'Argentina e la Norvegia hanno seguito l'esempio nel 2009 con osservazioni al CLCS che includevano le loro rivendicazioni antartiche, e anche il Regno Unito e il Cile hanno dichiarato la loro intenzione di presentare reclami simili.

    Cos'è la piattaforma continentale estesa?

    Ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di cui all'articolo 76 dell'UNCLOS, la piattaforma continentale è quella parte del fondale marino su cui uno Stato costiero esercita diritti sovrani per quanto riguarda l'esplorazione e lo sfruttamento delle risorse naturali, compresi i giacimenti di petrolio e gas e altri minerali e risorse biologiche dei fondali marini. La piattaforma continentale legale si estende fino a una distanza di 200 miglia nautiche (km 321,869) dalla sua costa, o oltre se la piattaforma si estende naturalmente oltre tale limite.

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    PICCOLA ANTARTIDE O ANTARTIDE OCCIDENTALE

    Senza ghiaccio, l'Antartide emergerebbe come una gigantesca penisola e un arcipelago di isole montuose, note come Piccola Antartide, un'area fortemente ghiacciata dove la maggior parte delle isole e degli arcipelaghi sono tettonicamente attive attorno all'Oceano denominato “Anello di Fuoco”. L'attività tettonica è l'interazione delle placche sulla crosta terrestre spesso provocano terremoti. Il Monte Erebus, situato sull'isola di Ross, è il vulcano attivo più meridionale della Terra. L'Antartide Occidentale è una delle due regioni in cui viene diviso il continente antartico e comprende l'area affacciata sull'Oceano Pacifico e delimitata dai “Monti Transantartici” considerati la divisione tra l'Antartide Occidentale e quello Orientale.

    L’Antartide occidentale è un arcipelago che raggruppa quattro principali frammenti di crosta terrestre continentale spezzata e deformata, di diversa età e costituzione: la Terra di Marie Byrd, la Terra di Ellsworth e la Penisola Antartica, a sua volta formata dalla Terra di Palmer e la Terra di Graham.

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    GRANDE ANTARTIDE O ANTARTIDE ORIENTALE

    È un'unica grande massa continentale delle dimensioni dell'Australia composta da rocce più antiche ignee e metamorfiche. Gli scienziati una volta pensavano che la calotta glaciale dell'Antartide orientale, che contiene abbastanza acqua per innalzare il livello del mare di 52 metri fosse stabile. Ma ora le sue piattaforme di ghiaccio stanno iniziando a sciogliersi. I ghiacciai scorrono verso l'oceano e una piattaforma di ghiaccio è la parte che galleggia sull'acqua, sfregando contro isole, creste sottomarine o altri ghiacciai. Le piattaforme di ghiaccio sono spesso chiamate la "banda di sicurezza" dell'Antartide. Quando si rompono, i ghiacciai dietro di loro possono iniziare a scorrere più velocemente nel mare, contribuendo all'innalzamento del livello del mare.

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    IL RISCALDAMENTO GLOBALE CONTINUA A SCIOGLIERE I BORDI DELL'ANTARTIDE

    Le ultime temperature record del nostro pianeta stanno mettendo sempre più a rischio il ruolo dell'Antartide nella regolazione del clima globale e delle correnti oceaniche. Ma, finora, la maggior parte dei segnali indicano che non ha ancora raggiunto il punto di non ritorno. Una rapida riduzione dell'estrazione di combustibili fossili e delle emissioni di carbonio, consigliato da tutti gli scienziati, potrebbe ancora prevenire i peggiori risultati. Sta di fatto, però, che la preoccupazione che possa entrare in una nuova era incerta è solo cresciuta. Quest'anno, il ghiaccio marino intorno al continente è sceso a un nuovo minimo storico. Il 13 febbraio 2023, si è ridotto a soli 1,91 milioni di km quadrati. Le cose cambieranno? "Abbiamo attraversato un punto critico? Questa è la domanda da un milione di dollari", ha recentemente dichiarato Jan Lieser (sotto raffigurato con altri suoi colleghi) glaciologo presso l'Istituto per gli studi marini e antartici dell'Università della Tasmania.

    Mentre il riscaldamento globale continua a sciogliere i bordi dell'Antartide, uno studio di modellazione mostra che l'acqua dolce che entra nell'oceano potrebbe comportare nei prossimi tre decenni un rallentamento di oltre il 40% delle correnti che trasportano calore e sostanze nutritive verso nord, essenziali per sostenere la vita dell'oceano per come la conosciamo. Se le piattaforme di ghiaccio si sciolgono, consentendo alle calotte glaciali di fluire verso il mare, l'innalzamento del livello del mare aumenterà.

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    L'ultima scoperta di una nuova colonia di pinguini imperatori (Aptenodytes forsteri) in un habitat marginale dell'Antartide è una buona notizia, ma anche cattiva, in quanto evidenzia ulteriormente la vulnerabilità della specie mentre le masse di ghiaccio antartico si destabilizzano - volatilità che minaccia la loro sopravvivenza. I pinguini imperatori sono particolarmente vulnerabili alla perdita di ghiaccio marino, all'aumento delle temperature e ai regimi del vento alterati; e la colonia appena trovata non fa eccezione: non solo è piccola - ospita solo 500 uccelli, il che potrebbe essere dannoso per la sua persistenza e sopravvivenza - ma si trova anche in un'area gravemente colpita dalla recente perdita di ghiaccio marino. I pinguini imperatori sono una specie antartica iconica, adattata in modo univoco al loro ambiente, che potrebbe essere a rischio di estinzione a causa del cambiamento climatico.

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    Pinguini imperatori (Aptenodytes forsteri) in atteggiamento tenero.



    "Se troviamo più colonie in habitat più marginali, significa che una percentuale maggiore della popolazione sarà probabilmente colpita dalla perdita di ghiaccio marino in futuro. Le colonie trovate più di recente sono tutte in questa categoria. Monitorare il futuro di queste colonie... farà parte del calcolo del costo del cambiamento climatico", ha sottolineato lo scienziato geospaziale e cartografo BAS Peter Fretwell.

    Uno studio del 2019 ha previsto che, con le normali emissioni di gas serra, l'80% delle colonie di pinguini imperatori potrebbe essere quasi estinto entro il 2100. Ma se il mondo dovesse limitare l'aumento delle temperature a 1,5 gradi Celsius, questo includerebbe solo il 19 - 31% di loro.
    La specie, attualmente elencata come " quasi minacciata " nella Lista Rossa IUCN, indica la vulnerabilità degli animali dipendenti dal ghiaccio anche prima che si verificasse un riscaldamento estremo. L'Antartide è una delle regioni più difficili per intraprendere ricerche sul campo, ma nuovi strumenti come la robotica, l'intelligenza artificiale e la tecnologia di telerilevamento di alta qualità stanno aiutando a raccogliere più dati e migliorare la modellazione.

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    RISCHIO DI ESTINZIONE DEGLI ORGANISMI ANTARTICI

    I possibili scenari futuri del cambiamento climatico ed il ruolo degli organismi antartici nella rilevazione precoce delle perturbazioni ambientali:

    Il dott. Dirk Welsford coordinatore scientifico e ricercatore principale del Dipartimento per il Cambiamento Climatico, Energia, Ambiente e Acqua, Divisione antartica australiana, ha affermato che il cambiamento climatico potrebbe avvantaggiare alcune specie antartiche a breve termine, espandendo le dimensioni delle aree prive di ghiaccio disponibili per la riproduzione o con acque più calde che aumentano la produttività biologica nell'oceano. Tuttavia, questo guadagno per alcuni avrà un costo per altri, aggravato dalla minaccia di specie non autoctone che si stabiliscono e superano le specie autoctone e dalla perdita dei valori del patrimonio naturale.

    "La velocità con cui l'ambiente fisico sta cambiando sembra essere più veloce della velocità con cui gli organismi antartici possono adattarsi, mettendo alcune specie iconiche, come i pinguini imperatori a rischio di estinzione. Nel corso della nostra vita alcune specie potrebbero sperimentare un beneficio a breve termine, ma alla fine l'Antartide non sembrerà come adesso, o come l'hanno vissuta i pionieri antartici come Douglas Mawson, Robert Falcon Scott ed Ernest Shackleton", ha dichiarato Welsford.

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    I pesciolini d'argento antartici (Pleuragramma antarctica) - originari dell'Oceano Antartico e gli unici veri pesci pelagici nelle acque vicino all'Antartide - sono una specie notoriamente chiave nell’ecosistema dell'Oceano meridionale ed un alimento vitale per pinguini, foche e uccelli marini che vivono lungo la piattaforma continentale della penisola antartica. Questa specie occupa un ruolo ecologico simile nell'alta zona antartica come il krill. Nel caso in cui questa specie si estingua, è probabile che nessun'altra sarà in grado di farlo rappresentando un tallone d'Achille nell'alto ecosistema marino antartico e qualsiasi tipo di alterazione che interessa questa specie (direttamente o indirettamente) avrà gravi conseguenze sul funzionamento dell'intero ecosistema. I pesci depongono le uova all'interno del ghiaccio marino, che diventa quindi un rifugio fondamentale per le larve appena schiuse.

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    IL “CONTINENTE BIANCO” SVOLGE UN RUOLO CRUCIALE NELLA REGOLAZIONE DEL CLIMA TERRESTRE

    Il clima sta cambiando rapidamente, con le aree più remote della Terra che diventano persino incapaci di schivare questa minaccia esplosiva. A gennaio scorso, i dati raccolti dall'Organizzazione Meteorologica Mondiale hanno rivelato che gli ultimi otto anni sono stati i più caldi mai registrati a livello globale. Sull'altopiano antartico, il luogo più freddo del pianeta, la Concordia Research - la terza stazione di ricerca permanente per tutto l'anno sull'altopiano antartico oltre alla stazione Vostok (russa) e alla stazione Amundsen-Scott South Pole (USA) al Polo Sud geografico - è gestita congiuntamente da scienziati francesi e italiani e ospita regolarmente gli scienziati dell'European Space Agency - ESA, ha osservato la lettura della temperatura più alta mai registrata all'inizio del 2022 a -12,2 gradi Celsius; mentre il ghiaccio marino antartico si è ridotto lo stesso anno alla sua minima estensione, dall'inizio delle registrazioni satellitari negli anni '70, a 1,92 milioni di chilometri quadrati. È un record allarmante, ma il 2023 lo ha battuto, con la minima estensione di 1,79 milioni di km quadrati. Questa è potenzialmente una cattiva notizia per l'umanità: il “continente bianco”, che detiene il 90% del ghiaccio mondiale, svolge un ruolo cruciale nella regolazione del clima terrestre.

    Scienziati del "British Antarctic Survey - BAS", l'organizzazione che si occupa della ricerca e divulgazione scientifica dell'Antartide, hanno sottolineato l'influenza “sproporzionata” che i poli hanno sul clima, ponendo in evidenza il contrasto tra le proprietà riflettenti di grandi aree bianche e coperte di ghiaccio (che rimandano il calore del sole nello spazio) e la circostante superficie marina scura (che assorbe il calore del sole, aumentando il riscaldamento globale). La grande domanda che i ricercatori devono affrontare ora è se l'Antartide stia mostrando o meno segni di raggiungere un punto di non ritorno irreversibile.

    "Ci sono motivi per un cauto ottimismo sul fatto che le peggiori conseguenze possano essere evitate", ha dichiarato il geofisico marino del BAS Robert Larter, con i politici che passano dal discutere l'affidabilità dei risultati scientifici al decidere cosa fare. "Ma gli impegni nazionali di riduzione del carbonio sono molto al di sotto dell'urgenza", ha ammesso. Una cosa è chiarissima: le tendenze del cambiamento climatico antartico già identificate potrebbero, se si intensificassero, avere enormi conseguenze per ecosistemi e comunità umane molto distanti. Come per la regione polare settentrionale, ciò che accade in Antartide non rimane in Antartide.

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    Essendo una delle regioni più difficili per intraprendere la ricerca sul campo, i dati antartici non sono così completi o robusti come per la sua controparte settentrionale, ma il BAS è 'ottimista' (ndr) riguardo alla ricerca futura a causa di "un cambiamento nel modo in cui avviene la scienza antartica", in particolare incorporando nuovi utili strumenti per migliorare la modellazione.

    L'isolamento geografico ed il clima estremo dell'Antartide l'hanno storicamente risparmiata dalla maggior parte delle minacce ambientali che il resto del mondo sopporta, ma il riscaldamento indotto dall'uomo proveniente da lontano sta ora ribaltando questo status protetto. "Se questo sarà presto un grosso problema, o prima che il riscaldamento e altri cambiamenti diventino abbastanza grandi da essere pericolosi, rimane profondamente incerto", ha dichiarato Richard Alley professore di Geoscienze alla Pennsylvania State University. "Molti di noi credono che il ritmo della ricerca sia allo stesso tempo enormemente impressionante [...] ma non abbastanza veloce da fornire la guida ai responsabili politici che consentirebbe loro, con fiducia, di prendere decisioni appropriate ben prima che ci avviciniamo a un punto di non ritorno".

    Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres - parlando giovedì 15 giugno scorso a New York con i giornalisti presso la sede delle Nazioni Unite a seguito di un incontro con i leader climatici della società civile di tutto il mondo - ha avvertito: “I paesi devono eliminare gradualmente il carbone e altri combustibili fossili per evitare la "catastrofe climatica. Stiamo precipitando verso il disastro, occhi ben aperti. È ora di svegliarsi e farsi avanti". L'Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM), il giorno successivo su “Climate and Environment” (Clima e Ambiente): “Il ghiaccio marino si sta riducendo a un ritmo senza precedenti, spingendo gli scienziati polari a chiedere un urgente aumento della ricerca e dell'osservazione”.

    LO STUDIO DI MATTHEW ENGLAND

    Matthew England è professore scientifico presso l’Università del New South Wales (UNSW Sydney), una delle migliori università pubbliche di Sydney e vicedirettore del Centro di Ricerca sul Cambiamento Climatico (CCRC). È un esperto internazionale di oceanografia e dinamiche climatiche ed in prima linea negli sforzi scientifici globali per comprendere l'impatto del riscaldamento globale indotto dall'uomo. Matthew studia la circolazione oceanica su scala globale e l'influenza che ha sul clima e sui processi climatici, in particolare nell'emisfero australe. England è una voce autorevole che sostiene un'urgente riduzione delle emissioni di gas serra sia in Australia che a livello globale ed ha contribuito a due precedenti rapporti di sintesi del gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico.

    England: "I record antartici continueranno a essere battuti per un po' di tempo a venire. Ma la misura in cui saranno superati sarà determinata dai nostri futuri percorsi di emissione". In parole povere, l'umanità, malgrado la riduzione del ghiaccio, ha ancora tempo per cambiare rotta? Ma nessuno sa esattamente quando!

    Secondo i dati della NASA, l'Antartide ha perso circa 149 miliardi di tonnellate di ghiaccio all'anno tra il 2002 e il 2020. Lo scioglimento delle piattaforme di ghiaccio galleggianti sembra rinfrescare l'acqua di mare e rallentare il ribaltamento della circolazione dell'oceano, il che potrebbe avere un forte impatto sull'approvvigionamento di nutrienti per la vita marina del mondo. Nelle simulazioni di Matthew England, pubblicate su Twitter il 29 marzo 2023, si scopre che: quando si includono i cambiamenti imminenti dell'acqua di disgelo intorno all'Antartide, la cella di ribaltamento antartico abissale diminuisce di oltre il 40% entro il 2050. Ciò è guidato da una riduzione della densità dell'acqua superficiale attorno al margine antartico, che a sua volta vede una maggiore intrusione di acque profonde circumpolari calde sulla piattaforma. Il conseguente riscaldamento del sottosuolo nei mari Amundsen - Bellingshausen è particolarmente preoccupante. […]

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    Un'altra preoccupazione è che mentre il ribaltamento antartico rallenta, l'acqua ricca di nutrienti viene lasciata accumularsi sul fondo del mare, invece di essere restituita in superficie per nutrire gli ecosistemi marini. In questo stesso studio è stata documentata anche una riduzione dell'assorbimento di anidride carbonica da parte degli oceani. Ultimo punto importante che sostiene England: "Le nostre proiezioni sono state eseguite in uno scenario di "business as usual", ovvero cosa succede se non si interviene lasciando immutata la situazione attuale. "Profonde e urgenti riduzioni delle emissioni ci daranno la possibilità di evitare un collasso per ribaltamento dell'oceano. Ma il tempo sta per scadere in fretta". E al 2050 mancano poco più di 27 anni! (ndr).

    Secondo i dati della NASA, l'Antartide ha perso circa 149 miliardi di tonnellate di ghiaccio all'anno tra il 2002 e il 2020. Lo scioglimento delle piattaforme di ghiaccio galleggianti sembra rinfrescare l'acqua di mare e rallentare la circolazione capovolta dell'Oceano Antartico, il che potrebbe avere un forte impatto sull'approvvigionamento di nutrienti, come sopra accennato, per la vita marina del pianeta.

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    IL GHIACCIO ANTARTICO CHE SI SCIOGLIE TRASFORMERA’ GLI OCEANI DEL PIANETA?

    I segni di un riscaldamento del clima antartico sono particolarmente preoccupanti poiché lo scioglimento delle piattaforme di ghiaccio ha un impatto sugli oceani della Terra. Uno studio di modellazione pubblicato a marzo da scienziati australiani su Nature ha scoperto che la circolazione capovolta dell'Oceano Antartico - una rete di forti correnti oceaniche guidate dalle profonde acque antartiche che trasportano calore, carbonio, ossigeno e sostanze nutritive cruciali per la vita oceanica verso nord – potrebbe, come abbiamo visto, rallentare di oltre 40% entro il 2050 in uno scenario ad alte emissioni. Ricerche più recenti condotte dalla ricercatrice del CSIRO, la dott.ssa Kathy Gunn, mostra che questo affondamento di acqua densa è rallentato. E, con questo, anche i livelli di ossigeno nell'oceano profondo sono diminuiti. La ricerca è pubblicata sulla rivista Nature Climate Change.

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    "Le nostre osservazioni mostrano che la circolazione oceanica profonda intorno all'Antartide è rallentata complessivamente di circa il 30% dagli anni '90. Questo rallentamento blocca decenni di impatti", ha affermato la Gunn. Questo rallentamento è avvenuto poiché l'aumento dello scioglimento dei ghiacciai ha reso le acque superficiali meno salate e quindi più galleggianti. Ciò significa che c'è acqua meno densa che affonda dalla superficie alle profondità. L'interruzione di un processo chiave che reintegra l'oceano profondo con l'ossigeno ha effetti che vanno ben oltre l’immediato.

    La causa sembra essere il bordo di fusione dell'Antartide, che, a causa del cambiamento climatico, sta aggiungendo maggiori volumi di acqua dolce all'oceano, abbassando la densità di circa 250 trilioni di tonnellate di acqua superficiale salata ogni anno, il che riduce la sua capacità di affondare e guidare i flussi più profondi che diffondono i nutrienti negli altri bacini oceanici del pianeta.
    "Se le nostre simulazioni del modello si rivelano corrette, è difficile vedere la circolazione capovolta antartica sopravvivere oltre il 2100", ha ribadito Matthew England. La quantità di acqua di disgelo osservata a poco più di 1 grado Celsius (1,8 gradi Fahrenheit) di riscaldamento in tutto il pianeta, ha suggerito che un collasso delle correnti sarebbe 'altamente probabile' al di sopra di 2 gradi Celsius (3,6 gradi Fahrenheit) di riscaldamento rispetto ai livelli preindustriali.

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    SECONDO VINCENT HENRI PEUCH: VARIABILITÀ ATMOSFERICA O TENDENZA CLIMATICA?

    Il grande buco dell'ozono che attualmente appare ogni anno sopra l'Antartide è stato per lo più causato dall'uomo, il prodotto dell'accumulo di prodotti chimici che riducono lo strato di ozono nell'atmosfera terrestre durante il 20° secolo. Lo storico accordo del Protocollo di Montreal del 1987 ha notevolmente ridotto le dimensioni del buco, riducendo il rischio di collasso dello scudo di ozono e dei numerosi tumori che ne sarebbero derivati a causa dell'esposizione diretta alle radiazioni ultraviolette del sole.

    Gli scienziati hanno segnalato una potenziale nuova tendenza nel 2022, quando il buco dell'ozono ha impiegato più tempo del solito a chiudersi per il terzo anno consecutivo: una persistenza annuale mai vista negli ultimi 40 anni secondo le misurazioni effettuate da "Copernicus Atmosphere Monitoring Service - (CAMS)".

    Il buco nell'ozono antartico inizia ad allargarsi ad agosto, raggiunge la sua dimensione massima a fine settembre, quindi di solito diminuisce in ottobre e si chiude a novembre. Ma ormai da tre anni, il buco è rimasto più grande del normale per tutto novembre, con la chiusura che non si è verificata fino alla fine di dicembre - tutti e tre gli anni hanno anche stabilito un record per le tendenze di riscaldamento più lente della stratosfera sopra l'Antartide, il che rende sospetto il cambiamento climatico come possibile causa della chiusura tardiva del buco dell'ozono.

    La dimensione del buco dell'ozono si è classificata al 10° posto nel 2020, all'ottavo nel 2021 ed al 12° nel 2022. Sempre grazie al Protocollo di Montreal, che ha istituito una graduale eliminazione della maggior parte delle sostanze chimiche che riducono lo strato di ozono, gli scienziati ora prevedono che lo strato potrebbe tornare ai valori del 1980 intorno al 2066.

    Secondo Vincent-Henri Peuch, capo del CAMS: "Con il cloro e il bromo nella stratosfera tornati ai loro livelli naturali o quasi [...] possiamo essere fiduciosi che i buchi dell'ozono scompariranno poiché il 'combustibile chimico' dietro la distruzione dell'ozono sarà stato eliminato per sempre".

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    Per Peuch, una domanda per la ricerca futura è se la recente persistenza del buco dell'ozono possa diventare una tendenza. Ha avuto a dichiarare: “Gli ultimi tre anni sono stati contrassegnati da forti vortici - potenti venti di alta quota che circondano la regione antartica e basse temperature stratosferiche - che hanno portato ad episodi di buchi dell'ozono consecutivi di grandi dimensioni e di lunga durata. Esiste una possibile connessione con il cambiamento climatico, che tende a raffreddare la stratosfera. È piuttosto inaspettato vedere tre insoliti buchi di ozono uno dopo l'altro. Sicuramente è qualcosa da approfondire”.

    Tuttavia, Peuch ha affermato di ritenere "abbastanza improbabile" che il 2023 seguirà lo stesso schema. "Sebbene il raffreddamento stratosferico associato all'aumento dei gas serra possa svolgere un ruolo nel prevenire la ‘guarigione’ del buco dell'ozono, sarà difficile provare questa connessione usando solo i dati".

    Secondo Ramalingam Saravanan, capo del Dipartimento di scienze atmosferiche della Texas, "Questo potrebbe accadere per puro caso ed è improbabile che sia l'indicazione di un punto critico".

    Per decenni, gli oceanografi hanno misurato l'Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC), un vasto sistema di correnti oceaniche che influenza notevolmente il clima terrestre. Negli ultimi anni, i dati mostrano che si sta indebolendo. Ma cosa significa questo? "Uno dei motivi per cui potrebbe rallentare è a causa del riscaldamento globale, e questo può aumentare la quantità di precipitazioni, ad esempio, nelle regioni settentrionali dell'Atlantico" (e nell'Oceano Antartico ndr), e questo rende l'acqua più fresca e leggera", sostiene Saravanan. "Un modo per fermarlo è fermare il riscaldamento globale".

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    Ramalingam Saravanan



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    La manta, chiamata anche pesce diavolo, tra gli animali più grandi dell'oceano è una delle creature marine più affascinanti e maestose che vivono sulla Terra. L’intelligenza della nomade del blu.


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    Le mante, pesci cartilaginei, pelagici e nomadi degli oceani sono molto intelligenti e per lo più solitarie. A volte chiamate vacche marine, pesci diavolo o aquile di mare si trovano in tutti gli oceani del mondo ad eccezione delle gelide acque dell'Artico e degli oceani meridionali. Queste specie dalla lunga vita e lente a riprodursi, sono vulnerabili alla pesca eccessiva e vengono catturate per il loro proficuo commercio internazionale. C’è da dire che queste brillanti creature sono incredibilmente amichevoli con i subacquei e spesso nuotano in loro compagnia molto amichevolmente.

    MANTA: CARATTERISTICHE E HABITAT

    Caratteristiche: Dal cervello massiccio, questi pesci hanno il più grande rapporto con il peso corporeo rispetto a qualsiasi pesce a sangue freddo e mostrano un livello di intelligenza paragonabile a delfini, elefanti e primati;

    Distinte dalle razze: Le mante si sono evolute dalle razze, ma sono specie completamente distinte. A differenza delle razze, non possiedono una punta che può pungere e non sono abitanti del fondo;

    Due specie: Abbastanza recentemente, gli scienziati hanno determinato che esistono davvero due specie: la manta oceanica gigante, che è più sfuggente, e la manta della barriera corallina, che è più piccola e più comunemente conosciuta;

    Alimentazione unica: Questi pesci utilizzano tecniche creative per ottenere il massimo dall'alimentazione filtrata, inclusa l'esecuzione dei cosiddetti “rotoli a botte”, ovvero capriole, per rimanere fermi in un punto e impegnarsi nell'alimentazione a catena, durante la quale diversi pesci si susseguono, creando un effetto ciclonico;

    È molto grande: La più grande manta mai conosciuta, oltre 22 quintali, è stata catturata il 26 agosto 1933 da un produttore di seta di New York, il capitano Al Kahn . Si dice che l'enorme pesce è stato "pescato" quando è rimasto impigliato nella cima dell'ancora del suo cabinato "MISS PENSACOLA II" e non è riuscito a liberarsi. La manta è stata rimorchiata a Feuerbach e Hansen's Marina a Brielle, nel New Jersey, dove è stata issata a terra con un “travel lift”, un tipo di montacarichi (sotto nella foto che diventò virale) per il trasporto di barche, navi e yacht, ecc. L’evento fu pubblicato nel numero del 10 dicembre 1933 del Sunday Magazine di St. Louis Post-Dispatch. “Un fatto insolito, ebbe a dichiarare Al Kahn, ma quando un pesce viene catturato da un amo, non è una novità. Viceversa quando “l'amo” è l'ancora di una barca allora non hai solo notizie ma, cosa più rara, un'insolita storia leggendaria di pesca che è vera. E con il pesce stesso a portata di mano come prova”. Le mante hanno una "apertura alare" massima fino a poco più di 9 metri;

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    Habitat: Si trovano in tutti gli oceani del mondo. Sono suddivise in popolazioni piccole e altamente frammentate, rendendo difficile per gli scienziati arrivare a stime ragionevoli della popolazione mondiale. Tuttavia, sembrano vivere in gruppi da 100 a 1.500 individui. Si ritiene che la popolazione più numerosa si trovi in Ecuador, dove si riuniscono in luoghi come il Parco Nazionale Machalilla e la Riserva Marina delle Galapagos;

    Distribuzione e catture pluridecennali delle mante: La manta oceanica, Mobula birostris, ha una distribuzione in quasi tutti gli oceani e generalmente si trova più in mare aperto rispetto alla manta più piccola e più costiera della barriera corallina, Mobula alfredi, che ha una distribuzione semiglobale e, secondo altri autori, limitata alle zone tropicali e acque subtropicali. Sono entrambi a crescita lenta, con maturazione tardiva e bassa fecondità. A causa di queste caratteristiche e della loro storia di vita, oltre allo sfruttamento dei mobulidi per il commercio di branchie, la merce più recente nel commercio asiatico di medicinali, spesso insensato e distruttivo per l'ambiente.

    Infatti, a causa dell'uso popolare dei loro rastrelli branchiali nella medicina cinese, per i quali non ci sono prove scientifiche di reali benefici per la salute, questi pesci sono vulnerabili alla pesca eccessiva e alla raccolta eccessiva. In tutto il mondo, il commercio di branchie si attesta ad oltre 30 milioni di dollari l'anno. Questi pesci si riproducono lentamente e hanno una lunga durata di vita, esponendo le loro popolazioni a un rischio ancora maggiore. Entrambe le specie di mante sono elencate nella Lista rossa delle specie minacciate dell'IUCN (M. birostris come minacciata) e (M. alfredi come vulnerabile).

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    Lastre branchiali di manta giganti in un mercato in Indonesia.


    Molti paesi hanno vietato la pesca di questi pesci, tra cui Messico, Perù, Ecuador, Filippine e Nuova Zelanda; dal 2011 la pesca delle mante in acque internazionali è stata vietata grazie alla Convenzione sulle specie migratorie dell’UNEP entrata in vigore il 23 giugno 1979.
    La parola "manta" deriva dalla parola spagnola e portoghese mantello o coperta e tradizionalmente veniva cacciata e catturata usando trappole che assomigliavano a mante-lle e da lì, il nome rimase.

    Classificazione scientifica (o tassonomica): Questi pesci sono membri della famiglia Mobulidae. Per molto tempo si è creduto che il genere avesse una sola specie, la già accennata Mobula birostris (Walbaum 1792- naturalista tedesco Johann Julius Walbaum), corpo, appiattito dorso-ventralmente che può vantare un record di 9,1 m. di larghezza e 3 t. di peso, anche se la taglia corrente si aggira sui 4,5 m. e 1,4 t. e che può superare anche i 7 metri di apertura alare. Ma successivamente, nel 2008, è stata identificata l'altra specie, che ha il nome scientifico Mobula alfredi (Kreft, 1868 - zoologo e paleontologo australiano Johann Ludwig (Louis) Gerard Krefft).

    FORMA FISICA DELLE MANTE E RAZZE: DISTINGUIAMOLE MEGLIO!

    La Manta del reef [Mobula alfredi (Krefft, 1868)] è un genere di pesce cartilagineo appartenente alla famiglia Myliobatidae, ordine dei Myliobatiformes; la razza, ordine della classe dei pesci cartilaginei, appartiene alla famiglia dei Raiformi imparentata con gli squali. Nelle punture delle razze sono frequenti la sincope, l'astenia, la nausea e l'ansia dovute, in parte, a vasodilatazione periferica. Sono stati riportati casi di linfangite, vomito, diarrea, sudorazione, crampi generalizzati, dolore ascellare o inguinale, distress respiratorio, e decessi.

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    Sebbene siano molto simili alle razze, le mante hanno caratteristiche pinne cefaliche situate su entrambi i lati della bocca, i loro occhi si trovano ai lati della loro testa larga, hanno lunghe pinne pettorali triangolari e la loro larghezza è circa il doppio della loro lunghezza corpi. Non sono dotate di pungiglioni (o barbe) che inducono dolore per le quali sono note le razze, ma si servono di un residuo primordiale sottoforma di una spina dorsale caudale. Le mante viaggiano attraverso l'oceano aperto, a differenza delle razze, che abitano sul fondo. Le loro bocche sono sul bordo anteriore della testa piuttosto che sul fondo come lo sono le bocche delle razze. Le razze marine, da parte loro, hanno solitamente un corpo a forma di diamante, questa forma è composta da pinne pettorali attaccate alla loro testa, gli occhi di solito compaiono dal loro lato dorsale e la bocca, le narici e le fessure branchiali si trovano sul loro ventre. Le mante non sono aggressive, ma possono pungere l'uomo con la spina dentata sulla parte finale della coda se vengono pestate mentre stanno nascoste sotto la sabbia.

    RIPRENDIAMO IL DISCORSO DEL “PESCE DIAVOLO”

    Anche se a volte conosciute come "pesci diavolo", o addirittura “aquile di mare”, le mante giganti sono in realtà molto amichevoli e completamente innocue e tendono a trascorrere la maggior parte del tempo lontano dalle coste in mare aperto. Hanno corpi enormemente larghi, piatti e triangolari con pinne pettorali che assomigliano ad ali quando sono in movimento. Due lobi cefalici si estendono dalla parte anteriore della sua testa, conferendogli il nome alternativo di "pesce diavolo".

    Come filtri alimentatori, viceversa dalle razze che si nutrono di pesci, crostacei echinodermi e molluschi, si alimentano nuotando con la bocca spalancata, permettendo allo zooplancton e al krill di setacciare file di piccoli rastrelli che rivestono le loro bocche. Comunque, si ritiene che facciano parte del loro nutrimento anche gamberi ed altre quantità piuttosto elevate di pesce di piccole e medie dimensioni. Questi pesci si trovano in due tipi di colore. Alcuni hanno decorazione a zigzag, con dorsi neri e pance bianche, mentre altri sono per lo più tutti neri. Hanno anche modelli distintivi di macchie sulla pancia.

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    Le mante che volevano volare, modellate e poi scolpite digitalmente dal Direttore creativo e artistico James Gardner-Pickett.



    RIPRODUZIONE

    Poco si sa sulle abitudini di riproduzione e sulla cronologia dello sviluppo delle mante perché sono difficili da osservare in natura. In genere, tuttavia, i maschi sembrano corteggiare le femmine seguendole da vicino fino all'inizio dell'accoppiamento. A volte si accoppiano insieme in "treni" e la luna piena può innescare questo comportamento. Il maschio feconda le uova della femmina e un singolo cucciolo nasce tipicamente dopo un periodo di gestazione di 12-13 mesi. I piccoli cuccioli sono repliche in miniatura di adulti e possono decollare da soli subito dopo la nascita.

    A causa del fatto che i loro corpi sono composti principalmente da cartilagine biodegradabile e collagene, i reperti fossili di Manta Rays sono incredibilmente scarsi, lasciando gli scienziati a fare congetture per colmare le lacune mancanti nella loro storia evolutiva. Si stima che le mante si siano ramificate per la prima volta dai raggi e dai pattini (famiglia Rajidae) che abitano sul fondo circa 20 milioni di anni fa.

    DA PREDATORI A PREDE

    In natura, le mante sono cacciate principalmente da grandi squali e orche assassine. Anche gli esseri umani occasionalmente consumano mante; il pesce è considerato una prelibatezza ancora in alcune culture. Più comunemente, tuttavia, i loro piatti branchiali sono usati nella medicina cinese e sono spesso consumati in quel contesto. Gli esseri umani hanno anche un grande impatto sulle popolazioni di mante attraverso l'inquinamento dell'oceano e il bracconaggio illegale.

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    CURIOSITA’

    Se una Manta Ray si sente minacciata o in pericolo mentre avvista umani aggressivi, fuggirà dalla scena a velocità fino a 24/km/h. Anche se hanno circa 300 minuscoli denti, ma di certo non sono abbastanza affilati da penetrare nella pelle se vengono disturbate;

    Le mante appartengono ad un gruppo di pesci che si trovano in un "costante stato di moto perpetuo". Ciò significa che non smettono mai di nuotare e devono continuare a muoversi per sopravvivere. Gli scienziati sono ancora sconcertati sul motivo per cui le mante saltano fuori dall'acqua e si esibiscono in uno spettacolo eccezionale. La ragione più probabile è sfuggire ai predatori, partorire e scrollarsi di dosso i parassiti;

    Le mante sono state avvistate sia a nord che a sud dell'equatore e il punto più a nord in cui è stata avvistata una manta è stato vicino alla Carolina del Sud negli Stati Uniti, e intorno alla Nuova Zelanda il punto più a sud registrato. Indonesia, Tailandia, Spagna, Maldive e Australia sono tutti tra i posti migliori al mondo per avvistare le mante allo stato brado;

    Il commercio relativamente nuovo con sede in Asia sta avendo un impatto significativo sulle mante selvatiche poiché aumenta la domanda delle loro parti del corpo. L'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) ha annunciato che la manta si unisce ora ad altre 16.000 specie nella Lista rossa delle specie minacciate. Gli esseri umani sono la più grande minaccia per le mante che stanno diventando piuttosto rare, in gran parte a causa della pesca eccessiva e dell'essere catturati e impigliati nelle reti da pesca;

    Questi pesci innocui sono incredibili e le loro dimensioni sono mozzafiato. Il modo in cui scivolano nell'acqua è molto simile a quello di un uccello ed è affascinante osservarli da vicino. Non solo, ma sono animali sociali che esibiscono comportamenti come il gioco e il foraggiamento. Le mante sono state avvistate saltare fuori dall'acqua in gruppi per ore. Una esibizione spettacolare. Ci sono alcuni fantastici resort per avvistare le mante allo stato brado, come il Manta Ray Island Resort.

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    Tutti gli accorgimenti ingegnosi e disperati che Steven Callahan ha usato per sopravvivere 76 giorni in mare aperto nell'Oceano Atlantico.


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    I 76 giorni alla deriva in mare di Steven Callahan - nato a Needham, Massachusetts, il 6 febbraio 1952 - sono una delle storie di sopravvivenza più sbalorditive di tutti i tempi.

    Suo padre Frank era un architetto che lo ispirò a disegnare fin dalla giovane età. Callahan ha avuto per la prima volta l’amore per il mare nei Boy Scouts. A 12 anni navigò fuori dalla vista della terraferma. A 16 anni faceva gite di un giorno da solo. All'età adulta, Callahan stava facendo viaggi costieri lunghi centinaia di miglia.

    Nel gennaio 1981, il 29enne Callahan salpò da Newport, Rhode Island, la capitale mondiale della vela, a bordo del suo sloop diretto alle Bermuda dirigendosi con il suo amico Chris Latchem verso la Cornovaglia, nel Regno Unito. In questa contea inglese, partecipò ad una regata velica ad Antigua, dove si riparò a La Coruña, in Spagna, per riparare la sua barca che era stata danneggiata come molte altre barche erano affondate a causa del maltempo. Callahan continuò la sua impresa navigando lungo la costa spagnola e portoghese prima di partire per El Hierro (Gran Canaria) al largo della costa del Marocco.

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    Lampuga: a questa specie di pesce, nel prosieguo del post lo chiamerà suo "amico", deve la vita!



    LE STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA OCEANICA DI CALLAHAN

    Il modo in cui Callahan è sopravvissuto è sia impressionante che inaspettato, poiché nulla è stato facile in quanto costantemente alle prese con nuove prove ed accadimenti. Ha dovuto superare enormi sfide fisiche e mentali solo per svegliarsi, mangiare e bere ogni giorno. E con squali e altri pesci che urtavano costantemente la sua piccola zattera, è un miracolo che Callahan abbia dormito.

    Di fronte a una situazione quasi senza speranza, Callahan scelse di sopravvivere e condividere la sua esperienza con il mondo attraverso libri e discorsi. Le strategie di sopravvivenza oceanica di Callahan non sono solo utili per chi si è perso in mare, ma per chiunque stia lottando per superare le immense difficoltà della propria vita. Queste tattiche mostrano quanto una persona possa lottare per sopravvivere.

    LA STORIA DEL NAUFRAGIO

    Il 29 gennaio 1982 Callahan partì per un nuovo viaggio dalle Isole Canarie diretto ad Antigua. Ma non poteva sapere che mentre era in mare, e a tarda notte mentre riposava, sarebbe stato colpito da qualcosa di grosso, che avrebbe provocato un enorme buco nello scafo della sua barca.

    Dopo pochi giorni, infatti, il 4 febbraio 1982, la barca di Callahan, la “Napoleon Solo” che costruì nel 1980 poco più di 6 metri di lunghezza, cominciò ad allagare e in procinto di affondare nel mezzo dell'Atlantico da quella che sembra sia stata una collisione con una balena, in mezzo ad una tempesta; anche se il processo avvenne lentamente grazie ai compartimenti stagni da lui costruiti. Allora, a quasi 30 anni di età viaggiava da solo dalla Spagna ai Caraibi - si rese conto che la tempesta gli avrebbe reso quasi impossibile raggiungere presto la costa più vicina ed aveva bisogno di prepararsi per i prossimi giorni.

    Dopo aver liberato la sua zattera di salvataggio che chiamò “Rubber Ducky” (Paperella di gomma), la sua piccola isola, fece diverse immersioni subacquee nella cabina allagata della nave, raccogliendo provviste, inclusi coltelli, un sacco a pelo, strumenti per la cartografia, il suo kit di sopravvivenza, cibo ed acqua che raccolse con due alambicchi solari; palloncini di plastica che distillano l'acqua di mare in acqua potabile una goccia alla volta. I due alambicchi solari per desalinizzare l’acqua, dispositivi potevano produrre poco più di un litro di acqua al giorno, ma tenevano in vita Callahan.

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    STABILÌ UNA ROUTINE PER MANTENERE LA SUA SANITÀ MENTALE

    Callahan riconobbe che se non avesse mantenuto la sua mente sana, avrebbe ceduto all'oceano. Pertanto stabilì una routine di base dando la priorità ai modi in cui poteva aumentare la sua scorta di cibo e acqua per la giornata. Teneva un registro per avere contezza di tutto ciò che gli accadeva durante il viaggio e per tenere traccia delle sue provviste. In alcune occasioni, non avendo fogli di carta, prendeva degli scatoli e disegnava degli schizzi per distrarsi.

    Sebbene Callahan avesse portato del cibo a bordo della zattera, tra cui uova, cavoli e uvetta, sentì la necessità di raccogliere altro da mangiare. Fortunatamente, verso il decimo giorno, i pesci iniziarono a seguire la zattera e Callahan con il fucile subacqueo, che aveva portato a bordo e recuperato nel corso delle precedenti immersioni nella cabina allagata, catturava gli animali per mangiarli crudi. All'inizio, solo pesci piccoli e amari si radunavano vicino alla zattera, ma alla fine, la grande e pregiata lampuga formò un branco attorno ad essa. Abbastanza rapidamente, Callahan ne fece buona scorta.

    USÒ RAZZI PER CERCARE DI ATTIRARE LE NAVI

    Callahan portò diversi razzi a bordo della sua zattera e si astenne abilmente dall'usarli fino a quando non vide diverse navi, alcune nel raggio di 1.800 miglia (circa 3 km), facendoli esplodere i razzi uno dopo l’altro. Attivò anche il trasmettitore e montato il suo riflettore che era riuscito a recuperare, ma nessuna delle navi lo vide, nemmeno quella che arrivò a poco più di 1 km dalla sua zattera. Ciononostante, si rifiutò di lasciarsi sopraffare dalla sua delusione, dicendo in seguito al periodico settimanale statunitense People: "È così che stanno le cose. La mia rabbia e la mia frustrazione non sono riuscite a portarli in superficie per vedermi".

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    Steven Callahan e la moglie Kathy Massimini che rivedremo a margine del post.



    FILTRÒ LA PIOGGIA E RACCOLSE ALGHE PER CIBO E ACQUA

    Sebbene i pesci furono la maggior parte del sostentamento di Callahan e gli alambicchi gli fornirono acqua come poteva, per raccogliere l'acqua piovana, ideò una sorta di teloni che gli permisero di filtrarla stabilmente. Per cibo aggiuntivo, Callahan rastrellava e filtrava l'erba “Sargassum dorata”, per trovare piccoli pesci e crostacei da mangiare. Di tanto in tanto mangiava le alghe stesse, che pur ricche di proteine, vitamina A e C, ferro, zinco, calcio, potassio e iodio, mantenne il suo apporto basso di sodio per evitare un'overdose. Infatti, un suo eccesso avrebbe aumentato la ritenzione idrica e la pressione del sangue, portando con sé il rischio di ipertensione e di sue complicazioni, che avrebbero potuto coinvolgere cuore, arterie e diversi organi, compromettendo la propria salute e quella del suo già provato fisico.

    PRATICÒ LO YOGA PER COMBATTERE LA RIGIDITÀ

    Tra i suoi sforzi per raccogliere cibo e acqua, fare riparazioni e cercare aiuto, Callahan non è mai stato veramente in grado di rilassarsi. Lo spazio aperto della zattera non era abbastanza lungo da permettergli di sdraiarsi completamente. Peggio ancora, il sale e l'acqua gli creavano piaghe ed eruzioni cutanee sulla pelle, i pesci sottostanti urtavano costantemente la zattera e la sua dieta influiva sulla sua digestione. Fortunatamente per Callahan, fare yoga alleviò parzialmente alcuni di questi problemi.

    GESTÌ UNA RIPARAZIONE IMPROVVISATA DELLA SUA ZATTERA

    A poco più della metà del calvario di 76 giorni di Callahan, una lampuga che aveva infilzato fece un buco nel fondo della zattera. Pertanto si rese necessaria una costante riparazione, richiedendogli di eliminare l’acqua quotidianamente e in acque infestate da squali.

    IL SUO ATTACCAMENTO SPIRITUALE AL MARE LO MANTENNE MOTIVATO

    L'oceano minacciò di prendere la vita di Callahan in qualunque momento, tuttavia riuscì a trovare una certa serenità. In seguito raccontò al quotidiano britannico “Sunday Express” di un momento particolarmente stimolante: “Ero solo nell'Atlantico quando a meno di 100 piedi (poco più di 30 metri n.d.r.) di distanza una balena e un vitello emersero dal profondo e si aprirono una breccia, la bioluminescenza fluiva dai loro corpi, offrendo uno dei tanti alti spirituali che ho sperimentato sul mare”.

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    SOPRAVVISSE PERCHÉ DECISE DI FARLO

    Callahan ha dovuto prendere consapevolmente quella che ha definito una " decisione per sopravvivere ". Ciò che lo teneva davvero in vita era la sua determinazione a tornare a casa. In seguito disse alla rivista People: "Molte persone si aspettavano che l'esperienza mi avesse cambiato [...] Ma in termini di visione generale dell'oceano - e della vita - le ha rafforzate".

    CALLAHAN ATTRIBUI’ AD UN BRANCO DI PESCI LA SUA SALVEZZA

    Le lampughe, che costituivano la maggior parte della dieta di Callahan, fornivano anche una forma di compagnia al naufrago, seguendolo per 1.800 miglia del suo viaggio. Anche se alla fine i pesci divennero diffidenti nei confronti della sua lancia, si avvicinarono alla zattera e lasciarono che Callahan disarmato li accarezzasse. Callahan li chiamava persino i suoi "cagnolini", sentendosi quasi male a mangiarli. Erano come suoi amici.

    USO’ LA SUA ESPERIENZA PER PROGETTARE ZATTERE DI SALVATAGGIO MIGLIORI

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    Steven pubblica su Twitter questa foto 8 aprile 2019 e pensa di avere colpito una balena



    Dopo il suo salvataggio, Callahan si dedicò a una serie di attività diverse, ma non dimenticò mai l'oceano o la sua straziante esperienza. Progettò la sua zattera di salvataggio, chiamata " The Clam " (Il mollusco), che include un fondo duro e una vela che può essere issata per navigare attivamente invece di andare alla deriva. Callahan ha asserito che se avesse disposto di una zattera simile come “The Clam” avrebbe potuto portarlo al sicuro in due settimane invece che in due mesi e mezzo.

    Il 19 aprile 1982, settantacinque giorni alla deriva, Callahan vide una debole luce nel vasto orizzonte. Il giorno successivo, fu prelevato da un peschereccio attirato dagli uccelli che si libravano sopra la sua zattera. Lo portarono a terra sull'isola di Marie-Galante, che si trova in Guadalupa. Negli ultimi giorni, Callahan credeva che la sua vita sarebbe finita. Stava finendo l'acqua e gli alambicchi solari che aveva non sarebbero più stati in grado di produrre acqua ingeribile. Sembrava che tutto il suo corpo stesse per arrendersi, così come la sua mente. Il libro di memorie di Callahan: ”Adrift: Seventy-six Days Lost at Sea (1986)", (Alla deriva: Settantasei giorni in mare) il più venduto nel 1986, è stato nella lista dei bestseller del New York Times per 36 settimane.

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    Stephen Callahan poco dopo il salvataggio, foto:Shoulders of Giants



    IL SUO NAUFRAGIO 30 ANNI FA E LA SUA RECENTE DIAGNOSI DI LEUCEMIA MIELOIDE

    Callahan festeggiò il trentesimo compleanno in una zattera di salvataggio e il sessantesimo in un letto d'ospedale, ma nonostante tutto, proprio come mentre era alla deriva, assieme a Kathy, insieme dal 1982 e sposata nel 1994, ha sempre trovato motivi per trovare opportunità all'interno dell'esperienza vissuta. “Proprio quella preziosità della vita che io e Kathy sembra che catturiamo nei momenti più disperati", ebbe a dire.

    Durante la sua deriva, che avrebbe potuto portarlo alla fine della sua vita, Callahan perse un terzo del suo peso e la capacità di camminare correttamente. Tuttavia, quando finalmente raggiunse l'ospedale, lo lasciarono andare entro poche ore. Ciò di cui aveva più bisogno era cibo, una doccia e una notte di sonno su un terreno solido. Per la prima volta in due mesi e mezzo, poteva chiudere gli occhi senza preoccuparsi di ogni singola decisione che avrebbe dovuto prendere il giorno dopo.

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    Prima e dopo:I pescatori della Guadalupa che hanno individuato e salvato Callahan. A destra di Callahan il regista Ang Leee e lo sceneggiatore David McGee


    Sei settimane dopo, Callahan era tornato negli Stati Uniti. A quel punto poteva camminare e ha trascorso altri sei mesi a ricostruire tutto il tessuto muscolare che il suo corpo aveva sacrificato. Successivamente è stato assunto come consulente tecnico per la realizzazione del film "Life of Pi" (Vita di Pi - il nome del ragazzo -), che è stato nominato per undici “Academy Awards” e tre “Golden Globe”, le eccellenze sia nella televisione che nel cinema. Nel 2013 il film “Vita di Pi”, del regista taiwanese Ang Lee, vinse quattro Oscar (miglior regia, fotografia, effetti speciali e colonna sonora).

    Oggi Callahan funge da ambasciatore nazionale delle celebrità per la campagna della regata della “Leukemia Cup”, nel 2012 gli è stata diagnosticata la leucemia mieloide acuta, e insieme alla moglie Kathy Massimini, sostiene il “Woods Hole Oceanographic Institute”. Quarant'anni dopo, Callahan non ha rimpianti: “Non conosco nessun sopravvissuto che ho incontrato che rimpianga di aver avuto quell'esperienza. Nessuno di noi vuole tornarci. Sono, per definizione, una sorta di esperienze infernali. Ma anche in questo c'è molto valore. Costruire una barca, guidare una barca, costruire una casa, avere un bambino: tutto ciò che vale davvero la pena è una sfida. Trovo che la realizzazione sia in relazione diretta con la lotta. Qualunque cosa valga la pena fare non sarà facile. Mentre tutti noi vogliamo divertirci nella nostra vita, la realizzazione è ciò che tutti noi cerchiamo veramente. Fino ad oggi, mi sento illuminato da quello che ho passato perché mi ha cambiato in meglio”.

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    Foto recente di Callahan con la moglie Kathy Massimini



    Alcune fonti, non sappiamo quanto attendibili, riferiscono che Callahan prima del naufragio e ancor giovane, avesse divorziato dalla moglie da 6 anni, e voleva fare l’impresa pensando che gli avrebbe fatto bene. A lui si attribuisce questa dichiarazione: “Ho sempre desiderato attraversare l'oceano su una semplice barca. Le barche sono lo strumento migliore per entrare nella natura selvaggia del mondo. Ero attratto dall'idea di poter accedere al mondo intero senza molte risorse così ho costruito Napoleon Solo non come una barca da regata, ma come abitazione. La mia vita stava andando a rotoli. Fondamentalmente ho costruito questa barca come una macchina per la fuga”.

    Se questa lettura è stata di tuo gradimento continua a seguirci qui troverai elencati tutti i miei post. Tra gli argomenti: il nostro pianeta, mare, natura, cambiamento climatico, biodiversità e tanto altro. Come si evince dalle nostre "Statistiche", con oltre 6.000 articoli e commenti!
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    La risposta delle piante alle attenzioni dell'uomo. Sostenitore dell'intelligenza delle piante, Stefano Mancuso ed altri scienziati, discutono i complessi modi con cui le piante comunicano, se sono coscienti e cosa significano le sue scoperte per le riflessioni che potrebbero fare i vegani.


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    Stefano Mancuso


    Nato Catanzaro, 9 maggio 1965 in Calabria nel 1965, Stefano Mancuso botanico e saggista, è un pioniere del movimento di neurobiologia vegetale, che cerca di capire come le piante percepiscono le loro situazioni e rispondono agli input ambientali. Esse, infatti, possiedono il cosiddetto “cervello radicale” altamente sviluppato e cosciente che funziona in modo molto simile al nostro per analizzare i dati in arrivo e generare risposte adeguate. Questo si trova all'apice della radice di ogni pelo radicale che funge da organo neuronale del sistema.

    Già il 12 ottobre 2010 in un TEDTalks, (TED è l'acronimo di "Technology, Entertainment and Design) - titolo del primo evento organizzato nel 1984 che si è poi trasformato nel 1990 in una conferenza annuale, con video influenti di relatori esperti su istruzione, affari, scienza, tecnologia e creatività, con sottotitoli in oltre 100 lingue gestite dall'organizzazione privata non-profit statunitense Sapling Foundation - hanno incluso un video: “The roots of plant intelligence” (Le radici dell'intelligenza vegetale).

    TEDTalks è un podcast quotidiano dei migliori discorsi e spettacoli della TED Conference, in cui i principali pensatori e attori del mondo tengono il discorso della loro vita in 18 minuti. Nel video Mancuso dichiara che le piante si comportano in modi stranamente intelligenti: combattono i predatori e massimizzano le opportunità di cibo. Ma possiamo pensare che abbiano effettivamente una forma di intelligenza propria? Mancuso ha presentato prove intriganti.

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    Michael Pollan, giornalista e saggista statunitense, sul New Yorker lo ha descritto come “il poeta-filosofo del movimento, determinato a far guadagnare alle piante il riconoscimento che meritano”. Mancuso insegna all'Università di Firenze, sua alma mater, dove dirige il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale. Ha scritto cinque libri bestseller sulle piante. Al momento sono esattamente:

    La tribù degli alberi – La nazione delle piante – La pianta del mondo - Uomini che amano le piante - L'incredibile viaggio delle piante e Verde brillante (in collaborazione con la giornalista, scrittrice, autrice, produttrice televisiva e docente universitaria Alessandra Viola).

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    Michael Pollan



    L'IMPORTANZA DELLE PIANTE, COMUNICAZIONE E LORO MOVIMENTI

    Le piante non sopravvivono semplicemente, sono dotate di sensi. Possiedono una capacità percettiva molto più sofisticata degli animali. Stefano Mancuso, solo per fare un esempio, scrive che “ogni singolo apice di una radice è in grado di percepire e monitorare simultaneamente e continuamente almeno 15 differenti parametri chimici e fisici. E riescono a mostrare e rivelare un comportamento talmente bello e complesso che possiamo solo definire 'intelligente' ”.

    L'Importanza delle piante

    Secondo l’illustre scienziato, “noi dipendiamo dalle piante, quindi la conservazione delle piante è necessaria per la conservazione dell'uomo”. In effetti, Mancuso crede che dovrebbero essere trattate con più rispetto e avere diritti allo stesso modo degli esseri umani e degli animali.

    Le attività umane come la deforestazione, l'inquinamento e il cambiamento climatico provocano quotidianamente la scomparsa di molte specie vegetali. Eppure le piante rendono possibile la vita sul nostro pianeta fornendo l'ossigeno di cui abbiamo bisogno per respirare, aiutando a produrre la preziosa pioggia. Infatti esse rilasciano nell'atmosfera gran parte dell'acqua che assorbono dal suolo, dove essa cade sotto forma di pioggia o di neve. Se dovessero estinguersi, il nostro pianeta diventerebbe sterile e senza vita.

    Comunicazione e movimento nelle piante

    Le piante sono comunicatrici straordinarie. Interagiscono tra loro e distinguono persino i “parenti” dagli “estranei”. Poiché i loro movimenti sono limitati, hanno bisogno di animali come vettori per svolgere alcuni compiti: durante l'impollinazione insetti, uccelli, rettili e pipistrelli sono attratti dai vapori chimici prodotti dalle piante. Gli animali ricevono il loro dolce ed energizzante nettare, in cambio del trasporto del polline che garantisce la propagazione di innumerevoli specie vegetali.

    Non è un'osservazione molto nuova che le piante abbiano intelligenza, è solo che Stefano Mancuso, la sta inquadrando per la visione scientifica/razionale del mondo. Secondo Mancuso “in molte tradizioni indigene e spirituali in tutto il mondo tutto ha spirito, che si tratti di piante, alberi, rocce, fiumi, montagne ecc. Quindi tutto è vivo ed è intriso di spirito, intelligenza e sentimento. E, se disturbiamo gli spiriti in natura, diciamo un albero, lo spirito dell'albero reagirà causando malattia o cattiva sorte al disturbatore”.

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    Amy Fleming



    Domenica 5 aprile 2020 Amy Fleming, una scrittrice freelance ed ex giornalista del Guardian, ha pubblicato una interessante intervista a Stefano Mancuso che riassumiamo così:

    Amy Fleming: Prima che il suo laboratorio iniziasse a lavorare nel 2005, la neurobiologia vegetale era vista in gran parte come un concetto ridicolo”.

    Stefano Mancuso: "Eravamo interessati a problemi che, fino a quel momento, erano solo legati agli animali, come l'intelligenza e persino il comportamento. All'epoca era “quasi proibito” parlare di comportamento delle piante. Ma studiamo come le piante riescano a risolvere i problemi, come memorizzano, come comunicano, come hanno la loro vita sociale e cose del genere”.

    L’ARGOMENTO CHE CI HA STUPITO

    Amy Fleming:Lei ed i suoi colleghi siete diventati esperti nell'addestramento delle piante, proprio come i neuroscienziati addestrano i topi da laboratorio”.

    Stefano Mancuso: Le piante hanno memoria, un requisito dell'intelligenza perché senza memoria non è possibile apprendere e migliorare le proprie prestazioni. Se lasci cadere una goccia d'acqua su una Mimosa pudica, la sua risposta istintiva è di indietreggiare le sue foglie, ma, se continui a farlo, la pianta capirà rapidamente che l'acqua è innocua e smetterà di reagire. Le piante possono conservare questa conoscenza per settimane, anche quando le loro condizioni di vita, come l'illuminazione, cambiano. È stato inaspettato perché stavamo pensando a ricordi molto brevi, nell'intervallo di uno o due giorni, la memoria media degli insetti. Scoprire che le piante sono state in grado di memorizzare per due mesi è stata una sorpresa […].

    Amy Fleming: “Anche perché non hanno cervello”?

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    Stefano Mancuso: La risposta è no, nessun cervello! Non ci sono assoni, né neuroni (il neurone è l'unità fondamentale del sistema nervoso, l'assone è la struttura specializzata per il trasporto dell'informazione a distanza nel sistema nervoso n.d.r.). Non si deprimono. Non hanno problemi di autorealizzazione. Ma quello che hanno, è qualcosa di molto simile a noi, cioè l'abilità di comunicare usando l'elettricità. Usano solo degli ioni diversi rispetto a noi, ma fa in realtà la stessa cosa. Le piante possiedono un cervello radicale altamente sviluppato e cosciente. In una pianta, un solo cervello sarebbe un difetto fatale perché si sono evoluti per essere il pranzo. Le piante usano una strategia molto diversa. Sono molto brave a diffondere la stessa funzione in tutto il corpo. Puoi rimuovere il 90% di una pianta senza ucciderla. Devi immaginare una pianta come un enorme cervello. Magari non così efficiente come nel caso degli animali, ma diffuso ovunque”.

    Amy Fleming: Man mano che apprendiamo di più sull'intelligenza animale e vegetale, per non parlare dell'intelligenza umana, il termine sempre controverso coscienza è diventato oggetto di un dibattito scientifico e filosofico sempre più acceso”.

    Stefano Mancuso: Usiamo un altro termine. La coscienza è un po' complicata in entrambe le nostre lingue. Parliamo di consapevolezza. Le piante sono perfettamente consapevoli. Un semplice esempio è quando una pianta ne oscura un'altra: la pianta ombreggiata crescerà più velocemente per raggiungere la luce. Ma quando guardi nella chioma di un albero, tutti i germogli sono fortemente ombreggiati. Non crescono velocemente perché sanno di essere ombreggiati da una parte. Quindi hanno un'immagine perfetta all'esterno".

    Amy Fleming:Un altro malinteso è che le piante siano la definizione di uno stato vegetativo, che non comunicano ed insensibili a ciò che le circonda”?

    Stefano Mancuso: E questa non è un'opinione. Ciò si basa su migliaia di elementi di prova. Sappiamo che un singolo apice radicale è in grado di rilevare almeno 20 diversi parametri chimici e fisici, molti dei quali non vediamo. Potrebbe esserci una tonnellata di cobalto o nichel sotto i nostri piedi, e non ne avremmo idea, mentre le piante possono percepire pochi milligrammi in un'enorme quantità di terreno. Lungi dall'essere silenziose e passive, le piante sono sociali e comunicative, sopra e sotto terra, attraverso le loro radici e reti fungine. Sono abili nel rilevare sottili campi elettromagnetici generati da altre forme di vita. Usano sostanze chimiche e profumi per avvertirsi a vicenda del pericolo, scoraggiare i predatori e attirare insetti impollinatori. Quando il mais viene rosicchiato dai bruchi, ad esempio, la pianta emette un segnale chimico di soccorso che attira le vespe parassite per sterminare i bruchi”.

    Amy Fleming:Sebbene le nuove generazioni di botanici stiano sempre più abbracciando la neurobiologia vegetale, lei ha ancora i suoi detrattori. L'estate scorsa (marzo 2019 n.d.r.), un gruppo di otto scienziati vegetali che lei e i suoi colleghi hanno costantemente sorvolato sul grado unico e notevole di complessità strutturale, organizzativa e funzionale che il cervello animale ha dovuto evolvere prima che la coscienza potesse emergere”.

    Stefano Mancuso: “Quasi tutti questi botanici sono in pensione. È una vecchia generazione di scienziati delle piante che è completamente contraria a qualsiasi idea di una pianta intelligente o comportamentale. Per loro, le piante sono una specie di macchina organica semi-vivente. Tutti gli organismi viventi migrano. Siamo l'unica specie a cui non è permesso, e questo è del tutto innaturale. L'idea che gli umani siano l'apice della vita sulla Terra è una delle idee più pericolose in circolazione. Quando ti senti meglio di tutti gli altri umani o altri organismi viventi, inizi a usarli. Questo è esattamente quello che abbiamo fatto. Ci siamo sentiti al di fuori della natura. La durata media della vita di una specie sulla Terra è compresa tra 2 e 5 milioni di anni. L'Homo sapiens ha vissuto solo 300.000 anni e già siamo stati in grado di distruggere quasi il nostro ambiente. Da questo punto di vista, come possiamo dire che siamo organismi migliori?

    Le società e le organizzazioni umane sono strutturate come i nostri corpi – con un cervello, o un centro di controllo di livello superiore, e vari organi diversi che governano funzioni specifiche. Lo usiamo nelle nostre università, nelle nostre aziende, persino nelle nostre divisioni di classe. Questa struttura ci consente di muoverci velocemente, fisicamente e organizzativamente, ma ci rende anche vulnerabili. Se un organo importante fallisce, potrebbe far naufragare tutto, e la leadership dall'alto raramente serve il tutto.

    Le piante, invece, sono una sorta di organizzazioni orizzontali, diffusive, decentralizzate, molto più in linea con la modernità. Prendi Internet, l'ultimo sistema di root decentralizzato. Guarda la capacità di Wikipedia di produrre una quantità meravigliosa di informazioni di buona qualità utilizzando un'organizzazione decentralizzata e diffusa. Sto affermando che, studiando le reti di piante, possiamo trovare soluzioni meravigliose per noi, oppure prendi l'etica della cooperazione. Le piante sono maestre nell'avviare relazioni simbiotiche con altri organismi: batteri, funghi, insetti, persino noi”.


    IL GRUPPO DI OTTO SCIENZIATI VEGETALI COSÌ SI È ESPRESSO

    Lincoln Taiz, professore emerito di Biologia Molecolare, Cellulare e dello Sviluppo presso l'Università della California a Santa Cruz - autore principale dello studio, ha, tra l’altro delle precisazioni:
    Secondo i suddetti scienziati, le piante non possiedono né richiedono coscienza e, sebbene i "neurobiologi delle piante" abbiano affermato che le piante possiedono molte delle stesse caratteristiche mentali degli animali, come la coscienza, la cognizione, l'intenzionalità, le emozioni e la capacità di provare dolore, l'evidenza di queste capacità nelle piante è altamente problematica.
    I recenti risultati del neuroscienziato Todd E. Feinberg e del biologo evoluzionista Jon M. Mallatt sulle strutture e le funzioni cerebrali minime richieste per la coscienza negli animali hanno implicazioni per le piante. Le loro scoperte rendono estremamente improbabile che le piante, prive di qualsiasi struttura anatomica lontanamente paragonabile alla complessità del cervello soglia, possiedano una coscienza.

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    IL PENSIERO RECENTE DI STEFANO MANCUSO

    Il 15 aprile scorso è apparsa su The Guardian una intervista rilasciata a Killian Fox - scrive per varie testate tra cui The Observer, dove ha lavorato per due anni, di film, musica e libri, tra le altre cose - dal nostro prestigioso scienziato, di cui riportiamo integralmente l’intervista:

    Killian Fox: "Cosa c'è alla radice del tuo amore per le piante"?

    Stefano Mancuso: ""Ho cominciato ad interessarmi alle piante all'università. Uno dei miei compiti durante il dottorato era capire come una radice che cresceva nel terreno fosse in grado di aggirare un ostacolo. La mia idea era di filmare questo movimento, ma ho visto qualcosa di diverso: la radice stava cambiando direzione ben prima di toccare l'ostacolo. È stato in grado di percepire l'ostacolo e di trovare una direzione più conveniente. Quello è stato il mio primo momento eureka, in cui ho iniziato ad immaginare che le piante fossero organismi intelligenti".


    Killian Fox: "Ti riferisci al tuo campo come neurobiologia vegetale. È una provocazione"?

    Stefano Mancuso: "All'inizio non lo era affatto. Cominciai a pensare che quasi tutte le affermazioni che sentivo sul cervello fossero valide anche nelle piante. Il neurone non è una cellula miracolosa, è una cellula normale che è in grado di produrre un segnale elettrico. Nelle piante, quasi ogni cellula è in grado di farlo. La principale differenza tra animali e piante, secondo me, è che gli animali concentrano funzioni specifiche all'interno degli organi. Nel caso delle piante, diffondono tutto attraverso tutto il corpo, compresa l'intelligenza. Quindi all'inizio non era una provocazione, ma c'era una grande resistenza tra i miei colleghi a usare questo tipo di terminologia, e così dopo è diventata una provocazione".

    Killian Fox: "Cosa speravi di ottenere con il tuo nuovo libro, Tree Stories"?

    Stefano Mancuso: "Quello che vorrei rendere popolare sono, in primo luogo, le molte capacità delle piante che normalmente non siamo in grado di sentire e capire, perché sono così diverse da noi. In secondo luogo, quando racconti una storia sulla vita su questo pianeta, non parlare delle piante, che costituiscono l'87% della vita, è una sciocchezza".

    Killian Fox: "Discuti appassionatamente a favore del riempimento delle città di alberi. Perché è così importante"?

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    La Venere acchiappamosche (Dionaea muscipula) è una pianta da fiore nota soprattutto per le sue abitudini alimentari carnivore.


    Stefano Mancuso: "Produciamo il 75% della nostra CO₂ nelle città e il modo migliore per rimuoverla è utilizzare gli alberi. Più l'albero è vicino alla fonte delle emissioni di carbonio, meglio lo assorbiranno. Secondo i nostri studi, potremmo mettere circa 200 miliardi di alberi nelle nostre aree urbane. Per farlo, dobbiamo davvero immaginare un nuovo tipo di città, completamente ricoperta di piante, senza alcun confine tra natura e città".


    Killian Fox: "Hai un capitolo affascinante su un ceppo d'albero tenuto in vita per decenni dagli alberi vicini. Cosa possono imparare gli esseri umani dalle comunità arboree"?

    Stefano Mancuso: "Le piante sono così incredibilmente cooperative tra loro perché la cooperazione è il modo più efficiente per garantire la sopravvivenza delle specie. Non comprendere la forza della comunità è uno dei principali errori [dell'umanità]. C'era un biologo evoluzionista molto intelligente all'inizio del secolo scorso, Peter Kropotkin, che disse che quando ci sono meno risorse e l'ambiente sta cambiando, allora la cooperazione è molto più efficiente [della concorrenza]. Questo è un insegnamento importante per noi oggi, perché stiamo entrando in un periodo di riduzione delle risorse e l'ambiente sta cambiando a causa del riscaldamento globale".

    Killian Fox: "È una forma di comunicazione estremamente sofisticata, una specie di vocabolario. Ogni singola molecola significa qualcosa. Fino a che punto le piante possono comunicare tra loro? Se hai uno spettro con rocce a un'estremità e umani all'altra, dove siedono le piante"?

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    Killian Fox


    Stefano Mancuso: "Direi molto vicino agli umani. Comunicazione significa che sei in grado di emettere un messaggio e c'è qualcosa in grado di riceverlo, e in questo senso le piante sono grandi comunicatori. Se sei impossibilitato a muoverti, se sei radicato, è fondamentale che tu comunichi molto. Lo abbiamo sperimentato durante il lockdown, quando eravamo bloccati in casa e c'è stato un incredibile aumento del traffico su internet. Impianti sono obbligati a comunicare molto e utilizzano sistemi diversi. Il più importante è attraverso sostanze volatili o sostanze chimiche che vengono emesse nell'atmosfera e ricevute da altre piante. È una forma di comunicazione estremamente sofisticata, una specie di vocabolario. Ogni singola molecola significa qualcosa e mescolano molecole molto diverse per inviare un messaggio specifico".

    Killian Fox: "L'idea che le piante siano intelligenti è abbastanza controversa, ma tu hai fatto un ulteriore passo avanti affermando che le piante sono in una certa misura coscienti".

    Stefano Mancuso: "È incredibilmente difficile parlare di coscienza, in primo luogo perché in realtà non sappiamo cosa sia la coscienza, nemmeno nel nostro caso. Ma c'è un approccio per parlarne come una vera caratteristica biologica: la coscienza è qualcosa che tutti abbiamo, tranne quando dormiamo molto profondamente o quando siamo sotto anestesia. Il mio approccio allo studio della coscienza nelle piante era simile. Ho iniziato verificando se fossero sensibili agli anestetici e ho scoperto che è possibile anestetizzare tutte le piante utilizzando gli stessi anestetici che funzionano sugli esseri umani. Questo è estremamente affascinante. Pensavamo che la coscienza fosse qualcosa legato al cervello, ma penso che sia la coscienza che l'intelligenza siano più incarnate, relative all'intero corpo".

    Killian Fox: "La vita segreta delle piante: come memorizzano, comunicano, risolvono problemi e socializzano".

    Stefano Mancuso:"È una domanda interessante. Stiamo lavorando per vedere se è possibile dirlo. È un compito incredibilmente difficile, ma pensiamo che, entro la fine di quest'anno, saremo in grado di dimostrarlo. Man mano che impariamo di più sulla raffinatezza e la sensibilità delle piante, dovremmo pensarci due volte prima di mangiarle? Molte persone vegane mi hanno scritto chiedendo questo. In primo luogo, penso che sia etico mangiare piante perché siamo animali, e in quanto animali possiamo sopravvivere solo mangiando altri organismi viventi – questa è una legge che non possiamo infrangere. In secondo luogo, è molto più etico mangiare una pianta piuttosto che, ad esempio, carne di manzo, perché per produrre un chilo di carne bovina è necessario uccidere una tonnellata di piante, quindi è molto meglio mangiare direttamente un chilo di piante. Il terzo punto è che per noi è molto difficile immaginare di essere una pianta, perché per noi essere mangiati è un incubo ancestrale, mentre le piante si sono evolute per essere mangiate, fa parte del ciclo. Un frutto è un organo che viene prodotto per essere mangiato da un animale".

    Killian Fox: "Quindi la frutta è probabilmente la cosa più etica che puoi mangiare, più del cavolo riccio"?

    Stefano Mancuso: "Forse la frutta è la più etica, ma dopo devi defecare per terra, perché altrimenti rompi il ciclo".

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    CONCLUSIONE

    Le piante, come le persone, sono fondamentali nella nostra vita e ce ne accorgiamo dell'importanza quando non ci sono più. In realtà possiamo anche spendere milioni per la “transizione ecologica”, però se poi il cittadino butta la carta a terra oppure taglia una pianta in modo inadatto non possiamo fare nulla e sono soldi sprecati. Quindi tutto parte da noi stessi. Una connotazione sicuramente adatta a questa transizione e che dobbiamo necessariamente fare è quella che ci dà delle opportunità veramente buone di trasformare le nostre città in città più salutari più in grado di rispondere ai bisogni dei cittadini e in grado, perlomeno, mitigare quelle che sono gli effetti che ormai tutti sappiamo del cambiamento climatico che ci sta veramente distruggendo.

    Ci sono studi che dicono che se, ad esempio domani, le piante dovessero morire e rilasciare tutta l'anidride carbonica che hanno fissato nel corso della loro storia nell'atmosfera la temperatura del pianeta arriverebbe a dei livelli tali da essere incompatibile con l'acqua liquida cioè la temperatura salirebbe oltre i 100 gradi. L'acqua inizierebbe a bollire il che vuol dire che sterilizzerebbe completamente il nostro pianeta rendendolo identico a Marte a Venere e a tutti quegli altri luoghi del sistema solare che conosciamo e che sono completamente sterili.

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    Tagliare gli alberi significa tagliare anche tutta la biodiversità. Quando ci preoccupiamo della foresta amazzonica c'è un problema enorme, ovvero, se continuiamo a tagliarla con i tassi con il quale stiamo facendo, nel 2030 essa sarà irrimediabilmente persa. Secondo Mancuso, inizierà una trasformazione verso una steppa. Questo lo dice qualunque modello serio sia stato prodotto negli ultimi 15 anni: se continueremo a tagliare la foresta amazzonica per altri 7 anni come abbiamo fatto finora la perderemo. L'amazzonia ha un'importanza fondamentale perché ospita la maggior parte della vita. Quando noi taglieremo tutta l'Amazzonia scompariranno anche tutte le altre specie.

    Le piante rappresentano la vita del pianeta quindi non sono una frazione marginale o qualche cosa di secondario ma sono il motore stesso della vita e in quantità in biomassa. Cioè, se noi potessimo pesare tutte le cose vive del pianeta ci accorgeremmo che le piante rappresentano dal 90 al 97,5 per cento. La stima più recente che è stata pubblicata su “Accueil Encyclopédie de l'Energie” il 07 marzo 2022 con un dato che è ancora più superiore perché parla del 99,7 per cento, quindi vuol dire in altre parole che soltanto lo 0,3 per cento in peso della vita su questo pianeta non foto sintetizza e noi facciamo parte di questo 0,3%, una parte ininfluente o nulla e probabilmente dannosa. Lo 0,3% corrisponde quindi alla capacità del mondo vivente di sfruttare l'energia solare disponibile su tutta la Terra. La sua impronta, invece, è totale. Pertanto, le piante, principalmente alberi, dominano la vita sulla Terra.

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